Massafra e due Re




Fulvio Summaria



Solo quando ci troviamo di fronte ad avvenimenti che intersecano direttamente le popolazioni e i nostri paesi, solo allora ci ricordiamo di andare alla ricerca dei motivi che determinarono la costituzione di molti agglomerati urbani.
Siamo in Puglia e precisamente in terra ionica, a poca distanza da Taranto, dove incontriamo Massafra, grosso centro con interessi agricoli e industriali. Questa, fra le tante città della Puglia, è la più misteriosa, in quanto la sua nascita è una diretta conseguenza delle persecuzioni subite dai Greci ad opera degli iconoclasti, prima, e poi dai siculi durante le prime dominazioni arabe intorno al Mille.
Si deve infatti alla immigrazione di nuclei cristiani provenienti dalla Grecia che questa caratteristica città sia sorta su due poggi dominanti un profondo burrone.
Lo storico Vincenzo Gallo nella prima parte del suo profondo studio sulle origini del centro ci precisa appunto "che alla immigrazione di quei Greci si deve l'enuclearsi di un primo villaggio detto poi Massafra, perché i primi abitatori latini, in queste contrade, erano rarissime famiglie di eremiti, le quali vivevano lontane e separate le une dalle altre, ovvero di piccoli aggruppamenti senza nome e in dipendenza dell'Episcopus di Taranto. La giurisdizione ecclesiastica era quella di un vero contado, e dipendeva da Roma. Lo dice la scarsezza dei ricordi lapidari e la difficoltà di organizzarsi prima dell'epoca bizantina".
"Quando i Cristiani elleni vollero trovare uno scampo all'ira degl'iconoclasti certo non vennero alla cieca in queste contrade che ignoravano. Furono date loro notizie e informazioni dai Cristiani latini circa la esistenza di queste gravine, le quali per essere boscose offrivano larga ospitalità ai fuggitivi Elleni. Ed ecco come si spiega l'intensa, rapida immigrazione in queste località gravinose nei secoli VII e IX. A questo non sarà vano aggiungere un'altra emigrazione di Cristiani dalla Sicilia, dove la dominazione araba progrediva fino ad occupare tutta l'isola".
Per ciò che riguarda l'etimologia del nome, riteniamo di poter essere d'accordo con il Gallo allorché questi, richiamandosi ai nomi di altri centri aventi come radice il termine "Massa", ne fa per l'appunto risalire le origini alla voce "Massa-fera", da massa, che in latino significa tenuta, quantità di campi, e féra, che sta al posto di "selvaggio", inospite e agreste. Poi, per l'ineluttabile legge fonologica della sincope nei dialetti dell'Italia meridionale, féra si tramutò in fra, e da ciò l'attuale Massafra.
Quando l'odierna strada statale che porta a Taranto non era che un budello polveroso e assolato d'estate, e un fiume di fango d'inverno, il paese aveva già un peso nell'economia agricola e nella politica del Regno delle Due Sicilie. E ci piace ricordare due episodi storici che fecero vivere ai massafresi due date che oggi hanno tutto il sapore dell'aneddoto a tinte forti e poco edificanti per i grandi protagonisti che vi figurarono.
Nell'anno 1813 Re delle Due Sicilie era Gioacchino Murat, il quale, viaggiando in lungo e in largo per le province meridionali, reclutando soldati per Napoleone e per rendersi conto dello stato delle "difese permanenti delle coste adriatiche e ioniche", come il Monitore, organo ufficiale di stampa di allora, ci precisa, nella primavera dell'anno predetto capitò anche a Massafra. Qui giunto, a sera inoltrata, decise di pernottarvi. Ricevuto dal sindaco Domenico Giannotta e da altri notabili, fu ospitato in casa De Carlo, l'antico palazzo che è posto ai piedi dell'abitato. Nonostante l'ora tarda, la notizia si diffuse e molta gente si affollò dinanzi al palazzo con non molto piacere del monarca-repubblicano-democratico generale Murat. Fu proprio entrando nella sua occasionale dimora che l'eroico condottiero ebbe una vera e propria paura di essere fatto fuori: una malaugurata folata di vento aveva spento nelle mani dei servitori i lumi ad olio.
Trambusto e panico che culminarono nella voce concitata di Murat, il quale, temendo il peggio, fra la calca cercò di farsi individuare gridando: "General, general...".
Quella notte non mangiò, dormì vestito con le armi a portata di mano, e ogni tanto si alzava per guardare dalla finestra, assai preoccupato, i capannelli dei massafresi che stazionarono per quasi tutta la notte dinanzi a palazzo De Carlo. In altri tempi il generale Murat, nelle stesse circostanze, si sarebbe forse buscata una raffica di mitra, invece...
L'altro aneddoto si riferisce a Ferdinando II di Borbone. Era il 13 gennaio 1859 e il Re, compiendo un viaggio nelle "sue" Puglie, passò da Massafra. Fermatosi sul limitare dell'abitato per il cambio dei cavalli, il popolo gli rese omaggio con tutto il clero e i notabili del paese.
Le autorità municipali avevano eretto un arco trionfale sul quale troneggiava una scritta così concepita: "Massafra in segno di fedelissima sudditanza". Frase bella, ma inconsistente; chissà quanti di quei popolani esultanti avrebbero volentieri impiccato il loro amato sovrano. Forse tutti, e magari ci avrebbero pure bevuto e mangiato sopra.Comunque in quel momento, tra baciamani e inchini, si sentirono delle voci; grazia, grazia, Maestà. "Che grazia volete?", chiese il Re. Quindi, un giovane precisò: "Maestà, vulime la festa della Madonna della Scala a maggio". In quel momento interloquì un altro giovane, che con furbizia gridò: "Vulime l'acqua a li muline". Arguta frase, che poteva avere molti e nessun significato e alla quale il Re, sorridendo verde, rispose: "Ve sia cuncesso!".
Fu prudente e fece bene: di quei tempi e in quelle circostanze era d'uopo diventare "democratici". Era l'epoca in cui tutti parlavano di libertà vantandosi di battersi per essa, e tuttavia l'unica vera libertà concessa era quella di ignorarla del tutto. Proprio come oggi, anno 1999.


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