Imprese: il tempo dei matrimoni




Ralph O'Neil



Il 23 novembre '98 anche i più incalliti operatori di Londra, di Francoforte e di New York devono essersi lasciati prendere dall'entusiasmo: dieci grandi fusioni o acquisizioni venivano annunciate contemporaneamente, per un valore complessivo di circa 180 miliardi di dollari. E' stato il punto culminante di un'ondata di operazioni rinviate per i precedenti ribassi di Borsa. Cerchiamo di orientarci in questo esaltante labirinto.
La "madre di tutte le fusioni" è stata annunciata il 26 novembre: Exxon acquista Mobil con un'operazione del valore astronomico di 237 miliardi di dollari dalla quale nascerà una compagnia con riserve superiori a quelle del Kuwait. E' il caso più clamoroso di una strategia dettata dalla caduta verticale dei prezzi del greggio, che ha spinto alla ricerca di economie di scala con concentrazione e chiusura degli impianti divenuti superflui. Dopo la fusione avvenuta in agosto tra l'inglese Bp e la statunitense Amoco, che ha dato vita al terzo gruppo mondiale, con sede a Londra, in ottobre è stata la volta di due gruppi giapponesi, Nippon Oil e Mitsubishi Oil. A fine novembre, la francese Total ha acquistato la sua concorrente belga Petrofina per l'equivalente di 69 mila miliardi di lire.
Come quello petrolifero, tutta una serie di altri "matrimoni" rappresenta la via obbligata per reagire all'eccesso di capacità produttive, dall'industria della carta (International Paper-Avenor in Gran Bretagna, Enso-Stora in Scandinavia, che hanno dato vita al più importante gruppo mondiale) a quella dei semiconduttori (un megabyte di memoria oggi costa 4 dollari, mentre 25 anni fa ne costava ben 550 mila) e dei computer (Digital-Compaq, per esempio). Un ulteriore percorso nel labirinto è quello della tecnologia e della ricerca, il cui alto costo ha stimolato, fra l'altro, la nascita di Aventis, terzo grande della farmaceutica tenuto a battesimo dalla tedesca Hoechst e dalla francese Rhône Poulenc. Nuove tecnologie significano nuovi rapporti tra settori che inducono a fusioni come quella americana tra Tyco, gigante dei sistemi elettronici d'allarme, e Amp, leader dei collettori elettrici; oppure quella inglese tra Siebe e Btr, da cui è nato il leader mondiale dei sistemi di controllo industriali.
Un posto a sé merita il settore elettrico, impegnato in una gigantesca operazione di liberalizzazione mondiale che prima ha portato i produttori americani di elettricità ad espandersi in Gran Bretagna, e, più recentemente, all'acquisto dell'americana Pacificorp da parte della scozzese Scottish Power e all'espansione in Gran Bretagna, in Austria e in Spagna dei francesi di Edf; anche i tedeschi di Rwe e gli spagnoli di Endesa, del resto, hanno effettuato operazioni all'estero. L'obiettivo di tutti è di trasformarsi da enti elettrici a soggetti multiutilities, capaci di fornire gas, elettricità, acqua, oltre a servizi telefonici e (perché no?) di pulizia dei condomini. Il tutto, ovviamente, condito di carte di credito e di altri servizi finanziari, dal momento che, una volta inserito un contatore, tra produttore e consumatore tutto diventa possibile.
La via maestra nel labirinto rimane però quella elettronica, caratterizzata da grandi operazioni volte a raggiungere le dimensioni finanziarie ideali per far fronte all'impegno della ricerca, oppure a dotarsi delle tecnologie per un salto di qualità strategico. L'operazione più clamorosa, al proposito, è senz'altro l'acquisizione di Netscape da parte di America on Line, prima vera sfida globale al primato di Microsoft per il controllo di Internet.
Quest'alleanza presenta un'appendice importante nell'intesa strategica con Sun Microsystems, che ha sviluppato un linguaggio operativo, Java, alternativo a Windows. Non meno rilevante, in questa chiave, è l'acquisto da parte di At&t del global network di Ibm, tassello cruciale per arrivare alle nozze con British Telecom con una dote capace di garantire una netta superiorità nella trasmissione dati e fonia a lunga distanza.
In Europa spicca lo straordinario dinamismo della Germania, addormentata da troppi anni all'ombra del marco forte. Nel giro di pochi giorni, al seguito dell'operazione Daimler-Chrysler c'è stata la fusione tra Viag e Alusuisse, che cambia completamente il volto del terzo gruppo tedesco. Pochi giorni prima era stata la Siemens ad annunciare - fatto traumatico per le abitudini conservatrici delle grandi conglomerate di Germania - la volontà di uscire, in un colpo solo, dal settore semiconduttori. Non si tratta soltanto dell'effetto euro, ma forse anche del distacco dell'imprenditoria tedesca dalla nuova leadership socialdemocratica che, non a caso, guarda con nervosismo crescente agli investimenti internazionali del capitalismo nazionale. Del resto, le banche tedesche soffrono in patria di steccati angusti e di limitazioni assurde, ed è ragionevole che abbiano avviato una strategia mondiale, tra l'altro con acquisti in Italia e negli Stati Uniti (con il patto d'unione Deutsche Bank-Bankers Trust).
Si tratta di uno "scongelamento" che riguarda mezza Europa: le grandi imprese tedesche, una volta emancipate dalla tutela delle banche, guardano ai mercati con occhio anglosassone. La Schering si impegna in un grande buy back in stile americano, la Hoechst divide le attività chimiche da quelle farmaceutiche, alla ricerca di una maggiore valorizzazione. E qualcosa del genere avviene anche a Parigi: Sanofi e Synthelabo mettono assieme le loro forze nel farmaceutico, Alcatel sembra destinata a un matrimonio con la Gec, Aérospatiale è al centro di vari corteggiamenti. E, dopo tanti tentennamenti, il governo sembra voler finalmente mettere ordine nel settore bancario, dando una sistemazione al Crédit Lyonnaise e, coinvolgendo il gruppo San Paolo-Imi, a Ccf.
In tutto questo gran lavorio brilla, almeno per ora, l'assenza dell'Italia, anche se sarebbe ingeneroso accusare le imprese italiane di immobilismo nel momento in cui, a cominciare dal mondo bancario, a fatica stanno cercando di recuperare il terreno perduto. Le fusioni bancarie, volte alla realizzazione di una dimensione sufficiente per recitare un ruolo importante nel mercato al dettaglio, con creazione di "valore" anziché difesa di "prestigio", hanno però ancora molta strada da percorrere, soprattutto sul terreno della razionalizzazione del personale. Del resto, le vecchie logiche dell'intreccio tra "poteri forti" condizionano ancora le sorti della Comit alla necessità di proteggere la cassaforte di Mediobanca. Una logica analoga, oltre tutto, sembra dominare l'avvio della grande partita elettrica, con Edison e Sondel, entrambi in orbita Mediobanca, impegnati in una politica di piccole acquisizioni e grandi intese che pare rivolta all'obiettivo di sbarrare le porte d'Italia ad eventuali ingressi stranieri.
Dalle poche grandi multinazionali italiane sono giunte soprattutto assicurazioni della volontà di continuare a recitare un pur modesto ruolo "globale". Per la Fiat questo ruolo è particolarmente pesante, a causa del verificarsi contemporaneo di situazioni politicamente difficili in Turchia ed economicamente difficili in Brasile, in un orizzonte dominato dalla fusione Daimler-Chrysler che cambia radicalmente il panorama dell'auto. La società torinese sembra reagire in stile americano: massima apertura e valorizzazione di prodotti e tecnologie. Per ora con un acquisto (la divisione alluminio della Peugeot rafforza un vantaggio competitivo globale) e forse in futuro con qualche cessione.
L'ondata di fusioni si è verificata quando all'Eni si concretava il cambiamento di presidenza. I nuovi vertici si sono affannati a dichiarare di essere pronti a fare acquisizioni, ma si sconta qui la debolezza italiana nel campo della politica internazionale. C'è chi dice che nel caso Oçalan l'ostilità manifestata dalla Turchia nei confronti dell'Italia dipenda in gran parte dalla posizione dominante che l'Eni ha assunto nello sviluppo di campi petroliferi e metaniferi nel Caucaso, il cui prodotto sarà esportato mediante oleodotti e gasdotti che bypassano la Turchia.
La Telecom, poi, è società ancora immersa nella cultura pubblica, costretta ad affrontare una rovente competizione privata, a cominciare dai telefoni cellulari, dove è fortissimo il dinamismo di Omnitel: si trova anche a dover affrontare, con evidente fastidio, scelte fondamentali nel settore delle reti televisive.
Le imprese italiane scontano il ritardo complessivo del Paese e l'ottimismo artificiale che si respira dal giorno dell'ingresso nell'euro. Sono ancora largamente carenti un sistema finanziario e un sistema di corporate governance veramente moderni, nonché una reale sensibilità politica e sindacale alle regole dell'economia globale. Occorre rendersi conto che, in un'epoca di mercati finanziari aperti, è relativamente poco importante stabilire se la maggioranza di un'impresa sia tedesca o americana o italiana. Conta, dal punto di vista della nazionalità, stabilire a quali regole di governance o a quale autorità politica un'impresa intenda sottoporsi. Ed è per questo che certi sindacalisti e manager italiani sono accomunati dal più intransigente nazionalismo societario: entrambi temono di perdere i privilegi derivanti da regole che li avvantaggiano. Ciò non basta a bloccare l'inserimento dell'Italia nell'economia globale, ma ne limita la possibilità di recitare un ruolo attivo.


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