IL MITO DEL DUCE




Franco Barbieri



Le elezioni del 6 aprile 1924 (nella foto 1 Mussolini all'ingresso del seggio di Foro Bonaparte), tenutesi in un clima infuocato e violento, conferirono la maggioranza al partito fascista ma ad esse parteciparono anche gli altri partiti, dai liberali ai comunisti, dai popolari alle minoranze etniche, dai socialisti ai fascisti dissidenti.
L'intervento di Matteotti alla Camera dopo la conclusione delle elezioni e l'assassinio del deputato socialista il 10 giugno dello stesso anno, il manifesto antifascista per iniziativa di Benedetto Croce (1° maggio 1925) e l'aggressione a Giovanni Amendola del 20 luglio 1925 furono gli ultimi sussulti del dissenso poiché il 5 novembre 1926, a seguito anche dei due attentati a Mussolini - quello del 7 aprile (foto 2) e quello del 31 ottobre -, il Consiglio dei Ministri approvò lo scioglimento dei partiti "antinazionali" e il 9 novembre la Camera proclamò la decadenza di tutti i parlamentari aventiniani e comunisti. Iniziava così il regime, che si manifestò subito, il 9 novembre, con il nuovo testo unico di pubblica sicurezza, che fu il mezzo di cui il fascismo si servì per attuare la repressione. L'8 dicembre il fascio littorio divenne l'emblema dello Stato e il 31 dello stesso mese venne introdotto il calendario dell'era fascista.


Il 1927 fu l'anno nel quale si evidenziarono le linee nevralgiche del regime. Nei confronti della gioventù, poiché il 9 gennaio furono sciolte tutte le organizzazioni non fasciste, delle quali il 30 marzo del 1928 con un decreto fu vietata l'organizzazione, a meno che non facessero parte dell'Opera Nazionale Balilla. Nei confronti del mondo del lavoro, con l'approvazione il 23 aprile 1927 della Carta del Lavoro, con la costituzione della Magistratura del Lavoro, che si riunì per la prima volta il 13 gennaio del 1928, e con l'istituzione delle Corporazioni con la legge del 5 febbraio 1928. Nei confronti dell'estero, quando il 5 aprile del 1927 la Commissione Generale dell'emigrazione divenne la Direzione Generale degli italiani all'estero o quando il 15 gennaio Winston Churchill incontrò Mussolini e il 22 novembre fu firmato il Trattato di Alleanza con l'Albania.
A gennaio del 1929 le Camere, elette nel 1924, vennero sciolte. L'11 febbraio dello stesso anno, con il Concordato (foto 3, la firma da parte del Card. Gasparri e di Mussolini) venne raggiunto un compromesso che risultò utile ad entrambe le parti, lo Stato e la Chiesa Cattolica, cosicché il 24 marzo il risultato delle elezioni plebiscitarie vide la vittoria dei "sì", ovvero con l'approvazione della lista proposta dai vertici fascisti, con il 98% dei voti. Così il 16 settembre 1929 Mussolini si installò a Palazzo Venezia, riconosciuto dal popolo italiano come Duce della Patria e dalla Chiesa cattolica come uomo della Provvidenza. Il potere era ormai consolidato (foto 4).

Nella cultura di Mussolini e del fascismo - non va dimenticata l'origine dei "fasci" - la terra e il mondo contadino furono al centro dell'attenzione. Era ancora viva l'esperienza della emigrazione, che nel 1913 aveva raggiunto il livello di circa un milione di persone. Ciò era accaduto per la mancanza di lavoro in Italia e poiché questo veniva correlato alla mancanza di terra, si concludeva che avere più terra voleva dire avere più lavoro. Lo sviluppo della bonifica delle zone fino allora non utilizzate vide i suoi primi frutti con l'inaugurazione di Littoria, la nuova città fondata nell'agro pontino nel 1932, e poi nel 1934 di Sabaudia. Ciò ebbe immediate ricadute politiche e sociali per l'entusiasmo che suscitava, per l'attivismo e l'energia che generava, per l'integrazione delle genti che raggiungeva. Se a questo si collegano le istanze imperialiste insite nel nazionalismo esasperato e competitivo, si può comprendere come fosse maturo il clima per avanzare pretese coloniali. Va in ogni caso rilevata la contraddizione del sistema che contemporaneamente portava avanti il disegno della politica demografica teso ad incrementare la natalità nella convinzione che il numero rappresentasse potenza e che trovava, per altre ragioni, consenso nella Chiesa cattolica.
Il 2 ottobre 1935 Mussolini annunciò da Palazzo Venezia la guerra all'Etiopia. La metà del popolo italiano, ovvero 20 milioni di persone, ascoltò la notizia, diffusa per radio, nelle piazze di tutta la nazione. Tralasciando in questa sede tutte le ragioni e le motivazioni che portarono a questa decisione, resta il fatto che essa determinò conseguenze importanti con riflessi immediati sull'evoluzione del fascismo.
In primo luogo la guerra d'Etiopia confermò e consolidò il consenso popolare, quasi totale, che ebbe la sua manifestazione il 18 dicembre dello stesso anno quando si celebrò "la giornata della fede" durante la quale una moltitudine di cittadini consegnò l'oro, in particolare le fedi nuziali, alla patria. La regina Elena nel dare l'esempio, accompagnandolo con poche ma significative parole, suggellò quello che fu il maggior momento di coesione tra monarchia e fascismo. Le sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni furono un altro motivo di verifica del consenso nel momento in cui il fascismo affrontava la prima prova del confronto con il mondo esterno.
Il 5 maggio 1936, comunque, Addis Abeba fu presa e il 9 venne proclamato l'Impero, sicché Vittorio Emanuele assunse il titolo di Imperatore. Finalmente gli italiani ebbero la sensazione di aver raggiunto una posizione importante nello scacchiere mondiale, e ciò fu confermato il 30 luglio con l'intervento a fianco di Franco nella guerra civile spagnola.


L'evoluzione del regime, che nel panorama europeo si accompagnò alla crescita del nazismo - che si riconosceva come derivazione del fascismo - e alla conferma dei timori dei governi di Francia e Inghilterra per l'adozione della legge razziale - ma il razzismo non era nella cultura italiana né in quella fascista - portò contemporaneamente all'isolamento dalle nazioni democratiche europee, vissuto e amplificato dalla propaganda soprattutto durante le "inique sanzioni", e all'avvicinamento alla Germania nazista sino a sfociare, dopo l'invasione italiana dell'Albania e ai fulminei successi tedeschi nei Paesi Bassi, nel Patto d'Acciaio. Fu così inevitabile - dopo qualche mese di incertezze superate dall'invasione germanica del Belgio, Lussemburgo, Olanda, Danimarca e Norvegia, con la Francia ormai in ginocchio e con gli inglesi in fuga da Dunkerque - la entrata in guerra dell'Italia, annunciata il 10 giugno 1940 da Mussolini parlando dal balcone di Palazzo Venezia. Fallito l'obiettivo di aggredire l'Inghilterra con l'arma aerea e di invadere la Russia, mentre la battaglia d'Africa volgeva alla fine, il 10 luglio 1943 gli Alleati anglo-americani sbarcarono in Sicilia e il 19 Roma subì, mentre Mussolini era a Feltre per incontrare Hitler, il suo primo bombardamento.
Il primo ad accorrere, in quella occasione, fu Papa Pio XII (foto 5). Il 24 luglio il Gran Consiglio del Fascismo si riunì e alle tre del 25 approvò l'ordine del giorno Grandi con il quale erano ripristinati i poteri del Re e veniva ritirata la fiducia a Mussolini. Alle 17 dello stesso giorno il Duce venne ricevuto dal Re che non gli restituì l'incarico che Mussolini aveva appena rimesso nelle sue mani ed anzi lo fece arrestare.


Il nuovo capo del governo, il maresciallo Pietro Badoglio, l'8 settembre annunciò per radio la firma dell'armistizio. Il giorno dopo la coppia reale era a Brindisi, mentre gli angloamericani sbarcavano a Salerno. Il 12 settembre un reparto di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini dalla prigione del Gran Sasso dove era stato portato dopo l'isola di Ponza e La Maddalena. Il 18 settembre Mussolini, "ospite" di Hitler (foto 6), non più da Palazzo Venezia quindi ma dalla Germania, lanciò un messaggio attraverso la radio con il quale disegnava il nuovo regime fascista repubblicano e il 23 settembre 1943, sotto la tutela germanica, costituì la Repubblica Sociale Italiana (RSI). La parabola dell'uomo e del capo carismatico era ormai nella fase di caduta, ma quale strumento dei tedeschi, che lo tenevano in ostaggio insieme alla repubblica, Mussolini rivestiva ancora una funzione ritardatrice dell'avanzata degli Alleati sul fronte del sud.
La RSI ebbe la velleità di realizzare la rivoluzione antiborghese proclamata dal fascismo delle origini, quello del 1919, e la vendetta su quelli che furono definiti "traditori" e i loro "fiancheggiatori", ovvero sulla monarchia, sui capitalisti e sui vecchi dirigenti. Queste aspirazioni rendevano meno lontane le posizioni dal socialismo reale sovietico. Alla fine - secondo Renzo De Felice e Luigi Goglia - "il nazionalismo in molti fascisti repubblicani, soprattutto giovani, ebbe un carattere particolare poiché, in genere, assunse coloriture elementari e romantico-cavalleresche (il richiamo all'onore nazionale, alla fedeltà ai patti, al cameratismo coi compagni d'arme tedeschi, alla coerenza per la coerenza, etc.) e si nutrì di una serie di motivazioni tipiche del fascismo post guerra d'Etiopia".

Il 4 giugno 1944 Roma era in mano degli Alleati. Il 16 dicembre Mussolini tenne il suo ultimo incontro al Teatro Lirico di Milano, e quindi non più in una piazza con la folla adunata e osannante, ma in un luogo chiuso di fronte ad una platea di soldati. Il 28 aprile 1945 il Duce fu giustiziato a Dongo e il 29 il suo corpo, insieme a quello di Claretta e di alcuni gerarchi, fu esposto al ludibrio e alla barbarie della folla in Piazzale Loreto (foto 7).

Evidenti e ovvie ragioni di spazio non hanno permesso una sufficiente esibizione di immagini che, come è noto, sono invece innumerevoli a conferma della permanente presenza della macchina fotografica. La prima e immediata impressione che comunque colpisce l'osservatore riguarda l'ambientazione scenografica della rappresentazione, che conferisce alle immagini l'aura - concetto introdotto da Benjarnin -, tipica della fotografia e diversa da qualunque altra espressione, del contesto e del momento. Il più delle volte l'immagine mostra qualcosa di molto diverso da ciò che poteva immaginarsi, più ricco di particolari ma più povero di fantasia. Con effetto paradosso si perse la suggestione dell'immaginare, ma si acquistò la suggestione dell'immagine.


L'operazione Più complessa che allora si tentò, e con buoni risultati, fu quella di costruire una rappresentazione vivente, che sostituisse la soggettività individuale e che fosse in più riprodotta attraverso l'immagine, e non solamente, perché fosse diffusa e dilatata così da creare una nuova rappresentazione ancor più carica di simboli e suggestioni. Ma l'evoluzione dei fatti seguiva un proprio percorso diverso da quanto desiderato e voluto, mentre la ripresa degli avvenimenti, intanto, non poteva essere fermata o, anche se si fosse tentato, addomesticata.
Lo stesso Mussolini, che, come si è potuto vedere, sin dai suoi esordi aveva potuto controllare la propria immagine, allorché gli avvenimenti presero una piega negativa, rimase vittima e testimone di se stesso, sotto i riflettori e davanti alle camere di ripresa che aveva voluto registrassero, a suo tempo, la propria gloria.
Fino all'ascesa al potere Mussolini apparve - forse si presentò - concentrato e pensoso, in abiti borghesi, ossequioso e contenuto nei comportamenti, con lo sguardo penetrante e allo stesso tempo diffidente. Invece nel tempo che lo avvicinava alla proclamazione dell'Impero apparve deciso, efficiente e categorico ma dopo tale evento e sino ai primi anni di guerra divenne arrogante, sprezzante e minaccioso. Con i capovolgimenti bellici la sua immagine si offuscò, lo sguardo rivelò smarrimento e incertezza, e i suoi comportamenti tradirono la soggezione all'alleato Hitler, soggezione che alla liberazione da Campo Imperatore e ancor più durante la Repubblica Sociale divenne sottomissione incondizionata. Alla fine la sua immagine restò vincolata alla barbara esposizione, a Piazza Loreto, a testa in giù. In quella occasione la folla di milanesi, che infierì sul cadavere di Mussolini, sfogò tutto il rancore, amplificato dalle dure condizioni che porta con sé la guerra, di un'illusione perduta, di una proiezione-identificazione mal riposta, di una promessa di vittoria non mantenuta.


Durante il regime vi furono diversi elementi che rappresentarono per moltissimi italiani altrettanti motivi di identificazione nel personaggio: le origini familiari e sociali, le aspirazioni rivoluzionarie e insieme nazionalistiche, la presunzione di fondamenti storici eroici e mitici, la coniugazione della tradizione con l'innovazione, l'elevazione dalla debolezza del povero alla forza del potente, l'esigenza del rito religioso civile e militare. Ma quando il fascismo cadde sopravvenne la meraviglia della irriconoscenza e della contestazione, lo smarrimento del capovolgersi degli eventi, la depressione del fallimento. Il fascismo aveva ben interpretato la rappresentazione della commedia, ma non riuscì a sopportare quella della tragedia.
Il potere evocativo e suggestivo delle fotografie in genere e di quelle riguardanti il periodo della nostra storia in particolare è indubbio. Eppure per non dare alimento a critiche e contestazioni, che sono condivisibili e condivise, riguardo al carattere delle riflessioni - che in queste pagine devono limitarsi essenzialmente all'immagine fotografica -, occorre qui riconoscere che, come risulta evidente dalla narrazione, anche se molto sintetica, dei fatti, quelle immagini necessitano dell'opportuna integrazione di altri elementi i quali svolgono la funzione della trama. E' pure evidente che tale funzione integrativa, non solo per l'immagine fotografica ma altresì per qualunque documento, richiede elementi e dati che più compiutamente dimostrino e spieghino eventi e considerazioni di carattere storico.
L'immagine fotografica, documento muto nei riferimenti, è però grandemente comunicativa delle emozioni, tra le quali ha enorme valore quella suscitata dalla presenza nel momento e dopo.
Nell'immagine presa in occasione dei funerali del figlio Bruno morto nel 1941 - ove Rachele è una figura velata in nero cui si oppone un Mussolini in divisa e stivali, fiero e dignitoso, che si tormenta le mani raccolte sul davanti quasi per scaricare tutta la tensione e la commozione del momento -, sembra dimostrare che nonostante l'esercizio del controllo dei propri atteggiamenti e comportamenti, la fisicità del corpo, registrata dalla pellicola, fa trasparire i moti che agitano l'animo. La macchina fotografica, quando è presente, è muto testimone che registra e riferisce ogni particolare dell'attimo. Così a Gargnano durante il periodo della RSI, in un momento di riposo, ove l'ufficialità è assente e la maschera può essere levata, appare l'uomo stanco e malato, con la mascella "volitiva" ora tirata e scavata, con lo sguardo non più penetrante e folgorante, con le labbra non più protese in segno di sfida e di arroganza (foto 8).
La parabola dell'uomo si concluse nella tragedia nella quale furono trascinati milioni di persone, la maggior parte delle quali, nell'illusione di vivere una bella favola, si era resa accondiscendente e persino entusiasta.

(3 - Fine)


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000