I treni




Giovanni Bernardini



Esisteva la sensazione assurda e astratta di un'informe macchia nera, a volte tuttavia azzurrina, entro cui un'immagine fluttuando cercava il suo ritmo. Ma ora tutto si identifica nella testa bionda della Ragazza accucciata all'angolo del divano dove il mite e spaventoso decoro dell'ambiente circostante l'ha sospinta, quasi inchiodata: il candelabro brunito, l'uccello del paradiso, il giradischi luminoso della sua stessa voce, dimensionato e oscuro nei silenzi, il disco un improvviso barbaglio, il canto spettrale, angosciato del cantante suicida. Chiusi gli occhi. Lungo lo stipite l'uomo mosse appena un dito, rimase inquadrato nel vuoto, gridò ch'era tempo di smetterla. Tutto questo non ha il sapore lontano e memorabile d'una realtà, forse neanche del sogno. Si colloca semplicemente (incredibili e infinite complicazioni) su una linea fluidissima, perché in fondo che si sia vissuta o soltanto sognata una storia, a distanza di qualche mese è perfettamente lo stesso. Indugia, un po' placata, in questo pensiero.
Il treno fa vibrare passando tutta la casa, la casa sente le sue ossa, si ascolta vibrare ed è di rimbalzo una repentina caduta, una catastrofe sulla Ragazza.
- Già - dice la Madre, e non dice più nulla, guarda fuori quella corsa vertiginosa dei finestrini illuminati.
Passarono gli uomini dai caschi di plastica nel teleschermo, si caricano dei loro sacchi bianchi, anche le tute sono bianche, salgono portati dalla gabbia metallica. E là in alto, là in alto... la voce urla aiuto, lancia dall'abitacolo l'esseoesse che è già troppo tardi raccogliere. Il bianco di quegli esseri, se possibile che ancora esistano i fantasmi, come il bianco di quelle tende - ma arrossate, sanguinose in un piccolo punto - intorno alla testa dell'uomo disteso sul marmo, non più uomo, illividito lungo il solco delle labbra, bluastro nelle unghie, nelle mani, nello sguardo ancora incredulo dei presenti. Poi l'ombra di quel fumo contro il cielo, che dura ormai senza ragione, senza più nulla da consumare dato che tutto quanto era incendiabile e distrutto. Il lucido disco nero, l'astronauta che passeggia librato oltre l'atmosfera, avvinto al suo cordone ombelicale, da esso tenuto e garantito.
Stavano intorno a lei. "Già" - dice la Madre. Lei nuda, ma non per fruire della sua pelle, o d'un suo piede, o della liscia curvatura del ginocchio, soltanto per strapparle con nastro gommato ottima marca la lieve peluria, così bionda, così impercettibile, affiorante sull'arco superiore della bocca al centro dove dalla radice del naso al labbro intercorre spazio più piccolo.
Beve. Dopo l'arsura di tutta l'estate, ché una notte o un'ora può essere uguale a tutta una stagione di fiamme. Non può fare a meno di quell'anello infilato al mignolo che la solleticava sulla caviglia. Ridotta così. Il viso magro della Madre glielo rimanda il vetro, anche se adesso la Madre sta in altra stanza o dorme forse o è uscita dietro la casa a inseguire la fuga dei vagoni e su quel flusso mormorando ripete il suo nome, e lei lo ode che prima non udiva o aveva dimenticato.
Non c'era nulla da fare. Lo sapevano tutti in tutte le altre stanze delle altre case. Eppure la notte al pari e probabilmente più del giorno non è che un'immensa follia di voler fare, sebbene ognuno sappia non esserci nulla, tranne nasconderselo, da fare.
Il cielo appare abbastanza basso, percorso da brevi striature grigie, fermo sulla stazione, non meno fermo laggiù oltre il baluginare dei vecchi binari. In fondo un fanale verde si accende - si spegne.
"Non abbiamo più niente da dire". Sempre le stesse parole e banali. Parole banali, atti banali, gesti banali: tuttavia per questo non meno tragica la situazione. Non esageriamo, diciamo drammatica. Ti salvasse almeno l'ironia! Ma ora... Benissimo, accettare quanto si riesce a dire e a fare. Insomma non respingere la propria realtà, ammesso che esista.
Non si tratta che girare un bottone. Ci bene su vino e liquori. Quindi tocca il bottone, ma quel piccolo, facile movimento non riesce a compierlo. Sullo schermo i cani sbucano latrando furiosi, sotti i colpi di luce visibili-invisibili, in ogni modo sempre più terribilmente vicini. Quell'orrore non suo, del fuggiasco dal Campo, come fosse suo. E ora lui stesso in fuga, la gamba s'è intricata nelle spine, la strappa, s'arrampica su per la scarpata e quando giunge in cima affannato si trascina fino all'orlo della strada e avanza reggendosi sulla gamba destra più che sulla sinistra ferite. Dietro agli alberi qualcuno pronuncia il suo nome, poi forte chiama. Sa che gli saranno addosso, in quanto non può prevederlo, certo più di due e per lui in tali condizioni due sarebbero già troppi. Dalla parte delle baracche di legno ecco il rumore martellante del treno, il fischio, lo spostamento d'aria provocato dai vagoni in corsa, sicché diventa perfino facile - più facile che girare il bottone - cadere a terra, sentire l'affilata durezza d'una pietra contro la fronte e il sangue colare dalla ferita e appannargli la vista, con tanto però che non sgorga dietro i vetri illuminati il volto d'una donna. Anziana gli è sembrata, aveva scostato la tendina e con molta probabilità osservava il treno. Quasi una simile probabilità abbia qualche importanza. Scopre la ridicola parvenza ipotetica delle probabilità. E' lecita piuttosto la convinzione che a nessun altro se non a lui, direttamente interessato soprattutto per quel sangue sulla fronte, importa o importerà nulla di quanto accaduto. Bisogna tuttavia riconoscere che una polizza d'assicurazione sulla vita ti dà una certa disinvoltura... specialmente se nel pieno delle forze e della tua attività la sorte appare come l'ultimo e il più improbabile degli accidenti. Ricorda finanche con assoluta esattezza il numero 530261 e in virtù dell'orecchio sinistro poggiato necessariamente contro il suolo - perché è caduto sul fianco sinistro per via della gamba più debole - è in grado di percepire il fragore lontano del trono che quanto diminuisce d'intensità tanto s'accresce nel tum-tum del suo cuore, nel duro stantuffo che dentro il cervello gli ripete 53-02-61...
Il Viaggiatore accende una sigaretta, abbassa il vetro, butta fuori il cerino, la ventata fredda lo disperde subito, investe il Viaggiatore, lo respinge nel corridoio, egli si riaffaccia, gli scompiglia i capelli, (vede il fanale verde), lo schiaffeggia piacevolmente dopo il caldo insopportabile dello scompartimento. Quelli discutono lì dentro da oltre un'ora o due addirittura.
Lui ha detto: - Non abbiamo che da augurarsi una superproduzione di frigoriferi e macchinette napoletane.
- Vuol dire?
- Voglio dire che le napoletane fanno un ottimo caffè, e così scoppiano le guerre.
- Dunque lei vuole la guerra. Non le sembra che le sue parole contengano qualcosa di anorme?
Allora s'è alzato, ha acceso la sigaretta. Esiste una variante finora insospettabile della morte o per meglio dire della conservazione in scatola applicata al corpo umano una volta che ne sia constatato il decesso. Il problema, come ogni problema d'una civiltà massificata e rivolta a quanto pare alla fruizione del benessere da parte di tutti, rimane quello della produzione industriale su larghissima scala sì da rendere accessibile a ciascun cittadino la possibilità di garantirsi una perfetta surgelazione rispetto alla quale una semplice polizza assicurativa sulla vita si riduce a ben minuscola cosa. Difatti molto più consolente della somma che la Società assicuratrice verserà ai familiari del defunto sarebbe la prospettiva d'una confortevole capsula entro cui egli verrebbe comodamente allogato in attesa non d'altrui benefici ma del proprio considerevole beneficio di resuscitare? Né va trascurata l'ipotesi che la resurrezione potrebbe avvenire in un mondo alquanto diverso (in meglio si spera) e in mezzo a facce nuove. Se ne deduce che auspicare una superproduzione di frigoriferi e macchinette napoletane, nell'ambito d'una civiltà consumistica al cui benessere frigoriferi e caffettiere ciascuno a suo modo, più moderno l'uno, più antico l'altro, ugualmente contribuiscono, significa porre le premesse per un focolaio di guerra e in conseguenza, stante il numero di cadaveri che di solito una guerra produce, incrementare la richiesta e quindi la produzione di capsule surgelanti e quindi il loro calo-prezzo, il che in ultima analisi è opera quanto mai filantropica.
La condizione della Ragazza è di tutt'altra natura: emotivo-sensoriale, non per ciò meno ricca di paradossi. Tanto vero lei continua a non parlare, si passa soltanto il mignolo - senza l'anello ma risolutamente intenzionata a darsene l'illusione - intorno alla caviglia per risalire lungo il polpaccio e di nuovo scivolare fino alla caviglia e provarne (lui faceva così) la tornitura perfetta. Che la Ragazza, sebbene la Madre la chiami o mediti sulla sua filiale solitudine, nel senso che non d'altro pare pigli gusto se non di essa, venga svolgendo un suo discorso interiore è evidente e ciò senza dubbio la situarebbe entro normale e rassegnata sofferenza se quell'anello non le conferisse un'aria talmente incantata da porla al di sopra di qualsiasi diagnosi, rendendsi lei ben conto di quanto è percepibile di là da ciò che è percepibile: appunto la storia dell'anello della cui presenza al dito mignolo non dubita affatto a forza di pensarci e riprovarne la goduta e rigoduta carezza.
- Una sola pelle non sarebbe sufficiente se un'epidemia ben organizzata ponesse il problema, scientificamente verificato e notoriamente ritornante, di possedere almeno una pelle di ricambio. I più ricchi, si capisce, avrebbero varie pelli e nella dovizia del rispettivo guardaroba potrebbero scegliere una pelle da mattina, una da colazione, una per il week-end, una per stare a letto con la moglie e molte altre per stare a letto con le altre donne. Ma a me che sto per venire al mondo e ignoro quanto mi convenga, anzi, a giudicare dalla sonda fotografica che mi controlla e mi osserva addirittura dicono da quando ancora lo sperma paterno non aveva fecondato l'ovulo materno, mi conviene ben poco e già m'avvio a prendere il mio posto di disadattato, a me homo in fieri basterebbe soltanto una pelle di ricambio: desiderio, mi pare, oltremodo legittimo e ragionevolmente modesto una volta che altri per me hanno deciso d'introdurmi nell'umana società.
Questo pressappoco il discorso o meglio il pensiero d'un Feto anche se appare assai poco probabile che i feti siano in grado di formulare pensieri, tanto più relativamente complessi in materia sia pure di dominio comune e personale interesse quale la pelle. Ma non è da escludere una mediazione della Ragazza nel cui utero il Feto sembra abbia sede.
Il dolore si fa acutissimo a sinistra, nell'interno della mandibola: c'è sempre un punto in una parte di noi che cela un'insidia e questa un giorno o l'altro esplode quando meno te l'aspetti e si gonfia dentro e ti divora. Si piega nella poltrona in avanti o abbandona il capo all'indietro; gli cola un filo di saliva da un angolo della bocca mentre una lingueggiante vampata lo lambisce lentamente, lo circonda e lo chiude, lo isola, lo rende ???? di passato e futuro. Esiste soltanto il presente di questa tortura. L'Infermiera Magra che agita mani diafane, puntute, solleva la siringa, esclama: - Questa le farà bene.
Sorride fissandolo negli occhi, chiamandolo col nome del ragazzo ch'egli era una volta e camminava lungo i binari per fare il treno, lui in testa, dietro gli amici, le braccia poggiate uno sulle spalle dell'altro e via di corsa accelerando gradatamente fino a che qualcuno non ce la poteva più e abbandonava il gioco.
- Andiamo, - dice l'Infermiera - non stia così abbattuto, non si lasci andare.
- Non ce la faccio. Morire è un gioco troppo difficile per me.
Il cielo è popolato d'oggetti misteriosi, un immenso cielo notturno, un grande silenzio nel cielo notturno, la donna che sorride, sopra il suo sorriso il silenzio del cielo notturno solcato da oggetti inidentificati. Il più misterioso e muto cielo notturno da percorrere con cavalli rossi o agganciati per una briglia d'oro a una nave spaziale collaudata e perfetta.
"Eppure non basta", la Ragazza non è capace di affermazioni così categoriche. Né la Madre:lei bada a quella fuga di finestrini illuminati. Nè l'uomo che arrancava su per la scarpata nè i signori del treno hanno parlato. Forse ha detto "non basta" l'Ex-ragazzo, che ricorda il treno vivo, fatto di mani, di spalle, di gambe della sua infanzia. Gli amici correvano, poi di botto si arrestavano ed erano il treno fermo con tutto lo sbuffare degli stantuffi, il gocciolio dell'acqua, lo sfrigolio del vapore che forma una nube e nasconde le ruote.
Questa è la città dove un giorno sei nato, un giorno ed è come non esserci mai nati. Il Viaggiatore ascolta il fragore delle ruote sopra il ponte d'acciaio e il rombo che le sbarre, vuoto dopo vuoto a larghe losanghe rimandano contro le vetture. Nella scarsa visibilità dell'ora il fiume corre di losanga verso la foce, laggiù si allineano i lampioni gialli antinebbia, dove una volta sei nato anche all'amore ma è come non esserci nati mai, scivolano i barconi controcorrente, la montagna stesa sull'orizzonte, la Bella Addormentata che i pastori chiamano così o badano di non svegliare.
In cielo violarancio è trascolorato l'immenso cielo notturno, ormai non più ciecamente notturno ma pronto ad aprirsi, pur se troppo presto ancora, a un occhio di luce verso il quale alza lo sguardo un signore, che è il Direttore n. 1, in piedi presso la finestra, e a se stesso mormora: - E' proprio uno strano inverno. Un cielo così violarancio mai capitato.
Allora il Direttore n. 2 si alza da dietro la scrivania, viene a metterglisi accanto: - A me non sembra così violarancio come tu vorresti far credere.
Ma il n. 1 insiste: - E' il più bel violarancio che abbia mai visto.
- A me nella migliore ipotesi potrebbe sembrare grigio, diciamo al massimo grigiocenere - s'impunta il n. 2.
Ma il n. 1 è signore di convinte certezze: - Violarancio, dico. Oltretutto un cielo di silenzio e di solitudine.
- Oh, gran bella cosa silenzio e solitudine mescolati con violarancio! Solitudine e silenzio vogliono grigiocenere o magari grigiofumo.
- Già, per creare nell'anima uno strato uniforme di malinconia laddove i tempi che viviamo richiedono una dinamica, un movimento cromatico anche nel dolore.
- Allora io ti dico in questo modo non si può andare avanti. Allora io ti dico in questo modo non si può andare avanti. Allora io ti dico in questo modo non si può andare avanti.
Il Direttore n. 1 sorride all'ingenuo tentativo del Direttore n. 2, suo collega e socio, tocca con mossa elegante il bottone, lo gira, si tratta sempre di un piccolo facile atto ch'egli compie perfettamente e subito il pickup si solleva dal disco che "Allora io ti dico..." in effetti non dice più nulla.
Rimane sopra ad essi un cielo di silenzio e solitudine. Anzi il Direttore n. 1 pensa-comanda di preparare vari chilometri striscioni pubblicitari sicché tutta la città prima del sole alto ne venga coperta. E i cittadini, per ogni dove nella luce diurna o nel lampeggiare notturno delle insegne, leggeranno e ripeteranno e alla lunga saranno costretti a meditare il magnifico slogan: Un cielo violarancio che per noi diventa un cielo di silenzio e solitudine.
Si potranno studiare anche cartelloni enormi da sistemare lungo le autostrade con opportune colorazioni, diciamo meglio vibrazioni di colori che dal violarancio degradino quasi inaspettatamente, e possibilmente creino una sensazione di contemporaneità, al silenzio e alla solitudine, entro cui le parole trovino ciascuna posto appropriato secondo il diverso valore semantico e la struttura ritmica tenendo conto delle brillanti sperimentazioni della visualizzazione e della forza persuasiva da essa promanante.
Ha voglia di birra, adesso birra dopo tanto vino e liquori. Sta inciso in un geroglifico di Ramsete: "Quanto è triste scendere nella terra del silenzio dove non c'è birra, per stare allegri". Il gelo della prealba gli si aggruma nelle tempie, nella ferita, una due o più ferite difficile dirlo nè lui lo sa ora perché ora la prealba porta la voce di Ramsete o chi per lui, non penseri squadrati come pietre di piramidi ma polverio di sabbia. Nella bocca, nella gola però quel desiderio acutangolo si conficca dentro più e più e sprizza in sangue dalla fronte, in birra forse ma ch'egli non può nè deve nè si sognerebbe mai di bere, fatta del suo sangue, spremuto pari a succo qualsiasi, limone poniamo o more: acidulo, diverso da birra, quella che con tutte le fibre desidera, vorrebbe birra bere, sotto una spina lavarsene. Ventre, piedi, deretano perfino. Ma di questa non può nè vuole perché sa, è soltanto sogno viaggiante sugli specchi della luce imminente. Già la prealba porta all'alba sebbene siano ancora sul confine e con grande considerazione l'una dell'altra si studino per sapere quale forma o atteggiamento più all'una e all'altra si addica. E' il momento del cielo nudo dopo il violarancio, buio imprevedibile, nerissimo anche dentro la navicella... "Non vi sento, non vi sento... ah, ci sono, le batterie si sono guastate... mi sentite?... non funziona più... provo con le riserve... ora comincio... ma gli strumenti non funzionano... sono senza ossigeno, maledizione... per carità... come? non posso fare nulla? nulla?... capitomi, capitomi, è terribile... ho girato il manometro... segna poco, pochissimo... fa così freddo... provo ancora, aspettata... non andatevene, rispondete... provo ancora... dovrebbe accendersi... rispondete... aspettando, non chiudete... rispondetemi...". Tutto ingoiato: l'appello alla Terra dal cosmo, la disperazione dell'astronauta sperduto, il suo volo senza fine in un cielo di silenzio e solitudine.
E' dubitabile s'egli sia in perfetta facoltà mentali, buttato lì a terra, nome e cognome stampati sulla polizza ma senza alcuna importanza, la brina gl'imbianca abiti e capelli, il desiderio di birra misto con quello della salvezza dell'astronauta, pur così disparati i desideri dopo uso alquanto snodato di alcolici.
A questo punto il Casellante abbassa la lanterna, oscilla la luce dall'attaccatura dei capelli al minuscolo spacco scavato da natura nel mento, delinea la sconcertante scoperta di quel corpo gettato obliquarente a due passi dai binari, interferisce attraverso il buio morente nella vita di lui per indagare quali vicende l'abbiano condotto a siffatta positura, la quale non può lasciare indifferente il casellante sebbene abituato a vederne e sentirne di tutti i colori perché un casello ferroviario situato a breve distanza dalla città offre svariate occasioni, anzi assume funzione di specola donde il moto dei treni e di quanti vi sia aggirano intorno nonché di quanti vi si collocano dentro per gli scopi più diversi viene continuamente e a volte con oculatezza estrema osservato. Pertanto il Casellante, soppesando il pensiero pur senza assumerne a pieno responsabilità stante la situazione sospetta in cui il corpo è stato ritrovato, cioè l'uomo fornito di polizza assicurativa, ne informa l'Aiuto-casellante con cenno significativo della mano cui dopo momentanea esitazione aggiunge: - Sembra morto.
- Un uomo morto? - risponde l'Aiuto - Comunque uomo.
- Probabilmente, ammenocchè non vogliamo tener conto di talune circostanze negative.
- Graffiato dalle spine.
- Ferito dalle pietre. Perde sangue ancora.
- Ha lividi sulla faccia.
- Uomo comunque.
- O un coniglio?
- perché no? O leone.
- O soltanto un cane randagio.
- Inseguito da altri cani.
- Cane pieno di paure.
- Ma anche di desideri.
- Anche se non è un uomo, perché in fondo non possiamo mai dire con certezza se uno è un uomo.
Quando sarà giorno e aprirà gli occhi e stirerà le gambe, se potrà aprire occhi e stirar gambe...
- Se potrà...
- Ma ora dobbiamo ispezionare i binari. Più tardi telefoneremo che vengano a pigliarselo i becchini o l'ambulanza o dal giardino zoologico.
Se avesse anello al dito potrebbe forse conoscerlo, invece non porta anelli o glieli hanno già rubati. Passandogli accanto la Ragazza si curva anche lei a scrutarlo secondo è possibile in quel riverbero proveniente dal mare.
Il mare tace, si mangia-rimangia la sponda senza rumore,chiaroscurale, un'apertura a oriente, dove s'infila a un tratto una fetta rossa, l'orizzonte fiata silenziosa, la fetta rossa vi balza su in groppo, al galoppo verso gli ormai prossimi confini del giorno.
Intorno alle conservamorti il Viaggiatore si propone di scrivere qualche paginetta semiseria. Ad esempio: "In quei paesi dove ancora vige la pena di morte, allo scopo di ovviare a meno infrequenti di quanto si creda errori giudiziari, l'uso di capsule ??? surgelanti dovrebbe essere imposto dalle leggi anche per rendere ai giudici meno tempestosi i sonni. Essi infatti si sentiranno più tranquilli allorché, a esecuzione avvenuta, il cadavere del giustiziato verrà rinchiuso in opportuna capsula e lì, anche dopo uno o due secoli, potrebbe raggiungerlo dietro revisione del processo una sentenza assolutoria con relativa riabilitazione. Considerate le tante riabilitazioni post mortem cui abbiamo assistito, bisogna proprio ammettere che all'umanità si prepara futuro radioso quando si pensi a tanti morti provvidamente incapsulati e surgelati e a un determinato momento richiamati in vita per accertata (o quasi) innocenza. Molto dipende dai fatti nella cosiddetta loro obiettiva realtà, molto anche dei punti di vista, dai tempi,, dal governo ?????? potere. Sicchè non è da scartare l'ipotesi che nel giro di pochi anni lo stesso individuo, stante la autorevolezza delle opinioni e dei governi, venga sottoposto a successivi revivimenti e morti. Resta comunque da studiare quali mezzi possano essere impiegati per l'esecuzione capitale in modo da non riuscire pregiudizievoli in senso definitivo all'eventualità che il mortammazzato venga di nuovo, come riuscito dall'alvo materno, ad allietarsi del consesso dei vivi".
Sonnecchia, piega la testa, la rialza, oltre il finestrino trova il mare. Madreperlaceo. Si tocca gli occhi, la faccia, si domanda dove ha messo la soponetta, non vede groppe o galoppi o fette rosse. Soltanto la sfilata dei lampioncinio veneziani sopra il fiume non finisce mai, lui ragazzino morto di sonno, i genitori lo tengono lì per forza alla festa del Santo Patrono. Non mare, fiume è quello. Il treno segue a centodieci la costa sinuosa, lunghi giri subcollinari, luce a sprazzi sì e no, sì e no una galleria dopo l'altra. Circa le capsule bisogna andare in fondo, condurre magari ricerche statistiche, esaminare in che misura c'è attinenza con tutto il resto.
La lanterna del casellante si allontana, spenta naturalmente dall'Aiuto. La Ragazza chiama, sente il dovere di chiamare: il Casellante prima di tutti che ha una lanterna, poi l'altro. Abbassino la lanterna fino alla bocca di lui per darle luce, la bocca dica quello che deve dire così illuminata dall'esterno. O forse nella da dire come nulla da fare nelle altre stanze, negli altri paesi, dietro altri orizzonti tranne quel lungo avanzare di raggi tangenzialmente alle onde dal grosso cocomero fino alla continuità parallela delle rotaie. La invade l'assenza d'una realtà da disegnare con tratti di facile riconoscimento e lettura. Madre dal canto suo sfugge a rapporti personali e profondi che non siano quello sguardare oltre i vetri alla ricerca d'una fuga prodigiosa.
Un dato si palesa abbastanza sicuro nel modo fi fare della Ragazza e coincide, nei limiti d'una certa approssimazione, con quello del Viaggiatore e forse dell'Ex-ragazzo, in quanto si tratta di ricorsi o meglio tentativi eminentemente rivolti a reintegrare non senza dolore spazi temporali irrecuperabili. D'altra parte pensare alla nudità assoluta del suo corpo inserito come esile silenzio fra Direttore n. 1 e Direttore n. 2 per un gioco da lei inimmaginabile non serve molto neppure ai fini d'un ripudio volontario di tutto il passato. Resta che la rapida intermittente percezione di losanghe, lampioni gialli, mani sopta le spalle e quegli abuffi di vapore sotto i piedi costituiscono una ragione positiva dell'essere, colto nella fluida composizione giornaliera, soltanto per i suddetti Viaggiatore ed Ex-ragazzo. Lei non può che dall'anello subire la torturante assenza-presenza. Si china di nuovo sull'uomo, tenta prendergli la mano, portarsela fino al labbro superiore dove quelli le hanno applicato la striscia gommata, ma subito l'abbandona fredda com'è senz'anello (un attimo l'ha sperato).
La Madre nascosta dietro un albero riprova con voce debole. Questa volta la Ragazza vorrebbe correrle incontro, abbracciarla, parlarle (sebbene dentro sappia, molto in fondo alla coscienza, quindi appena percepibile sì da non togliere ad ogni atto spontaneità e calore, che non lo farà) se ad un tratto non s'interponesse il fischio d'una vecchia locomotiva e dietro il frastuono rosso d'interminabili carri-merci, dopodicché la luce rompendo gli indugi del mare svela soltanto le rotaie, il pietrisco, l'albero spoglio.
Il Viaggiatore s'accorge d'essere molto lontano, passato ad altra latitudine e condizioni climatiche diverse, anche i discorsi si sciolgono, filano più snelli, acquistano precisione e forza comunicativa. Eppure degl'interlocutori solo uno o due mutati, esprimono tutti fiducia nell'uomo, bisogna però definire di quale uomo si tratta, tutti d'accordo naturalmente: Uomo con iniziale maiuscola, anzi UOMO a tutte maiuscola. Facilissimo intendersi. Sembra di conseguenza che il ragionamento sulle capsule e le caffettiere non abbia più motivo di svilupparsi e sistemarsi in trattato; semmai a livello ambiente caratterizzato dalla tecnocrazia, che in fase come la nostra di depressione morale e intellettuale si va costituendo alla burocrazia, conviene adeguarsi a un contenuto fantascientifico o più modestamente ripiegare sulla produzione in serie di robot-sbucciamele. Nebbia e smog frattanto continuano la loro opera ossidionale intorno e sopra a città alte di torri e grattacieli, nella pianura scorrono fiumi carichi d'affluenti e d'ambigua solennità onde una diversione su morte per acqua risulta quanto mai opportuna, adatta alla natura dei luoghi, pertanto il Viaggiatore con accortezza e perspicacia inserisce e porta su di esse l'argomento.


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