CRESCITA PER L'AUTONOMIA




Mario Sarcinelli



Chi ha avuto la fortuna di avere figli conosce bene lo psicodramma familiare scoppiato in casa allorché il primogenito ebbe la prima febbricola o dimostrò segni di inappetenza; alla preoccupazione materna si associava il nervosismo paterno e ambedue gli stati d'animo cercavano una riduzione dell'ansia con ripetute, spesso concitate telefonate al pediatra. Mutatis mutandis, è quanto sta accadendo all'euro, che nacque il 4 gennaio scorso tra il giubilo di molti euro-entusiasti, la composta soddisfazione degli eurofili e il lamento di qualche predica sull'abbandono delle monete nazionali, soprattutto di quelle che avevano saputo preservare o accrescere il proprio potere d'acquisto.
Tra gli euro-entusiasti non mancava, invero, chi profetizzava le "magnifiche sorti e progressive" dell'euro nei confronti del dollaro, destinato, secondo costoro. a perdere terreno nel sistema monetario internazionale e probabilmente anche in quello commerciale, per l'arrivo sulla scena di un nuovo protagonista in grado di esprimere la forza e la fiducia che derivano da una Banca centrale costituzionalmente votata alla lotta all'inflazione e da un continente che per popolazione. estensione, produzione e consumi può certo confrontarsi con gli Stati Uniti d'America. Quale non è stata, quindi, la delusione per gli euro-entusiasti nel vedere che la neonata moneta. invece di ripetere il prodigio di Eracle nella culla, si è progressivamente indebolita nei confronti del dollaro del 3,5 per cento in gennaio e dell'8,3 per cento tra la data della sua nascita e l'inizio di marzo!
Ecco, quindi, alcuni dei padri cercare di nascondere il proprio e l'altrui nervosismo dietro dichiarazioni dal tono rassicurante. Il presidente della Bundesbank ha affermato che non ci sono per ora grandi preoccupazioni nel settore dei cambi, aggiungendo, però, che per il momento questi non sono fuori linea. Anche Padoa Schioppa ha osservato che non si tratta di debolezza dell'euro, ma di forza del dollaro, la cui economia è cresciuta e sta crescendo al di là del previsto. Gli ha fatto eco il suo collega e vicepresidente della Banca centrale europea, Noyer, affermando che il rallentamento dell'economia in Eurolandia è ragione di preoccupazione. Quid agendum?
Prima di rispondere, è bene chiedersi se, invero, quell'aspettativa di apprezzamento dell'euro rispetto al dollaro che gli euro-entusiasti nutrivano sul finire dell'anno passato era giustificata e soprattutto se era opportuna. Gli eurofili, come chi scrive, avevano una posizione molto più riservata circa la quotazione dell'euro rispetto alla valuta americana, più che auspicare l'apprezzamento del primo sulla seconda, temevano gli effetti di quest'ultimo. Su che cosa era basata l'attesa di una rivalutazione della nuova unità monetaria rispetto a quella più antica e collaudata dal mercato? Sulla ristrutturazione dei portafogli di intermediari e investitori.
Si argomentava da parte di alcuni osservatori che l'arrivo dell'euro avrebbe permesso una diversificazione della ricchezza finanziaria su due monete di comparabile potenzialità, il che. combinandosi con i timori per le alte valutazioni di Wall Street. avrebbe indotto un movimento di fondi verso l'Europa e l'euro. La domanda per quest'ultimo avrebbe determinato l'apprezzamento del cambio, contribuendo da un lato ad abbassare ancor più il costo delle materie prime ed energetiche importate in Europa e dall'altro a mantenere sotto più stretto controllo l'inflazione, già bassa, sul Vecchio Continente.
Gli eurofili, timorosi dell'apprezzamento, si chiedevano se la forza della moneta non avrebbe continuato a mantenere al di sotto del potenziale il livello di attività in Eurolandia, incentivando le importazioni dall'esterno dell'eurozona e frenando le esportazioni. E' vero che l'aggiustamento richiesto al Sud-Est asiatico e all'America Latina richiede che le altre aree peggiorino i saldi delle proprie partite correnti, ma questa correzione sembra destinata a realizzarsi in minima misura nel 1999, secondo le previsioni di centri di ricerca internazionale pubblici e privati. Quindi, l'eurozona dovrebbe continuare ad avere un centinaio di miliardi di dollari di avanzo nella bilancia corrente. Se l'economia degli Euro-Undici non riesce ancora a trovare in sé la spinta per una crescita endogena, è giocoforza continuare ad affidarsi alle esportazioni per non fare ulteriormente cadere il tasso di crescita dell'economia, che oscilla tra il 2,4 delle previsioni formulate dal Fondo monetario internazionale e l'1,7 di quelle della J.P. Morgan. E questo scenario di rallentamento della crescita, che si spera possa invertirsi già nella seconda parte dell'anno, è quello che sembra essere emerso, sia pure con alcune variazioni sul tema, nel corso della riunione dei Governatori del G-10 che si è tenuto di recente a Basilea.
In un regime di cambi flessibili ai quali ci costringe la liberalizzazione dei flussi di capitale e la globalizzazione dei mercati, nessuna autorità può scegliersi il tasso di cambio che più le aggrada. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che se non si fa una politica volta a promuovere la crescita, il tasso di cambio dell'euro è destinato a riflettere oggi la forza e domani, forse, la debolezza del dollaro, ma non un proprio dinamismo. D'altro canto, il tasso di inflazione inferiore al 2 per cento che la Banca centrale europea ha indicato come obiettivo da perseguire in conformità ai propri statuti sembra essere ampiamente confermato dalle previsioni formulate dai citati centri di ricerca internazionale (+1,4 per cento da parte del Fondo monetario internazionale e +0,9 per cento da parte di J.P. Morgan per l'indice dei prezzi al consumo di Eurolandia). E' quindi altamente auspicabile che la politica monetaria della Banca centrale europea contribuisca con una riduzione dei tassi a definire una manovra orientata alla crescita interna e che la politica fiscale, come si è argomentato altra volta, allenti il ritmo di consolidamento delle pubbliche finanze in cambio di una revisione dei meccanismi pensionistici o di social welfare laddove essi sono chiaramente insostenibili nel medio-lungo periodo, come è vero in Italia. Una politica di riforme strutturali, ad esempio nel campo del lavoro, è anch'essa indispensabile.
Si può obiettare alla terapia qui auspicata che l'euro debole già fornisce un sostegno e che quindi un abbassamento del costo del denaro è inopportuno. La risposta è che il mercato sembra aver già scontato una riduzione dei tassi della Banca centrale europea attesa da molti analisti nel secondo trimestre di quest'anno, sicché un loro movimento verso il basso dovrebbe non far cadere il cambio o influire su di esso solo marginalmente.
D'altro canto, un "aiuto" attraverso il tasso di interesse beneficia tutti gli agenti economici, mentre un equivalente "contributo" attraverso il cambio favorisce gli esportatori, ma penalizza gli importatori e tende a mantenere quell'orientamento alla crescita esterna che era pienamente giustificato quando le undici economie erano monetariamente separate, ma non lo è più oggi che vede il loro grado di apertura commerciale verso l'estero ridotto a un 16 per cento.


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