UN EURO IN BILICO




Roberto Castrisi



La debolezza della moneta europea è certamente dovuta al fatto che gli europei si presentano divisi agli appuntamenti internazionali, rivelando che l'euro non è in grado ancora di trainare l'unione politica, come si presumeva all'atto della sua proposta.
Ma è tutto? Non avrà anche avuto il suo peso la grave lacuna della politica monetaria nell'ignorare la natura fondamentale del cambio nel modello di sviluppo europeo con la conseguente riduzione dei tassi ufficiali che non ha tenuto conto del livello di quelli americani? La debolezza dell'euro altera artificialmente la competitività delle merci europee, ed espone le esportazioni a rischi di instabilità.
La probabilità che l'euro si rafforzi dipende da molti fattori: sarebbe bassa se gli Stati Uniti aumentassero i tassi dell'interesse e se la disunione politica europea continuasse; sarebbe elevata se gli Stati Uniti abbassassero i tassi e l'Europa progredisse sulla strada dell'unione politica. Nel primo caso la debolezza dell'euro continuerebbe e la Banca centrale europea potrebbe essere indotta ad aumentare i tassi dell'interesse, scoraggiando la ripresa. Nel secondo, l'euro si rivaluterebbe, le esportazioni ne patirebbero, la ripresa produttiva si allontanerebbe e, con essa, diventerebbe più difficile anche il rilancio dell'occupazione.
Nonostante ciò, la tesi che il rapporto di cambio sia una variabile politica da non lasciare alla sola volontà del mercato non ha fatto passi avanti. Dobbiamo condividere con Ciampi l'opinione che il ministro delle Finanze tedesco fornisce la diagnosi corretta, ma suggerisce di attivare gli strumenti sbagliati. Il ministro tedesco fa bene, anzi benissimo, a ricordare che la ripresa dello sviluppo produttivo e dell'occupazione è condizione indispensabile per la sopravvivenza dell'Unione monetaria e per il progresso dell'unione politica; come fa bene Ciampi a rivendicare il pieno diritto dei governi ad avere un'opinione sul tasso dell'interesse. Che cosa ne facciamo di un'Europa che non si prefigge di migliorare la convivenza civile? Come raggiungere questo obiettivo?
Innanzitutto rinunciare a una politica di bilancio rigida, indipendente dalla formazione e dall'utilizzo del risparmio. Se in taluni Paesi europei, com'è il caso dell'Italia, esiste risparmio inutilizzato, la politica di bilancio deve essere più flessibile. Non si capisce perché nei consessi internazionali si spinge il Giappone a spendere di più, quando il suo deficit è già doppio rispetto al limite del 3 per cento europeo. Né si comprende come si possa recepire il pareggio del bilancio pubblico negli Stati Uniti, dato che sono costretti a farlo per l'esistenza di un grave deficit nei conti correnti con l'estero.
Inoltre, occorre indurre gli Stati Uniti a coordinare la loro politica monetaria e di bilancio almeno con l'Europa. Se si rifiutassero, si dovrebbe denunciare l'incoerenza di questo comportamento con la globalizzazione delle economie nazionali e, in alternativa, si dovrebbe condurre una politica di stabilizzazione dell'euro. Questa è resa possibile dall'eccesso di risparmio, dalla stabilità dei prezzi e dall'economia stagnante in Europa. In ciò siamo contrari alle tesi prevalenti, in quanto la speculazione attacca i corpi deboli e l'Europa non lo è, se non politicamente; e lo è proprio perché imprigionata nelle sue miopie di bilancio e nelle sue beghe monetarie, invece di intraprendere una politica di sviluppo di respiro mondiale. Infine, i governi devono smettere di chiedere una riduzione dei tassi, sia perché hanno un modesto effetto sullo sviluppo, sia perché in presenza di un euro debole, di tassi sul dollaro più elevati e di un permanente eccesso di domanda di base monetaria (emerso in tutte le aste della Banca centrale europea) si dovrebbe aumentarli, e non diminuirli. E' il caso di ripetere ancora una volta che siamo ben lontani da questa politica. E' giunto per l'Europa il momento di decidere se è un'Unione oppure una Disunione!


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