Ultimo venne il colore della bruma




Aldo Bello



Continueremo a leggere gli scritti di Franco Barbieri fino a settembre. Sono rimasti nel computer, estrema testimonianza del suo impegno di ricerca storica e antropologica dispiegato su queste pagine da non so più quanti anni a questa parte. E continueremo ad ammirare le sue splendide fotografie molto più a lungo, così incalcolabili essendo numero e valore del materiale che ha raccolto percorrendo le strade d'Italia e del mondo fino al punto d'arco drammaticamente spezzato della sua vita. Perché questo Autore, ingegnere di professione, uomo di cultura raffinata e artista di spessore per vocazione, ha sciolto la , non è più fra noi.
Ho sempre avuto un gran rispetto - misto a timore, per mia specifica inadeguatezza - nei confronti di chiunque abbia il dono di far parlare le immagini. Far parlare le immagini significa saper stare dietro un obiettivo, cogliere l'attimo dinamico, penetrare il segreto e disvelare l'essenza di un oggetto o soggetto "esterno". Vuol dire agire, sotto il profilo tecnico, a livelli di alta filologia, e saper proporre, sotto il profilo espressivo, momenti di cristallina interpretazione semantica. Con in più lo scatto dell'anima, l'abbrivo emotivo, e dunque il profondo, passionale istinto del poeta.
Franco Barbieri è stato tutto questo, quando inseguì la distesa solarità dei campi lunghi o l'eccentrica originalità dei primi piani, e quando nel cono dell'obiettivo volle focalizzare anche le ombre, scandagliando il "doppio", l' "altro da sé" che convive negli insondabili abissi della nostra esistenza, o traspare nelle forme apparentemente algide di una statua, o si raggruma negli spazi umanizzati dalla folgorante solitudine di un albero grande e nudo stagliato contro il nudo e cilestre cielo invernale.
Dio solo sa se e quanto ci possa essere di autobiografico in una foto, in una sequenza, in un periodo di clic; e quale possa essere la scintilla che determina simultaneamente il calor bianco dell'intuizione, della scelta, dell'inquadratura e del gesto meccanico, in sintonia con il proprio stato d'animo, col "sé" e con il proprio "doppio" inespresso. Certamente è uno stato di grazia, una modulazione di dialoghi arcani, una disarmata fede da rabdomante intrepido e pervasivo, che segue il suo arcobaleno senza gravità fino all'ultima Thule, fino al paesaggio che non c'è, che si sogna di cogliere come per miracolo nel proprio sestante ottico, che si vuol possedere - trofeo esclusivo- per sempre. Coniugava per questo, oniricamente, le coordinate del raggio visivo e gli impulsi del cuore. Il culto della bellezza intersecato dal culto dell'amicizia. La generosità che lasciava a cielo aperto i suoi preziosi giacimenti culturali e la complicità degli affetti che giorno dopo giorno saldava nel mosaico delle nostre umanissime vicende le tessere, altrimenti disancorate ed erratiche, di un disegno più nobile, di un progetto non caduco, proiettato sullo schermo illimite dei suoi incanti e delle sue limpide visioni.
Forse fu un oscuro presagio, forse una di quelle indecifrabili premonizioni che subdolamente si innervano - senza alcun preavviso - nei gangli vitali e mascherano con brividi di malinconia il soffio pacato della voce e il moto ondulare dei pensieri. Certo, volle pubblicare le fotografie di Venezia, una Venezia decadente e disfatta che sarebbe piaciuta a Thomas Mann e alla sfibrata fragilità dei suoi personaggi mitteleuropei. Con paesaggi appena intravisti fra le patine e i vapori lagunari, spettri architettonici archetipi di una città perduta alle scansioni luminose e perfette, anche nelle ombre subliminali, tante volte colte dall'arte di Franco Barbieri. Ultimo venne il colore della bruma. E doveva essere l'ora del tramonto, che prelude al sorgere sull'orizzonte sghembo delle Orse notturne.


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