|
|
Il momento dei bilanci |
|
Stefano
Leszczynski
|
Cinquant'anni
sono ormai passati da quel memorabile 10 dicembre del 1948 quando l'assemblea
Generale delle Nazioni Unite approvò all'unanimità, e
con l'astensione dei soli Paesi del blocco comunista, la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani. Allora Eleanor Roosevelt proclamava trionfalmente
la nascita di quella che aveva definito la "Magna Charta dell'umanità";
chi di noi non avrebbe voluto assistere a tale evento, chi non avrebbe
desiderato condividere quell'emozione?
Oggi è però giunto il momento del bilancio, della riflessione, della verifica dei risultati ottenuti. I governi celebrano il Cinquantenario sottolineando con enfasi l'immane progresso compiuto nell'affermazione dei diritti fondamentali della persona umana; gli ambienti accademici organizzano convegni e gli studiosi gareggiano fra loro nello spiegare il più incomprensibilmente possibile cosa siano i diritti umani e come questi si siano inseriti nell'ordinamento internazionale "dando vita ad un nuovo corpus di straordinaria cogenza". Gli oratori più saggi mitigano l'ottimismo ricordando che molto resta ancora da fare, che la strada da percorrere è ancora lunga, che il motto del Cinquantenario "tutti i diritti umani per tutti" ha carattere più programmatico che altro. I rappresentanti delle istituzioni rammentano, invece, che il nostro Paese è in prima fila nella battaglia per l'affermazione dell'inviolabilità della dignità di ogni persona umana, e a chi tenta di obiettare, citando alcuni tra i più indegni accordi conclusi dall'Italia con gli Stati principali violatori dei diritti celebrati, sembrano paternalmente rispondere: "Ragazzo, questa è politica! Senza compromessi non si arriva da nessuna parte". Già, e allora via a sbandierare la civiltà dell'Europa che aborre la pena di morte, che si oppone fermamente ad ogni forma di sfruttamento dei bambini, che condanna la schiavitù e propugna uguali diritti economici e sociali per tutti, "uomini e donne, Nazioni grandi e piccole". Il negoziato è avviato, il compromesso raggiunto. "Accettate voi solennemente tutti i diritti per tutti? Bene! In cambio sarete accolti nella grande famiglia internazionale e in men che non si dica riceverete prestiti, finanziamenti agevolati, estinzione parziale o totale del debito estero, crediti illimitati e, last but not least, credibilità a buon mercato". Ma il rispetto degli obblighi assunti, le sanzioni per aver violato i trattati, le misure straordinarie contro chi minacci la pace? Quelle sono riservate ai cattivi. Resta emblematica la frase di quell'ufficiale americano che interrogato da un giornalista sul caso Pinochet ha risposto: "E' un gran figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana". Pare di vederlo. Eppure la realtà è sotto gli occhi di tutti, fa parte del quotidiano vissuto, ma a nessuno viene voglia di gridare, di disperarsi, di piangere, di maledire. La tutela dell'individuo, delle libertà fondamentali, dei diritti civili, politici, economici e sociali, è ormai garantita dagli ordinamenti, tanto nazionali che sovranazionali. I crimina iuris gentium, il genocidio, la tortura, lo stupro etnico hanno perso una volta per tutte la giustificazione della ragion di Stato o quella, ancora peggiore, dell'ordine di un organo superiore. Lo statuto della Corte Penale Internazionale è stato approvato a Roma con 120 voti a favore, Milosevic è un latitante, in Sud Africa la Commissione per la verità e la riconciliazione nazionale voluta da Nelson Mandela ha concluso i suoi lavori. I grandi dittatori sono costretti a confrontarsi con i fantasmi del passato. La società civile esulta. Nel frattempo lo stretto di Gibilterra da ponte tra culture diverse si è trasformato nel più grande cimitero marocchino. I nuovi schiavi arrivano dai Balcani; non è vero, risponde chi governa, sono rifugiati, povera gente che tenta di sfuggire alla miseria, il nostro "è un Paese ricco" e ha il dovere di accoglierli con la dignità e la comprensione che è normale là dove regna lo Stato di diritto. Nel frattempo le loro bambine vengono vendute sulle strade che dalle periferie si snodano verso il centro città, verso il benessere. In Iran hanno appena terminato di linciare un'adultera, la testa fracassata sporca di materia cerebrale il lenzuolo che la ricopre, il resto del corpo è sepolto dalle spalle in giù: è una tecnica pratica e psicologica allo stesso tempo, non si dimena così è più facile colpirla, non si vede così non fa impressione. Articolo 1 della Dichiarazione Universale: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". Ma non serve cercare esempi così lontani, basta guardare Roma, la capitale che si prepara al Giubileo sfoggiando i suoi 700 cantieri aperti, simbolo di opulenza, lavoro, ricchezza. Al Parco della Caffarella, una moderna Betlemme di miserabili, qualcuno degli abitanti delle grotte non passerà l'inverno. Anche lì come in milioni di altri posti i diritti umani non esistono anche se noi li celebriamo. E' vero, in Italia c'è inquietudine e malessere, qualcuno ha avvelenato i panettoni; e il prossimo millennio non promette proprio nulla di buono.
Educare ai diritti
umani è ormai una priorità nel processo di formazione
scolastica a livello mondiale. Eppure in Italia ben poco è
stato fatto da quando l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha
proclamato il Decennio per l'educazione ai diritti umani (1995-2004),
perfezionando in tal modo quanto affermato nella Dichiarazione finale
e nel Programma d'azione scaturiti dalla Conferenza di Vienna del
1993.
Dei tre pilastri
su cui poggia il Parternariato Euro-Mediterraneo, avviato a Barcellona
nel novembre 1995, il più debole resta indubbiamente quello
del pluralismo culturale. L'ultimo vertice tra i ministri degli Esteri
dei 27 Ppaesi membri, svoltosi nel mese di giugno dello scorso anno
a Palermo, ha tuttavia messo in evidenza come le questioni relative
alla cosiddetta "dimensione umana" del Parternariato siano
fondamentali per un'efficace realizzazione della componente economica
e di quella non meno importante della creazione di un'area di stabilità
e sicurezza comune.
|
![]() Tutti i diritti riservati © 2000 |