Della normalità e della criminalità




Vanni Oxilia



Alla fine del 1997, secondo il rapporto annuale della Caritas, gli stranieri regolarmente residenti in Italia erano l.240.721, di cui circa il 90 per cento provenienti da Paesi extracomunitari. L'aumento rispetto all'anno precedente è stato del 13,2 per cento, pari a 124 mila nuovi arrivi, di cui il 41 per cento proveniente dai Paesi dell'Est europeo.
L'incidenza degli stranieri sul totale della popolazione italiana è del 2,2 per cento, ma la dispersione territoriale è molto eterogenea. Più della metà degli stranieri regolari risiede nel Nord della penisola (il 20 per cento è in Lombardia), il 30 per cento nel Centro (per la maggior parte a Roma) e la restante parte si è insediata nel Sud e nelle Isole. I capoluoghi di regione tendono a ospitare la maggior parte della popolazione non italiana. Escludendo i visti turistici, i nuovi ingressi regolari nel '97 sono avvenuti per una quota rilevante (19 per cento) per motivi di ricongiungimento familiare, confermando la tendenza all'insediamento stabile nel nostro Paese di alcune comunità immigrate.
Dal '98, con l'approvazione della legge sull'immigrazione, il Parlamento ha fatto obbligo al governo di redigere periodicamente una relazione sulla presenza di stranieri irregolari in Italia. Il ministero degli Interni stima che gli immigrati irregolari presenti sul territorio nazionale a metà '98 fossero più di 350 mila. In termini relativi, ciò significherebbe che in Italia per ogni cento stranieri regolari ci sarebbero più di 35 irregolari. A questo andrebbe aggiunta una quota non meglio quantificabile dei 155 mila permessi di soggiorno scaduti durante l'anno e non rinnovati.
Anche in questo caso, la dispersione territoriale della presenza irregolare è eterogenea: ci sono aree (Lombardia, Piemonte, Toscana) in cui più di un terzo degli stranieri presenti sarebbero clandestini. Disaggregando per provenienza, si può notare come circa il 40 per cento dei rumeni presenti sul territorio italiano sarebbero irregolari; e così il 32 per cento dei polacchi, il 28 per cento dei cinesi, il 21 per cento degli albanesi e il 17 per cento dei marocchini. E sono per lo più gli irregolari ad essere oggetto di provvedimenti giudiziari: nel '97 e nel '98 su cento cittadini stranieri denunciati, indagati o arrestati, mediamente 76 non erano in possesso di permesso di soggiorno.
La presenza irregolare si riversa per la maggior parte nel bacino del lavoro nero. L'Istat stima che in Italia i lavoratori irregolari (italiani e non) siano cinque milioni, di cui il 14 per cento stranieri (circa 700 mila soggetti), prevalentemente concentrati nel terziario. Il processo di integrazione va, comunque, avanti. La nuova legge sull'immigrazione contribuisce all'inserimento stabile degli immigrati nella società italiana, concedendo una carta di soggiorno a tempo indeterminato per gli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno cinque anni, i quali dimostrino di avere un reddito sufficiente per il sostentamento personale e del proprio nucleo familiare. I potenziali beneficiari dei permessi a tempo indeterminato sono circa mezzo milione e rappresentano con buona certezza l'immigrazione non in transito verso l'Europa continentale. La comunità più rappresentata - non tenendo conto, per ovvii motivi, di quella statunitense - è quella marocchina (14 per cento), seguita da quelle filippina, tunisina e senegalese. E' presumibile che, data la dimensione della quota dei residenti stabili sul totale delle presenze straniere regolari, presto si presenteranno questioni tipiche di un processo di integrazione civile. Prima fra tutte, il diritto di voto, magari combinato con quello degli italiani all'estero, diritto che alcuni Paesi dell'Ue garantiscono già ai cittadini stranieri nelle elezioni amministrative e che il Consiglio europeo ha raccomandato a tutti i Paesi comunitari.


All'integrazione "per legge" si aggiunge una tendenza all'integrazione naturale. Negli ultimi anni, i matrimoni misti sono stati più di 15 mila all'anno, contro i 5 mila del decennio scorso. Ogni anno nascono 20 mila bambini, figli di coppie di cui almeno un genitore è straniero, e gli studenti stranieri iscritti nelle elementari aumentano a ritmo sostenuto: +17 per cento all'anno.
Il significato di questi dati è chiaro: l'Italia deve riuscire ad affrontare la presenza degli stranieri - che ha, peraltro, molti aspetti positivi, considerata la demografia italiana - in termini di "normalità" e non più di emergenza. Ma se per l'emergenza siamo male attrezzati, per la normalità sembriamo non esserlo affatto.
Problema della cosiddetta "micro criminalità". Dall'inizio dell'anno abbiamo cominciato a leggere di omicidi, rapine, furti, estorsioni, e armamentari annessi e connessi, fatti apparentemente separati, in realtà legati strettamente tra loro da un filo nero come la pece. Il filo del crimine urbano è un legaccio che stringe alla gola le città, piccole e grandi, del Nord, del Centro e del Sud. E allora, prima di avviare ogni altro discorso, è necessario capire che cosa unisce i più diversi reati, che cosa rende questa disordinata sequenza di crimini un problema nazionale.
La risposta è dietro agli stessi misfatti: tutti, o in grandissima parte, sono compiuti dalla nuova malavita, da bande che dieci anni fa, abituati come eravamo agli standard della mafia, della camorra e della 'ndrangheta, nemmeno prendevamo in considerazione. Bande feroci, con nuove regole, trovano sulle nostre strade il terreno fertile per svilupparsi e per arricchirsi, seminando morte e paura, costringendo i cittadini a rintanarsi in casa.
Ma che cosa è successo in Italia? Che ne è stato addirittura di quella strana pax che era seguita agli anni cupi del terrorismo e della mafia? La risposta, paradossalmente, è semplice: dieci anni, per le grandi città, ma anche per quelle medie e piccole, possono equivalere ad un secolo, e in quest'ultimo decennio le nostre città sono terribilmente cambiate. Immigrazione clandestina, nuove forme di gangsterismo, famiglie criminali importate da zone interne infette o da aree in cui fino a poco fa si è combattuto, abituate ai codici militari, e capaci dunque di applicarli nella malavita locale e urbana: tutto questo si è verificato, sotto gli occhi di ciascuno di noi, ed è inutile nasconderselo. Come è inutile nascondersi che le complicità anche di alto livello in tutti i settori delle istituzioni hanno contribuito alle metastasi delle piovre, alla nascita di nuove, feroci piovre, alla saldatura di criminalità nazionali e straniere. Una riflessione si deve pur fare, senza falsi pudori e senza pregiudizi, partendo dai dati certi che possediamo.
Il discorso sulle mafie nostrane è complesso, ma la lettura del fenomeno lo è di meno. Noi conosciamo famiglie, 'ndrine, cosche e quant'altro, compresi i territori in cui agiscono, le attività cui si dedicano, i traffici in cui sono coinvolte, persino - con buona approssimazione - i redditi che accumulano e che riciclano. Che cosa ha impedito finora che le nostre mafie fossero distrutte? Le cause sono state molte, ma in primo luogo sembra doversi mettere la pratica del voto di scambio, che ha fatto del Sud una terra in pugno alle criminalità organizzate e, nello stesso tempo, un enorme serbatoio clientelare. Ma avremo modo di tornare sull'argomento. Per quel che riguarda le altre criminalità. Punto primo. Nascosti tra quanti sono venuti in Italia, a cercare di dare un nome alla speranza di lavoro, sono giunti in quest'ultimo decennio migliaia di criminali: trafficanti di armi e di droga, sfruttatori della prostituzione, organizzatori di racket, rapinatori, svaligiatori di case, spacciatori... La povertà di controlli alle frontiere e negli stessi nuclei urbani ha convinto una gran massa di malavitosi a lasciare l'Est o il Terzo Mondo per cercare da noi l'Eldorado. E, a giudicare dalle impunità di cui godono e dai risultati che hanno raggiunto, si potrebbe dire che l'hanno trovato.
Secondo punto. I gruppi di malavita formati da immigrati hanno introdotto nuovi modelli di comportamento criminale e usi e costumi delittuosi che non sono ancora del tutto chiari ai nostri investigatori. Chi ha interpretato ancora le regole che disciplinano i clan russi o nigeriani? Chi può chiarire i fenomeni che stanno dietro le guerre tra clan albanesi o russi? Chi controlla e traduce in chiaro i movimenti carsici degli integralisti musulmani, anche politicizzati, emersi in parte nei giorni del caso Oçalan?
Terzo punto. Per fronteggiare queste nuove realtà, esistono forze di polizia calibrate ancora su vecchi modelli di crimine urbano. Quanti investigatori sono in grado di infiltrarsi? Quanta prevenzione reale si fa?
Quarto punto. Molte nostre città, che hanno subìto un così radicale cambiamento in questi ultimi dieci anni, sono ancora oggi tranquille. Ma sembra la pace delle polveriere: basta poco per far precipitare la gente nei baratri della paura, e basta molto meno per far deflagrare tutto. Gli scenari prossimi venturi possono essere tremendi. La gente onesta sente il fiato sul collo e invoca la giustizia-fai-da-te. Scorciatoia pericolosa. Ma è inutile rintuzzarla con sdegnati commenti. In tutte le sue forme, lo Stato deve ammodernarsi, rimodellarsi e rimodularsi, ricalibrandosi con estrema urgenza, per dare sicurezza, certezza di diritto, e dunque certezza di libertà ai cittadini e alle loro cose. La solidarietà umana è nobile quando si manifesta nei confronti degli immigrati onesti, è ignobile quando elucubra motivazioni politico-sociologiche nei confronti degli immigrati disonesti. Chi fa orecchie da mercante a questi princìpi basilari della convivenza fa nascere il legittimo sospetto che abbia ben altri, e inconfessabili, interessi e tornaconti, personali, di gruppo, di parte. Perpetua la mafiosità diffusa, l'aria che cammina non più soltanto al Sud, ma in tutta la penisola, facendosi esso stesso focolaio di un'infezione che impedisce all'Italia di entrare di diritto nella modernità.


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