UNA BATTUTA D'ARRESTO NELLA STORIA D'EUROPA




Franco Cuomo



Non si taglia la testa a un re e a una regina, ai loro consanguinei e a migliaia di aristocratici o qualsivoglia cittadini, per poi fare imperatore un tenente di artiglieria. Non si toglie la corona di testa a un re per dare poi licenza a un arrivista, sia pure geniale, di coronare l'intera sua famiglia inventandosi stati e staterelli a misura di fratelli, cognati e sorelle in ogni sito dei territori occupati attraverso un espansionismo brutale, nel più assoluto disprezzo del diritto dei popoli. Ha avuto molta stampa compiacente in questi due secoli la rivoluzione francese. Ma se poi ci si interroga davvero, senza forzature demagogiche, sulle origini della democrazia moderna, bisogna convenire che su ben più solide basi fosse già nata all'epoca sull'altra sponda della Manica. Dove nessuno si era tirato indietro al momento di tagliare la testa a un re, quando le necessità storiche l'avevano richiesto, ma con ben altro stile, senza tanto chiasso, senza stravolgere le regole del vivere civile. E con più di un secolo di anticipo.
Sono sempre più numerosi, ma non ancora abbastanza da poter estirpare il pregiudizio generato dall'epica rivoluzionaria francese, i ricercatori che riconoscono senza reticenze in quell'evento una duplice barbarie: per l'obiettiva disumanità delle azioni che ne caratterizzarono il corso, agevolmente comprovabile con gli strumenti della moderna storiografia, e per avere segnato una brutale battuta di arresto nell'evolversi della civiltà europea. Ritardando se non altro l'affermazione di principi che, pur essendo già nell'aria, vennero poi svuotati di ogni credibilità dalle deviazioni, dagli eccessi, dalla crudeltà dei tribunali rivoluzionari.
Non è paradossale, se si osservano i riflessi della rivoluzione francese sull'assetto europeo degli anni immediatamente successivi, trarne la conclusione che pochi movimenti popolari furono tanto propizi ai despoti dell'epoca. Mai ci furono d'altronde nel corso della storia eventi che rafforzassero a tal punto il potere delle forze conservatrici - consentendo loro di porre le basi per una restaurazione destinata a protrarre i propri effetti per un secolo - quanto l'insensato massacro e lo sfrenato saccheggio di cui fu attonito teatro la Francia di quegli anni.
Ci sono molte cose che non si capiscono, nonostante i tentativi di spiegarle sull'onda di uno storicismo assolutorio, volto a giustificare qualsiasi violenza popolare come reazione naturale ai torti subiti per secoli. Come se insomma l'oppressione patita da una determinata classe potesse considerarsi una cambiale di cui esigere il saldo attraverso la licenza di uccidere, rubare, stuprare a titolo di risarcimento.
Non si capisce infatti quale vantaggio possano avere tratto i grandi principi di libertà, fraternità e uguaglianza dallo spettacolo raggelante di una massa incontrollata, sfrenata, che in loro nome si radunava urlando nella strada per linciare, seviziare, derubare chiunque venisse ritenuto estraneo al "popolo". Per ragioni di nascita o di censo in linea di principio, ma non di rado per la nuda colpa di nutrire idee fuori moda o coltivare semplicemente le buone maniere.
Ciò ch'è peggio da un punto di vista anche ideale - ciò che non si può eticamente perdonare alla rivoluzione francese - è di avere coinvolto nella propria spirale di sangue, d'intolleranza e di morte gli stessi principi dell'Illuminismo, mortificandone irrimediabilmente il senso filosofico, nel quale peraltro si sarebbe dovuto ricercare la motivazione umanitaria, la ragione vitale, della grande mutazione in atto.
E' attraverso la rivoluzione che l'Illuminismo avrebbe dovuto imporre il trionfo della ragione sulle antiche superstizioni, sulla teocrazia inquisitoria, sull'ancestrale dispotismo dei confessionali. Ma che senso ha abbattere antichi dei irragionevoli per poi deificare la ragione? Che senso ha spegnere roghi irrazionali per ergere razionali ghigliottine?
E' così che l'intellettuale illuminista, al pari dei burocrati del terrore, diventa irremissivo e arrogante giudice di tutto ciò che contraddice le sue convinzioni. E' così che diventa portatore di un preteso nuovo verbo laico, che gli impone di schierarsi su posizioni palesemente reazionarie, analoghe a quelle dei suoi più irriducibili antagonisti culturali, a cominciare dai preti. Finisce in breve per selezionare, catalogare, archiviare i pensieri altrui, censurando la stessa cultura che censuravano i suoi naturali avversari di un tempo.
Tutto ciò ch'è immaginario, fantastico, irriducibile entro i limiti di un quadro logico, tutto ciò che sfugge ai rigori di una formula matematica diventa inammissibile.
Al pari dell'Inquisizione, l'Illuminismo cancella le streghe e ogni loro malìa. Finendo con questo per demonizzare ed estromettere dalla conoscenza della società civile, in quanto stravaganti, le stesse pulsioni intellettuali che già la Chiesa aveva perseguitato. I burocrati del libero pensiero, in altre parole, si ritrovano grazie alla rivoluzione a bruciare gli stessi libri che bruciavano gli integralisti di ogni fede: gli integralisti perché ci credevano, e ne avevano paura; loro perché non ci credono, ma ne hanno paura lo stesso.
Accade in tal modo che una compagnia di signori lucidi e aggiornati, spesso tediosi, decida di farsi carico di donare "lumi" al resto dell'umanità. Vengono imposte all'ombra della ghigliottina nuove certezze, in cambio delle quali è abrogata la poesia, il mito, perfino la memoria storica e la speculazione filosofica, quando questa non coincide con quanto è dimostrabile sul filo delle conoscenze sperimentalmente acquisite.
Tutto ciò che sfugge al comprendonio dell'intellettuale al potere, in altre parole, non esiste. Il che preclude ogni stimolo di ricerca, d'innovazione, di liberazione metafisica.
Sembra di vederli, riuniti nei loro salotti, questi eruditi sacerdoti della ragione, dietro il cui mesto sorriso non c'è più posto per le scope volanti delle streghe, ma neppure per l'estasi dei santi o per la follia lunare del sabba, per le Giuliette protese dai balconi d'amore, per l'azzardo e la scommessa col destino, per la curiosità ermetica che genera poesia frugando tra le pieghe del cielo, né per alcunché la loro mente non sia in grado di accettare.
Sembra vederli, alle prese con le loro macchine sapienti, compiacersi dei numeri che si sommano su di una calcolatrice primitiva, del frullare d'ali di un'anatra meccanica, dell'intelligenza artificiale di un automa che gioca a scacchi.
Sarà vero che il sonno della ragione genera mostri, ma non è certo da meno il risveglio della ragione, se a sua volta nasce dal pregiudizio: pregiudizio nei confronti di tutto ciò che alla ragione, per l'appunto, sfugge.
Le atrocità della rivoluzione francese, a due secoli di distanza, possono aiutarci a meditare su qualcosa che il bigottismo laico, di gran lunga più intollerante di ogni altro dispotismo spirituale, ha sempre cercato di occultare. L'Inquisizione cattolica - o luterana, calvinista, anglicana, poiché ce ne furono molte - nel suo sadico fervore perseguitava, uccideva, torturava individui ritenuti colpevoli di delitti inverosimili, come la stregoneria e il commercio con il demonio, ma tutti più o meno dimostrabili in base alle aberrazioni giuridiche dell'epoca, attraverso confessioni estorte con la tortura o l'intimidazione. La giustizia rivoluzionaria no, la giustizia della "lanterna" non giudicava cittadini accusati di un qualsivoglia reato, sia pure indimostrabile, ma semplicemente colpevoli di appartenere a una determinata classe sociale, senza distinzione di sorta, bambini o vecchi che fossero. Non si veniva condannati per avere fatto qualcosa, ma per ciò che incolpevolmente si era: aristocratici, perciò diversi. Si andava a morte, come avverrà nelle grandi persecuzioni razziali del ventesimo secolo, per il solo fatto di essere nati e di appartenere a una stirpe invece che a un'altra.
Disumana fu la semina della rivoluzione, disumana fu la fioritura. C'è da stupirsi se meno di un secolo dopo, nel 1871, l'esercito nazionale sconfitto dai prussiani si sia rifatto scannando o fucilando ventimila parigini disarmati con il pretesto di mettere ordine dopo il disastro della Comune? C'è da stupirsi se ogni tentativo di esportare il modello rivoluzionario francese si sia risolto, come l'esperienza partenopea insegna, in eccidio e saccheggio?
La filosofia c'entra poco. Ci sono nobili cause, nel corso della storia, che per come vengono condotte diventano ignobili. La rivoluzione francese fu tra queste.


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