Le Giravolte




AA. VV.



Spirito d'armonia

La recente presentazione del progetto di Parco letterario "Girolamo Comi", tenutasi in Lucugnano di Tricase, per lodevole iniziativa del Consorzio delle Cooperative Sociali del Salento "La Vallonea", mi ha fatto prendere coscienza, meno superficiale di prima, del seguente semplicissimo fatto: io vivo a Casamassella (Uggiano La Chiesa), nel castello dove il Poeta nacque il 23 novembre 1890 da Giuseppe e da Costanza de Viti de Marco. Inoltre, la gradita visita d'un gruppo di qualificati ricercatori ha aggiunto la consapevolezza di quanto poco sapevo, ciò nonostante, intorno a Girolamo Comi.
Decisi perciò, una buona volta, come si diceva un tempo, di "far mente locale". In libreria avevo soltanto un'ingiallita copia di Spirito d'armonia (Edizioni dell'"Albero", Lucugnano 1954). Nella memoria, in quanto sopraggiunto, ultimo e straniero, avevo soltanto i versi rudimentali che il più vecchio poeta contadino di Casamassella, Emilio Paiano, mi aveva citato e recitato dal mio arrivo in quel dolce angolo di Terra d'Otranto, fino a convincermi che tale "Ninna nanna al castello" non era una rudimentale poesia, bensì un ricordo particolare, fissatosi nella sua mente di vegliardo: "Nei tempi remoti, una volta al mio paese / c'era, signora illustre, una marchesa / che stava dando alla luce un bambino / e per gli acerbi dolori gridava e gridava...".
Salto molti versi non decisamente gradevoli, ma non questo passo, che mi aveva sempre dato da pensare. Una presenza?
"Ninna nanna, bel bambino, / io ti sono qui vicino. / Ninna, baronetto, io ti nutrirò d'affetto. Ninna nanna, dolce figlio bello, / nella pace secolare del castello!".
Insomma, non sto scherzando, chi dice che non si trattasse dell'eco, poeticamente tramandata, della nascita del nostro Poeta? Non a caso, barone Comi...
Ma questa, direte, è un'illazione che non dimostra nulla. D'accordo, tuttavia nel concetto globale di Parco letterario, a mio avviso, devono trovar posto anche certi personaggi, radicati in loco, depositari d'una tradizione orale per niente trascurabile. Anch'essi sono "ambiente"... E il mio cantastorie, il mio improvvisatore, specie di cronista in versi, purtroppo scomparso e dimenticato, lo fu. Girolamo Comi, del resto, non può non avere amato, assieme ai suoi luoghi, anche certi "antichi" aedi. Altrimenti non avrebbe scritto una poesia come "Immagine del Salento", che piace riprendere tutta intera a pag. 33 dell'opera in mio casuale possesso:

"Numeri, figure e libri,
simboli d'una Misura
silenziosa e sicura,
fanno ch'io riposi o vibri
- vivo di sobri equilibri
nell'ossame della Natura.

Cristalli di luce varia
spaccano l'ozio dei suoli
per fecondarlo di voli
di cantici, d'aromi e d'aria,
e perché l'ansia del dire
s'incanti nelle matrici
rocciose delle radici
e nel loro sordo fiorire".

Bene, lasciamo da parte le ricerche induttive. Volevo soltanto sottolineare a modo mio, cioè non cattedratico, "la sua presenza" in questi dolci luoghi, dov'egli nacque, ma non sempre visse. Casamassella, del resto, si addiceva ad iniziare il discorso intorno ad un poeta tra i meno "antologizzati" dei suoi schivi e solitari conterranei. Ora, è tempo di darne notizie concrete a chi - e i ritardatari, come il sottoscritto, sono molti - non lo tenne nella dovuta considerazione.
Per esempio, quanti sanno che Girolamo Comi pubblicò prose di meditazione critica, come le seguenti? Mi riferisco, a puro titolo bibliografico, agli oggi quasi introvabili libri Poesia e conoscenza (Roma, 1932), Commento a qualche pensiero di Pascal (Lucugnano, 1933), Necessità dello stato poetico (Roma, 1934), che non mi stancherò mai di consigliare ai giovani d'oggi!, Aristocrazia del Cattolicesimo, (Guanda, Modena, 1937). Sono le prose di maggiore interesse, ma vorrei in sede di rilettura segnalare anche i seguenti versi: "Poesia" (Al tempo della fortuna, Roma 1928), "I rosai di qui" (1921), "Smeraldi" (1925), "Boschività sotterra" (1927), usciti tutti a Roma.
Intanto, eccezion fatta per il benevolo, incoraggiante commento dedicatogli nel 1912 (sic!) dal Mercure de France, il Nostro veniva distinguendosi per una certa indifferenza verso successi o consensi immediati, per i suoi lunghi silenzi e per quella disciplina fatta d'essenzialità e d'organicità che, appunto, sono egregiamente rese nel già ricordato Spirito d'armonia (1912-1952).
La nobiltà di nascita lo fece sembrare freddo e superbo; nella realtà del suo carattere, fu esattamente il contrario; così com'è facile percepire se appena leggiamo "Cantico del tempo e del seme" (1930), "Nel grembo dei mattini" (1931), "Cantico dell'argilla e del sangue" (1933) oppure "Adamo ed Eva", annotato Al tempo della fortuna fra le edizioni che Comi intraprese in società con Onofri e Moscardelli.
Il verbo intraprendere farebbe pensare al nostro personaggio perduto dietro ad imprese olearie concluse male, nonché ad allevamenti di galline faraone finiti nel nulla... (relata refero): preferisco cercare giudizi firmati e datati, che aiutino a meglio comprendere il simpaticissimo, poliedrico baronetto, secondo i ricordi di chi, fanciullino, lo ascoltò declamar poesie...
Aneddotica paesana a parte, di lui Sergio Solmi, in "Poesia cosmica" (Italia letteraria, Roma 2 giugno 1929) ebbe a scrivere: "[...] l'esempio del Valéry dovrebbe far riflettere che una poesia di questa sorta, figlia del caos e della distruzione, non può realizzarsi che sostenuta dal più assoluto, matematico rigore formale". L'essenzialità fu infatti il suo imperativo poetico, dove, per dirla con Giovanni Cavicchioli (Corriere padano del 4 luglio 1929), "la nuova poesia può essere cercata solo da chi ha una fede mistica nella parola".
Dopo rispettosa e attenta lettura (ripeto: egli nacque dove io vivo!) - perché no? - del "Cantico del Creato" (1939-1952), riconosco, con lo stupore d'un seguace improvviso e tardivo, che per Girolamo Comi poetare è atto religioso, tentativo di cogliere le "intenzioni" celesti, per tradurle ai terrestri:

"Tu sei lo stesso Signore
del giorno primissimo, quando
la Terra di luce grondando
- docile al tuo comando -
si risvegliò tutta in fiore".
………………………
"Tu sei lo stesso Signore
del primo giorno che volle
sensibili e pregne le zolle,
fruttifere le sementi
e saturo il nostro cuore
di battiti rifiorenti".

Temperamento esuberante, che canta la sana sensualità della vita, e dunque rifiuta ogni frigido pansessualismo teosofico, Comi è artista che suscita interesse umano più che letterario. Convengo con Ruggero Orlano che sul Tevere, nel 1931, segnalava l'insufficiente studio della "meridionalità" di un'arte che si identifica con la vita.
Non si tratta certamente d'una lettura facile; tra l'altro, non vuole esserlo. Questo spiega gli sforzi della critica passata. Attualmente, grazie al suo devotissimo Donato Valli, doverosa chiarezza è stata fatta. Era tempo. Intorno agli anni Trenta e Quaranta, invece, si coniarono attributi difficili, che poco servirono a meglio capire: "mattutinità", "pietrosità", "oscuramento iniziatico", "gusto del primigenio", "frammentismo", "severità intima"; e, per finire, "parole dense come stille di caglio, collegate fra loro da una rigida struttura sintattica" (Francesco Jovine, Roma 1934). Questo lo condivido!
Per quel poco che so, l'unico giudice severo del Nostro fu Carlo Betocchi (in Frontespizio, Firenze 1934), secondo il quale "[...] l'opera del Comi appare intanto manchevole dello stato di grazia, piena di orgogliosa tristezza, incatenante ad un basso sensismo. Non si fonda sulla conoscenza del male e del bene, ma postula una certezza che vive distaccata [...] senza altra giustificazione che se stessa [...]".
Lascio ad altri la difesa di chi, come spesso accade nella crudele repubblica delle lettere, fa sentire, oggi, la sua limpida voce con postumo vigore. A me basta la gioiosa sorpresa di quel suo sentimento cristiano della vita, ancora venato d'immanentismo, dove l'uomo è pur sempre la coscienza del mondo, nonché la constatazione di una residua presenza romantica, avvertibile nel suo "ispirazionismo" (Giancarlo Vigorelli sulla Rivista di filosofia neo-scolastica, Milano 1938). Per quanto mi riguarda, mi limito a camminare qua e là nella sua campagna, spiandone le sorgenti poetiche naturali; si direbbe, nel progetto citato in principio e mai abbastanza lodevole, "ambientalistiche".
Altri giudizi si sono susseguiti negli anni e l'approfondimento del messaggio comiano, oggi più che mai, è in piena evoluzione. Per il momento, nonostante sia del 1953, rimane fondamentale la definizione di Oreste Macrí, che su Paragone tanto bene "rese", appunto, l'autore di Spirito d'armonia: "Uno dei più saldi esponenti del simbolismo della generazione ungarettiana nella sua fase più arcaica, ontologico-metafisica, tra mistero animistico e poetica del Verbo...".
Vorrei, tuttavia, regalare al paziente lettore una lirica scritta "In memoria di S. Luciani", una lirica nient'affatto triste né lugubre, anche se intitolata "La morte" (pag. 143, op. cit.):

"Notte velata d'aliti d'eterno:
il tempo è un sogno fermo
sullo spazio che si dilata e freme
custode della crescita di un seme
che sa di terra e di umanità...
Il tempo - intenso - pare intatto e fermo
- zaffiro acceso nell'oscurità
della Notte che regna
illimitatamente sulla zolla pregna
di morti ansiosi d'immortalità".

Sono versi che rifiutano qualunque commento, scanditi senza fraintendimenti possibili. Se, però, qualche poeta iper-moderno intendesse inserirli in una più ampia scelta, li elenco, in quanto accomunati dal titolo "Conoscenza di Dio", con un gruppo di canti suggestivi e solenni. Cioè: "Cristo", "Trittico", "Immagine del silenzio", "Non so qual sia", "Comunione", "Preghiera per la madre", "Preghiera per il padre e per la madre", "I morti", "Ansietà di purezza", "Legge d'amore", "Spirito d'armonia".
Provate a leggerli la sera, quando state per chiudere gli occhi nel buio d'una grande camera a volte bugnate: sarà come raccogliersi a pregare in una cappella baronale...
florio santini

 

Scolpire poesia

Con sorpresa, sfogliamo questo delizioso librino di Salvatore Spedicato, Orticello ecometafisico. Versi e immagini, Editrice Salentina, Galatina 1996, ben conoscendo l'autore come artista e anche come puntiglioso critico d'arte, ma all'oscuro, fino ad oggi, della sua vocazione alla scrittura creativa, nella fattispecie alla lirica.
La sorpresa si muta presto in attenta partecipazione, sia per la nitida coerenza che al discorso poetico lega le fini incisioni che s'intercalano ai testi, sia soprattutto per la maturità e la cultura dell'esercizio letterario, tutt'altro che naïf (come può capitare in artisti prestati alla scrittura), ed anzi evidentemente ispirato e pensato alla luce di un cauto decadentismo, delle sintetiche accensioni ungarettiane, dell'ironia d'un Palazzeschi.
Nella poesia, e nei disegni, di Spedicato colpisce subito un eros dalla rotonda sensualità classicistica che tende però a sublimarsi, per coincidentia oppositorum, in uno spiritualismo mistico o in una metafisica che potrebbe indirettamente richiamare certe intense cadenze di un Comi. Il libro ci restituisce un'esperienza esistenziale complessa, decisamente chiaroscurale, che si scinde nell'evocazione panica dell'amore ("Lei"; "Cerchi aperti e chiusi"), in momenti di toccante riflessione ("Una notte a Perugia" o l'impeccabile "Piantina tetragona") e di preghiera ("Invocazione"), in estrosi e umorali graffi polemici ("Esami antichi"; "Figure").
Non si creda, però, che in questa poesia di estremi spirituali l'autore indulga a far vibrare corde apodittiche e retoriche. Tutto - e questa è la qualità essenziale del libro - è anzi sotto il dominio di una moderna misura espressiva, di un virile disincanto, per cui il verso conserva sempre un'espressività netta e pudica, una sua musicalità tenue che fa scattare con accorta parsimonia la rima.
Il magma creativo di Spedicato scorre pertanto fra argini netti e non si sperde nella dissipazione nichilistica dell'esperienza. Anzi la rotta mira a un approdo ben preciso nella conclusiva sezione "Saletta didattica", dove l'autore, pedagogicamente, ci fa cogliere il senso profondo e unitario della sua vicenda umana: organizzare la dispersione della vita nella disciplina dei segni, nel magistero dell'arte; riportare tutte le aporie dell'esperienza sotto l'imperio d'una missione d'Artista, che si qualifica come l'"uomo indomabile, duro come roccia e strano tipo di re, che non vuol regnare".
Quest'esito colpisce per la chiarezza, la sincerità, diremmo quasi la necessità, con le quali viene posto dall'autore e Orticello ecometafisico ci appare, conclusivamente, non la vacanza o la bizzarria di un artista, ma, nel panorama della pur feconda cultura salentina, un documento etico e umano d'inusitato impegno e rigore.
franco perelli

Salvatore Spedicato

E' nato nel 1939 ad Arnesano (Lecce), dove risiede. Scultore da sempre, ha tenuto una ventina di mostre personali (a Lecce, Taranto, Bari, Napoli, Frosinone, Gallarate, Milano, Venezia) ed ha partecipato, in Italia e fuori, a numerose mostre collettive di notevole rilievo: tra le più recenti, "Profezia di Bellezza", in Vaticano, con la presenza dei massimi artisti contemporanei. Sulla sua attività hanno scritto impegnate pagine studiosi e critici d'arte di prim'ordine. Troviamo sue opere in musei, collezioni civiche, raccolte private. La sua produzione comprende progetti per la sistemazione di spazi urbani, sculture in diverse tecniche di piccole e grandi dimensioni: dalla medaglia al ritratto, al "monumento". Fra le ultime da lui realizzate: la medaglia donata dalla città di Lecce al Pontefice in occasione della sua visita apostolica nel 1994, il ritratto di Giuseppe Codacci-Pisanelli (1977) per l'Università degli Studi di Lecce, diverse acqueforti che illustrano un suo libro di versi dal titolo Orticello ecometafisico (1996).
Principalmente negli anni Sessanta e Settanta, accanto all'attività artistica, ha atteso alla critica d'arte - impegno nato da un interesse anche morale, considerato "coraggioso ed efficace nella difficile condizione culturale del Meridione" (G. C. Argan). Nel 1960, spinto dai suoi maestri, inizia a dedicarsi all'insegnamento "artistico, che ottiene a tempo pieno, e nel contempo dirige (1960-'64) l'antica e rinomata scuola di "Disegno e plastica" della Società Operaia, ancora oggi nel cuore della Lecce storica. Nel 1964 risulta l'unico, fra molti concorrenti, incluso nella graduatoria di "Figura e Ornato modellato" formulata per il Liceo artistico di Lecce da una commissione composta, fra gli altri, da Emilio Greco. Nel 1971 ottiene la cattedra di Scultura - di cui tuttora è titolare - nell'Accademia di Belle Arti di Lecce, essendo stato giudicato "idoneo" da Pericle Fazzini e da altri maestri. Nel 1979, "per prevalenza di titoli rispetto a quelli degli altri aspiranti", il ministro della Pubblica Istruzione gli affida la direzione della stessa Accademia. Incarico che per successive conferme elettive biennali ha tenuto fino al 1993.

 

 

La Settimana Santa di Don Rotino

Sulla facciata della chiesa leccese del Buon Consiglio, a chi sa ben guardare in alto, sono scolpiti in formelle quadrangolari quelli che si definiscono comunemente "i segni della passione": i simboli cioè, gli strumenti che segnano le dolorose tappe dell'ultima avventura umana del Cristo. E' questo il pretesto o - se si vuole - il filo conduttore del bel video realizzato per la Settimana Santa 1998 da don Sandro Rotino. Impresa tutt'altro che semplice e tema quanto mai arduo e che avrebbe scoraggiato chiunque ma non un abile cineasta e un profondo conoscitore della storia e delle tradizioni leccesi come lui. Cosa dire di nuovo e di diverso su un evento che così profondamente ha segnato la storia dell'uomo e che drammaticamente immutabile si ripete ogni anno per ricordare il più sconvolgente sacrificio che si sia mai visto? E come trasformare in immagini non ripetitive ciò che già il teatro e il cinema hanno abbondantemente contribuito a diffondere rendendo patrimonio di tutti quella vicenda unica? Eppure in questo programma con grande perizia ed eleganza messo a punto per il pubblico salentino (ma anche - perché no? - per il turista curioso) si è riusciti a neutralizzare l'ovvietà mettendo insieme una preziosa antologia di pittura, di scultura, di poesia, di folklore, di musica che scandisce il racconto in maniera innovativa e fascinosa e cattura l'attenzione dello spettatore senza stancarlo per i trenta minuti della sua durata.
All'ombra della croce era il titolo di una semplice ma strepitosa biografia pubblicata a Lecce negli anni Quaranta da Teresa Francioso: quella della mistica Carolina Spedicato (1894-1932) di San Pancrazio Salentino. Niente di più appropriato per sintetizzare il lavoro di don Rotino che può essere inteso anche come un atto d'amore, una preghiera, un inno alla meraviglia della Croce. E' essa infatti il centro e l'epilogo del racconto, attorno a cui è costruita e ruota questa storia che non cessa di coinvolgere e commuovere l'umanità. Se, come ci conferma l'esposizione della Sacra Sindone a Torino, migliaia di persone attendono silenziosamente in fila per potersi inginocchiare dinanzi al velo che avvolse il Cristo, la partecipazione ai momenti della maggiore sofferenza in vita dell'uomo-Dio è talmente sentita e radicata nell'animo nostro, da lasciare ogni volta, nonostante tutto sia ben noto, interdetti e attoniti.
Tutto, come suggestivamente racconta il filmato, era cominciato con una cena, apparentemente simile a tante altre che l'avevano preceduta, in un giorno segnato dalla cupidigia di Giuda. Poi la narrazione volge al tragico e i momenti della passione vengono scanditi uno ad uno, lenti e inesorabili, perché chi osserva possa rivivere quei fatti non da lontano, da semplice spettatore, ma da più vicino quasi da protagonista, all'intorno o dentro l'esperienza del Cristo. O almeno è questa la sensazione che ha provato chi scrive come interamente coinvolto dalle immagini che si sovrappongono una dopo l'altra, scandite dalle pesanti parole della poesia ed accompagnate da forti brani musicali, taluni notissimi (la Missa da requiem di Verdi, il Mosè di Morricone) che inducono alla commozione.
Il video è diviso nettamente in due parti. La prima accompagnata dalla lettura di quattro sonetti, tre di don Franco Lupo, decano dei poeti in dialetto, uno del grande indimenticabile Arturo Leva che non solo ricostruiscono le fasi della passione ma scavano nella psiche dell'uomo, nel cuore duro del peccatore per far emergere a tutto tondo il conflittuale rapporto con Dio. La seconda più attenta alla partecipazione popolare, alla sofferta coralità che si esprime in canti ed inni dalla struttura e dalla profonda emotività, ed imprime nella pietra, meglio nella più nostra cartapesta, l'espressione del dolore, la maschera del pianto, la smorfia della sofferenza della madre al cospetto del figlio morto: sono le Madonne Addolorate del Maccagnani o le pietà di autore anonimo oggetto di culto nelle chiese di Lecce, o l'inimitabile sconvolgente "Gesù deposto" della tela di Oronzo Tiso che suggella quasi questa agghiacciante visualizzazione della morte di Cristo. Sono come sette tempi di quelle medioevali "sacre rappresentazioni" dalla durata interminabile che servivano ad avvicinare il popolo al mistero della passione: e i sette quadri o sette atti messi insieme da don Sandro Rotino ci sembra sortiscano lo stesso effetto. Gli va inoltre dato atto di rivelarsi dicitore appassionato e suadente raffinato interprete delle più impervie sfumature dialettali, vera "voce" della poesia leccese che è il filo conduttore del filmato. E' quasi un sommario di arte sacra salentina, dagli affreschi di Santo Stefano a Soleto, a Casaranello, a San Niceta di Melendugno, alle tele della Cattedrale di Lecce, di San Pietro a Galatina, alla pietra, al legno, alla già citata cartapesta che si trasformano nei tanti dolenti crocefissi presenti nelle chiese o nei corpi martoriati dei Cristi morti che in urne di cristallo si offrono alla contemplazione dei fedeli, o come quello di Santa Teresa a Lecce vengono portati in processione o ancora nelle commoventi Pietà spesso nascoste (piazzetta delle Scalze a Lecce) o anche visibilmente suggestionate dalla lezione del Mazzoni. E' una sintesi magistrale che si offre ai nostri occhi come un prezioso album fotografico in cui le singole foto si accostano e si susseguono in splendenti collages che ne esaltano il pathos, tutto su testi e musiche altamente coinvolgenti scelti con cura e padronanza dell'argomento.
Siamo alla fine del video e dinanzi al nostro sguardo si è compiuta per l'ennesima volta la "via crucis" del Signore, letta e presentata in modo inconsueto, più moderno se si vuole, ma non meno struggente e toccante. Chi conosce don Sandro Rotino e il suo talento artistico da "Le stagioni del sole" al "Centenario delle Marcelline" alla mostra "Maria nel Salento", che ha fatto il giro del mondo riscuotendo ovunque entusiastici consensi, non potrà meravigliarsi di questo suo recentissimo lavoro, perfettamente in sintonia con quanto lo ha preceduto. Chi non lo conosce (e sono pochi) vedendolo non potrà non congratularsi con lui per aver trattato magistralmente un tema non certo facile, o di facile presa sul contemporaneo distratto spettatore armato davanti ai teleschermi di un telecomando rapidissimo e spesso spietato. Ma comunque gli va dato atto - almeno così è capitato a chi scrive - di aver dominato per una velocissima mezz'ora, toccando il cuore dei più giovani e dei meno giovani, dei leccesi e dei non leccesi e di averci bloccato in poltrona conducendoci per mano alle antiche origini del dramma sacro. E di ciò, ancora una volta, gli siamo grati.
alessandro laporta


NOTA
Mentre correggevo le bozze mi è giunta notizia della improvvisa morte di Don Sandro Rotino (13 febbraio 1999). Mi colpisce la perdita dell'amico e mi dispiace che non avrà la soddisfazione di leggere questo mio intervento. Ricorro ad un raro fascicolo (novembre 1966) della bella rivista Campolungo una delle poche (e storiche) rassegne sul cinema pubblicate da noi e trovo un suo brillante scritto dal titolo L'uomo e il cinema d'oggi: motivo per rimpiangere ancor più la sua pluriennale esperienza, l'alta competenza tecnica, la bonaria disponibilità dell'uomo di cultura e del sacerdote. Fra l'altro mi piace sottolineare che Don Rotino fu per lunghi anni Direttore della Biblioteca del Seminario di Lecce ed intelligente collega. Con lui il Salento vede scomparire uno dei pochi cineasti professionisti (basti ricordare Le stagioni del sole), profondo conoscitore della cultura salentina, noto storico e studioso delle tradizioni popolari, raffinato cantore - attraverso il cinema e la fotografia - di una civiltà definitivamente legata al mondo del ricordo e della nostalgia.

 

All'insegna dell'Osteria Grica

Pierluigi mele

AGOSTO

Agosto: s'alza dai campi un vento
di tabacco e sterco di gallina.
In casa furoreggiano le mosche,
dive economiche e diaboliche dell'afa,
mentre sul letto arranca Filomena
alla frescura come il geco sul soffitto.

Fa capolino dai suoi novant'anni
ogni sera un grillo e una speranza.

 

NOTTURNO

(ad Antonio Errico)


Secco come la dalia nei bouquet
natalizi viene il notturno
che ci tocca. Dormilo comunque.
Che siano i sogni ad avere
bisogno in realtà di noi?
Le fiabe
ce le racconteranno i figli.

 

PER UN CANE

"…potevo chiedervi come si chiama il vostro cane
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero…".
F. DE ANDRÉ, Amico fragile


Sono occasioni alle spalle che la solitudine
stipa come vecchi abiti nell'armadio.
Così credo succeda a te, perso chissà dove.
Un tempo ti saresti dedicato
ai fuggiaschi amori d'un lampione
- con le falene che volteggiano in delirio,
a tuo modo bussando
al ritorno per la cena.
E da cane a cane
mancato le nostre carezze e i malumori.

Ora siamo entrambi fuori moda
per rimpiazzi come tra giocattoli
di serie. Tra noi e il passato
la libertà, quest'affollata solitudine.

 

BOSCO SEGRETO

(per Salvatore Toma)


Avessi visto la vanessa duettare
coi topi dagli oblò di lavatrici
ammonticchiate sulla periferia
che ottura le narici,
e penare il falco nel cielo epatico
dello scirocco - non appena spira
l'industriale tanfo dei frantoi!

A marzo compaiono i primi pellirosse
tra le felci; come contadini
affidano la rivalsa della terra a fitte piogge,
perché quando parlano, se mai li sentirai
parlare, i ricordi falsano radici, confondono
età nomi le nostre voci. E schiumano.

Ho saputo: tu avevi un'isola in cantiere
e un bosco per punire i giorni, e una donna
riconosciuta tra mille cuori in permuta -
troppo per scrivere poesie
con ogni virgola al suo posto.
"Conto di tornare nel giro di un'estate",
confidasti alla calliope. Poi più nulla.
Ora il naviglio s'è impigliato al largo
e il faro è scuro tuorlo all'orizzonte.

Riversa all'ombra della sedia hai visto
come un gomitolo la morte
per assestarsi inquieto
il filo della trama domestica
che i ferri esperti imprimono... Maglie,
bende strette agli occhi, - e qui
slabbra il gioco di parole tanto caro
ai rimatori del pettegolezzo.
Pure a quell'ordito, al tuo canto
ossessivo per la fedele morte ho dato
voce e musica di scena
per questo nulla che i polmoni alitano
nel nulla della sera. Ma ancora
si distingue il verso della civetta
contro il bosco: come la sirena della fabbrica
spalanca al passo il cuore della casa.

Apparecchieremo per gli assenti.


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