Controversi Maestri




Sergio Bello



L'episodio è stato ricordato recentemente da Angelo Foletto. "Don't be frightened. Mr. Gould is here", disse Leonard Bernstein al pubblico della Carnegie Hall di New York la sera del 7 aprile 1962. Non era un'osservazione buttata lì per caso, tenuto conto dell'eccentricità del leggendario pianista canadese: infatti, il direttore era comparso in palcoscenico da solo. Fu un discorsetto breve, punteggiato dalle risate del pubblico, ma servì a far capire che sarebbe stata un'esecuzione - "la più placida e la più rigida" che gli fosse capitato di ascoltare - che non andava proprio nella direzione attesa dal pubblico presente, e che era stata lungamente discussa tra i due interpreti.
Quel fervorino preventivo di Bernstein è diventato un capitolo della storia dell'interpretazione dei nostri decenni, tant'è che è riportato a mo' di premessa persino in una recente edizione del testo musicale in questione, il Concerto numero 1 per pianoforte e orchestra, di Johannes Brahms, inciso a suo tempo da Gould e Bernstein per la Sony. Dettaglio non trascurabile, perché le controversie tra esecutori, e tra compositori e direttori d'orchestra, sono antiche e restano all'ordine del giorno, alimentando le cronache giornalistiche e persino la saggistica specifica.
Tanto per fare alcuni esempi: Verdi temeva i direttori d'orchestra e diventava sarcastico, fino all'intolleranza, nei loro confronti: "La divinazione dei direttori, la creazione ad ogni rappresentazione - diceva. - Quest'è un principio che conduce addirittura al barocco e al falso". Wagner, che non era soltanto compositore, ma anche direttore, ne difendeva invece la funzione: "Massima diversificazione espressiva", raccomandava a chi dirigeva l'ultimo tempo della "Nona" di Beethoven, paventando una certa monotonia. E Hans von Bülow, che era solo ed esclusivamente direttore d'orchestra, rivolgeva al giovane allievo Richard Strauss il rimprovero che non poteva essere dimenticato: "La partitura nella testa, non la testa nella partitura!".
Ma che tipo di lavoro è, in realtà, quello del direttore? Un veicolo indispensabile tra l'opera musicale e la sua fruizione, o al contrario, l'occasione narcisistica di un eccessivo protagonismo, che porta a confondere i ruoli, dimenticando (come temeva Giuseppe Verdi) chi sia l'autentico creatore?
In un bel saggio critico pubblicato di recente, Il direttore d'orchestra, Ivano Cavallini, storico della musica in forza al Conservatorio e all'Università di Trieste, raccoglie i resoconti dei testimoni oculari, dell'iconografia, dei trattati che aiutano a risalire alle complesse radici di quest'arte, senza tirarsi indietro là dove si debba demistificarla. L'operazione intelligentemente condotta da Cavallini, com'è stato scritto, "evita la trappola dell'aneddotica, non segue neppure la via indicata da Theodor Adorno a cui soprattutto interessavano i risvolti sociologici di questo o quel maestro". Dal "batteur de mesure" che segnava il tempo agitando un rotolo di carta, al "sonatore principale" invocato in pieno Seicento per "dare la battuta", dal maestro al cembalo al primo violino direttore, fino al "Maestro" come ormai tutti lo conosciamo e definiamo: tre secoli di evoluzione professionale, legati alla dilatazione delle orchestre e dei luoghi nei quali si fa musica, "alla necessità di codificare con delle norme un mestiere ancora in via di definizione" passano per queste pagine dense di documenti, di notazioni, di testimonianze anche di prima mano, dunque con una massiccia raccolta di informazioni che non esitano a ripercorrere i più autorevoli manuali, da Berlioz a Wagner, da Weingartner a Strauss (trascurato il lavoro di Gustav Mahler, com'è stato sottolineato): convinzione di fondo è il primato della tecnica. Per questa ragione di fondo l'itinerario si conclude nel segno e nel nome di Hermann Scherchen, "direttore-suscitatore di energie e progetti", che alla tecnica della direzione d'orchestra dedicò nel 1929 un saggio corredato di esempi musicali commentati sempre dal punto di vista della "bacchetta". Impianto sistematico regolato da una pedagogia severa, funzionante senza il corollario della meditazione estetica", commenta l'autore, convinto d'avere scoperto il filo rosso che salda i conti di controversie e polemiche d'ogni tempo.
Leggere Scherchen, tuttavia, non basta per diventare autentici direttori. Le leggi della tecnica sono l'alfabeto, che può essere mandato a memoria nel breve spazio d'un mattino. Dopo di che, è questione di carisma, di fluido, di comunicazione, di sintonia, insomma dell'incognita che rappresenta qualcosa di più e di diverso. E su questo persino Verdi potrebbe essere d'accordo. Anche perché la musica, proprio per le sue qualità non verbali, non razionali, non semantiche, può più e meglio di altre espressioni d'arte raccontare la vita, la storia, l'avventura umana, lo spirito del mondo, di cui sa cogliere il senso profondo, l'essenza, l'universale natura legata al divenire (passato, futuro) del tempo.
Anche del nostro tempo. Per una lunga stagione, dall'alba del XX secolo, ci ha accompagnato un tipo particolare di musica, dal blues al jazz, dalla canzone napoletana al tango argentino, al folk song, fino al rock: musica che in diversi modi ha tentato di affermare "la supremazia del volgare sulla lingua scolastica, l'irrompere del linguaggio parlato su quello accademico" (Gino Castaldo). Si è trattato della grande utopia del Novecento, un secolo nato anche con le note emerse dai bordelli, dalle strade, dalle feste popolari, dai riti religiosi, dalle periferie delle città, dalle campagne povere, dai vicoli miserabili, ed entrate nel cuore (nelle emozioni elementari) della gente, del common people, fino a quando si scoprì la lezione dei severi "nemici del caso" (Schönberg sopra tutti gli altri, forse, che rimise in marcia le note e la loro grammatica, sintassi e semantica), ampliando gli orizzonti della musica classica moderna, e determinando la parabola calante della "musica improvvisata". A quel punto i "Maestri" sono risaliti sul podio, protagonisti assoluti della vicenda musicale e del suo dispiegarsi interpretativo. Verdi o Wagner, la controversia è destinata a continuare.


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