Chi
ha letto I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke ricorda
forse una scena particolare. Il protagonista del libro - un romanzo/non
romanzo - è a Parigi. Uno dei luoghi ch'egli frequenta è
la Bibliothèque Nationale. Malte racconta la sua esperienza di
lettore tra lettori silenziosi. Ma quel che maggiormente attira l'attenzione
su questa pagina non è l'atmosfera ovattata, avvolta in un silenzio
quasi sacrale, della sala di lettura di una grande biblioteca; non la
rappresentazione di un rito celebrato da lettori/sacerdoti solitari,
ma la scelta di Malte. Conviene tornare su un passo dei Quaderni; esso
può fungere, e si vedrà perché, come giusta introduzione
al volume di Bonea su Comi, Bodini e Pagano.
Dice Malte, nel libro di Rilke:
Io seggo qui e
leggo un poeta. Ci sono molte persone nella sala, ma uno non se ne
accorge. Sono nei libri. Talvolta si muovono nei fogli, come uomini
che dormono e si rigirano tra un sogno e l'altro. Oh, ma come si sta
bene fra uomini che leggono! Perché non sono sempre così?
Puoi avvicinarti a uno e toccarlo leggermente: non si accorge di nulla.
E se alzandoti urti un poco il vicino e ti scusi, accenna col capo
verso di te e non ti vede, e i suoi capelli sono come i capelli di
un dormiente. Quanto fa bene questo. E io seggo qui e ho un poeta.
Com'è il destino! Ci sono forse nella sala trecento persone
che leggono; ma è impossibile che ognuno di loro abbia un poeta.
(Dio sa che cos'hanno.) Non ci sono trecento poeti. Ma vedi quale
destino, io, forse il più miserabile tra questi lettori, straniero:
io ho un poeta.
[ ... ] Non sapete che cosa sia un poeta? (1)
"Io sono
qui e leggo un poeta." E' un segno di distinzione. Quasi una
forma di privilegio. Nella sala, osserva Malte, ci sono forse trecento
persone che leggono, "ma è impossibile che ognuno di loro
abbia un poeta" perché "non ci sono trecento poeti."
Trecento, un numero troppo grande! I poeti sono rari, ed ecco perché
colui che legge un poeta si sente detentore di una sorta di privilegio.
"Non ci sono trecento poeti." Malte, per sua fortuna, non
avrà mai fatto l'esperienza di chi, partecipe di una commissione
di qualche concorso di poesia, si vede precipitare addosso una spaventosa
cascata di versi dai quali la poesia è, molto spesso, assente.
Ma c'è un altro aspetto della situazione di Malte Laurids Brigge
da prendere in considerazione. "Io seggo qui e leggo un poeta."
Scartata l'ipotesi che possano esistere trecento poeti, il pensiero
ritorna su quella affermazione dell'io privilegiato che legge un poeta:
io: e qui sembra voler dire: io solo. Questo conferisce al privilegiato
lettore di un poeta una condizione di aristocraticità, di separazione
dagli altri trecento lettori che solo Dio sa che cosa leggano. Certo,
non un poeta.
Non è un pensiero che s'insinui di traverso, ma è quasi
una dichiarazione sfacciata: soltanto uno s'innalza sugli altri, e
solo quell'uno può leggere un poeta. Il che conferma che leggere
un poeta o, se si vuole, leggere poesia è operazione aristocratica,
negata al volgo dei lettori, dei comuni lettori, che certamente leggono
altro: Dio sa che cosa; ma non un poeta.
Dal punto di vista del lettore che si chiama Malte Laurids Brigge
è possibile solo ad esseri privilegiati, a lettori aristocratici
leggere un poeta. Questo accade non solo perché la poesia è
un genere (o un prodotto) aristocratico, ma anche perché essa
sembra presupporre nel lettore lo stesso livello di macerata esperienza
che è, o sembra essere, intrinseco alla realizzazione stessa
della poesia. Scrivere versi, infatti, non è sufficiente a
far poesia. In un altro passo dello stesso libro di Rilke si legge:
Oh, ma con i versi
si fa ben poco, quando si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare
e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga
vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere
dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come
crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono
esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città,
uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come
gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono
al mattino, ecc. (2)
Conclusione, provvisoria:
se la poesia è il distillato raro e prezioso dell'esperienza
di un'intera vita essa non può avere come destinatari se non
spiriti eletti, esseri di rara sensibilità e competenza e i
soli capaci -e si vorrebbe dire, degni - di avvicinarvisi, di celebrare
il rito della lettura. E si potrà tener conto che, a sottolineare
la "diversità" del lettore di poesia, Malte ricorda
di essere "straniero": il lettore di poesia è "straniero"
a fronte degli altri trecento lettori.
Da una convinzione diametralmente opposta è di sicuro partito
Ennio Bonea nel momento in cui ha prima progettato e poi realizzato
l'antologia che si intitola a tre poeti salentini: Comi, Bodini, Pagano.
Bonea è convinto, innanzitutto, che la poesia non è
un privilegio: né del lettore, né - pare di poter dire
-dell'autore, di colui che le dà vita (o, se si preferisce,
di colui che la produce). Costruendo questa antologia, Bonea non si
è rivolto, prima col pensiero, poi - di fatto - con il volume
realizzato, ad un lettore privilegiato, aristocratico, solitario.
Ha avuto in mente, se mai, un pubblico di non-lettori abituali, o
di lettori potenziali da trasformare in un pubblico di lettori effettivi.
Un'antologia non è, in sé, qualcosa di eccezionale o
di nuovo. Antologie se ne sono fabbricate da quando esiste la pratica
letteraria. Il Novecento ne è pieno (e non si parla di quelle
scolastiche, che hanno finalità pratica sul piano della didattica,
ma delle antologie che si rivolgono ad un pubblico non limitato alla
scuola ma più ampio). Un'antologia ulteriore era necessaria?
Come si giustifica?
Due domande che costituiscono un punto di partenza. Questa antologia
era necessaria e si giustifica perfettamente. Intanto si badi ai tre
nomi in copertina, che sono quelli degli autori antologizzati: Comi,
Bodini, Pagano. Sono tre poeti che compaiono raramente nelle antologie
del Novecento. Non ci sono nei due "Meridiani" mondadoriani
che della poesia italiana del Novecento sembrano voler fornire il
quadro più significativo. Ci si riferisce ai due "meridiani"
intitolati rispettivamente Poeti italiani del Novecento, a cura di
Pier Vincenzo Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978; e Poeti italiani
del secondo Novecento 1945-1995, a cura di Maurizio Cucchi e Stefano
Giovanardi, Milano, Mondadori, 1996. Inutile andare a cercarvi i nomi
di Comi, Bodini, Pagano; non ci sono.
Ora, non si vuole disputare sui criteri di scelta delle antologie,
sui motivi delle inclusioni o delle esclusioni; si vuole semplicemente
registrare un'assenza, prendere atto che nessuno di questi tre poeti
è presente in queste antologie. E se è scontato che
non ci sia Pagano, per la scarsissima circolazione che la sua poesia
ha avuto e, oltretutto, in una stagione non recentissima, dell'assenza
di Bodini, almeno, ci si dovrebbe dolere (come, più largamente,
per la vistosa assenza, o per la scarsissima presenza di rappresentanti
della poesia del Sud). Comi è presente, però, nell'antologia
che Garzanti ha dedicato al Novecento nel 1980.
Si sono ricordate queste antologie pubblicate da grandi case editrici;
altre se ne potrebbero chiamare in causa. Che cosa giustifica l'assenza
di questi poeti, Comi Bodini Pagano, da quelle antologie? Sono forse,
questi, poeti di non grande respiro, chiusi in un orizzonte molto
angusto sia per quel che riguarda la loro capacità di dar voce,
insieme all'esperienza personale, a quella dei propri contemporanei?
Leggendoli si capisce che le cose non stanno proprio in questo modo;
che questi poeti avevano (hanno) una loro cifra originale di interpretazione
della realtà. E avevano alle spalle, direttamente sperimentata,
una grande e fervida cultura europea. L'antologia di Bonea costituisce,
dunque, nei loro confronti, un atto di giustizia letteraria.
Questi poeti occorre conoscerli, leggerli attentamente, cogliere nei
loro versi quella parte di noi (di noi salentini vorrei dire, se questo
non rischiasse di apparire limitante), quella parte di noi che essi
hanno interpretato ed espresso anche per noi.
Si faccia attenzione alla struttura di questa antologia di Bonea.
Ci si lasci guidare dal sottotitolo esplicativo: proposte di lettura.
Semplici, ma significative, proposte. La scelta dei testi è
quella che è sembrata più adatta, per il curatore, a
dare un'idea abbastanza precisa della fisionomia poetica dei tre autori:
una scelta personale, ma con uno sforzo di "oggettività".
E poi, le proposte sono fatte soprattutto per dare spazio al lettore,
per lasciargli la possibilità di una - in qualche modo - libera
iniziativa.
Il lettore di Bonea, valga sottolineare questo, non è il Malte
rilkiano, non è il lettore privilegiato che celebra il rito
della lettura poetica chiuso nel bozzolo di luce della sua aristocratica
separatezza, e del suo essere "straniero". Tutt'altro. Il
lettore di Bonea, il lettore al quale Bonea pensa e del quale si preoccupa,
è il lettore comune., un lettore non specialista. Ed ecco,
dunque, proprio nelle pagine dedicate a Comi, emergere il profilo
di questo destinatario e, con esso, il senso dell'intera operazione
di Bonea.
Scrive, questi, prendendo al volo, perché gli fa buon gioco,
una citazione di Carlo Bo, secondo il quale "Comi [ ... ] resta
un poeta da scoprire per i lettori comuni":
Questo richiamo
tardivo, ma autorevole, al lettore comune, è proprio la motivazione
di questa breve antologia e di questa lunga premessa al mannello di
poesie che non ho osato commentare, non solo perché seguace
della raccomandazione di Leo Spitzer, il maestro della critica stilistica,
di spiegare il poeta con se stesso, ma per il consiglio di leggere
e rileggere un testo per trovare la chiave che il poeta ha posto nei
suoi versi, e anche perché il lettore comune non sia limitato
o fuorviato da un commento pregiudiziale. (3)
Questa buona intenzione
di lasciare che il lettore comune se la sbrighi da sé leggendo
e rileggendo non è attuata fino in fondo, neanche nelle pagine
su Comi; ma del resto è naturale che nel discorso, anche attraverso
la ricostruzione di una trama di storia della critica dei tre poeti,
emergano sia delle interpretazioni, sia delle scelte di gusto dichiarate
o più o meno direttamente messe in campo. Ma di questo più
avanti.
Quando Bonea parla di Pagano, l'appello non è rivolto tanto
ai lettori comuni quanto ai critici. Anche in questo caso, nel caso
di Pagano si vuol dire, Bonea si appoggia a una dichiarazione autorevole
di Mario Marti, che indicava dei precisi percorsi interpretativi;
che indirizzava all'esame linguistico, stilistico e metrico della
poesia di Pagano. Bonea osserva:
... ma perché
questo lavoro possa essere compiuto, è necessario che il poeta
Pagano sia letto. Ripeto letto e poi analizzato, se i critici che
lo leggeranno lo riterranno meritevole di attenzione e di analisi;
senza criminalizzarli per ... astensionismo. (4)
Per leggere Pagano,
però, occorre che Pagano sia pubblicato (o ripubblicato) e
Bonea si chiede: "Ma quale editore oserà l'azzardo di
editare i circa ottomila versi di Pagano?" E aggiunge: "Ecco
allora, una delle ragioni che mi hanno provocato a presentare questa
ristretta scelta antologica" (p. 230). Si può osservare
che un editore non deve necessariamente ripubblicare in un unico volume
gli ottomila versi di Pagano: si potrebbe procedere per singole raccolte.
Dei tre poeti antologizzati, Bodini è quello di cui, anche
criticamente, si è parlato di più. Ma quanto alla conoscenza
della sua poesia le cose non vanno molto meglio che per gli altri
due poeti. Se non è da tutti affrontare il notevole volume
dell'Opera poetica di Comi pubblicato da Longo a Ravenna nel 1977
a cura di Donato Valli, poteva essere da molti, soprattutto nella
diffusa "classe dei colti", procurarsi agevolmente se non
altro il pregevolissimo "Oscar" Mondadori con tutte le poesie
di Bodini: (5) tutto Bodini poeta a prezzo modico in una collezione
popolare diffusissima. Questo non si è verificato; e l'Oscar
mondadoriano, curato da Oreste Macrì con l'ammirevole competenza
e passione che egli portava nel suo mestiere, ha conosciuto la sorte
del macero; ed è, poi, risorto per attenzione della casa editrice
Besa: e, si spera, con miglior fortuna.
Bonea mette in luce i dati contraddittori della "fortuna"
di Bodini. La scuola nel Salento è stata la grande assente
nell'opera di conoscenza del poeta: la scoperta tanti giovani l'hanno
fatta approdando all'università:
Studenti universitari,
ignari, per colpa dei loro professori di scuola media, della sua esistenza
per la lettura imposta dagli esami da sostenere, lo hanno scoperto
e ammirato; ma egli non è riletto, o addirittura letto dagli
scotellariani "tre o quattro o cinque papi della nostra critica
letteraria". (6)
Bodini è
vittima non solo della relativa ignoranza dei professori di scuola
media, ma anche di quanti sulla figura del poeta hanno costruito ciò
che non sempre, o quasi mai, giova alla conoscenza o all'approfondimento
della sua poesia. Osserva Bonea:
Ci sono nel Salento,
scuole a lui intestate; sono frequenti convegni, celebrazioni, letture
pubbliche, rappresentazioni teatrali che hanno per tema l'uomo e la
sua poesia, ridotta talvolta a declamazione sociale, a pittoresca
sintesi di vizi e costumi irrisi nella loro persistenza, perfino come
magnificazione di un folklore rimasto solo nella memoria. (7)
Insomma, operazioni
nel nome di Bodini che Finiscono per nuocere alla conoscenza o all'approfondimento
della poesia bodiniana a riportare questa poesia in un angusto orizzonte
localistico o aneddotico tale da stravolgerne fondamentalmente il
senso.
Il quadro d'insieme non è molto confortante, ma non è
nemmeno così sconfortante come potrebbe apparire dal semplice
rilievo delle circostanze negative messe in luce nelle pagine di Bonea.
Vi si registra un dibattito critico in corso, vi si dà conto
di quanto si è fatto, vi si prospetta quel che si potrebbe
fare. La denuncia delle inerzie vuole smuovere le acque ferme della
disattenzione, ma la registrazione dei lavori realizzati o di quelli
in corso rappresenta un'apertura di credito alla speranza di un cambiamento,
al profilarsi di un'attenzione diversa verso questi uomini che con
la loro opera letteraria hanno contribuito a dare alla fisionomia
originale salentina tratti europei - e questo è un dato sul
quale è giusto insistere per liberare la poesia di Comi Bodini
Pagano da troppo facili sospetti di regionalismi e municipalismi angusti
ed angustianti. La stessa antologia di Bonea porta un contributo speciale,
di mediazione, alla conoscenza dei tre poeti. Speciale, perché
persegue - e raggiunge - l'intento di darci dei ritratti a tutto tondo
delle personalità poetiche esaminate; di mediazione, perché
getta un ponte verso il lettore comune e lo incoraggia ad accostarsi
senza timori reverenziali (e paralizzanti) a Comi, Bodini, Pagano,
i quali, accostati con fiducia, presentano un volto niente affatto
arcigno al lettore, pur senza essere poeti popolari in senso riduttivo
o deteriore.
In questi ritratti a tutto tondo, Bonea ha proceduto fornendo la ricostruzione
del profilo biografico, dell'iter poetico, del dibattito critico:
tutto immerso nel clima culturale del passaggio tra primo e secondo
Novecento (si terrà conto che Comi poeta esordisce nel 1912
e che la "seconda stagione" della sua poesia va dal 1946
al 1968; che Bodini, le cui raccolte poetiche cominciano ad apparire
agli inizi degli anni Cinquanta [La luna dei Borboni, Milano, Edizioni
della Meridiana, è del 1952], aveva però cominciato
a scrivere negli anni trenta; che Pagano è, allo stato attuale
delle conoscenze, poco sicuramente databile ai suoi esordi - gli anni
Quaranta genericamente - e che le sue raccolte poetiche cominciano
ad apparire solo nel 1958 con Calligrafia astronautica).
Della biografia dei tre autori, ricostruita per dati essenziali, appaiono
privilegiati alcuni tratti caratterizzanti. Dei tre poeti, anche sul
piano dell'esperienza esistenziale, deve, a Bonea, essere riuscito
più imprendibile Girolamo Comi; o deve averlo sentito più
lontano, per quel suo versante mistico che sembra appartenere ad un'esperienza
fuori della storia e della realtà comune. Per questo Bonea
è andato a cercare il profilo umano di Comi in un libro di
testimonianze, di interviste, pubblicato qualche anno fa: Girolamo
Comi uomo di ogni giorno, curato da Carmelo Indino ed Enrico Minerva
e pubblicato nel 1990 dalle edizioni di "Nuovi Orientamenti Oggi"
di Gallipoli.
Da quelle testimonianze, afferma Bonea, emerge un Comi "nella
sua umanità autentica". Là Bonea vede un Comi che
l'opera letteraria non rivela. Scrive, infatti:
Da queste interviste
affiora una personalità che non emerge dagli scritti in prosa
e in poesia, non solo, ma non si sospetta possa convivere, nella mistica
razionale, che pure è una contraddizione. La sua è una
umanità aperta all'altro, senza un classismo congenito ed inavvertito
in un rampollo di aristocrazia campagnola; la fortuna finanziaria
venutagli dalla famiglia, non lo rese superbo e distaccato dai paesani
rozzi ed incolti, ma non per questo respinti o addirittura evitati.
(8)
Questa apertura,
questa disposizione umana avrà il suo esatto pendant quando
Comi, ridotto in povertà, troverà sostegno, almeno in
parte, proprio in quei paesani rozzi ed incolti che aveva accolto
ed ascoltato sempre con sincera simpatia.
Può sembrare un raccontino edificante; e, certo, non bisogna
calcare troppo la mano per evitare di scivolare, insensibilmente ma
inesorabilmente, nell'agiografia. Tutto può servire per capire
Comi uomo e poeta, ma occorre evitare il rischio di ridurne l'immagine
a quella di un santino. Se mai, un rischio più evidente è
visibile nel proporre un Comi "uno e due", un Comi bifronte,
la cui poesia sia distaccata dalla vita o risulti troppo diversa dalla
vita se confrontata con i gesti, le parole, le disposizioni, gli atteggiamenti,
i tic, le piccole manie, i tratti di cordialità della vita
quotidiana.
Dal puntuale tracciato biografico del Bodini di Bonea si può
estrapolare il tratto riassuntivo più ricco di implicazioni
esistenziali e letterarie. Scrive Bonea, ricordando la chiamata di
Bodini all'Università degli Studi di Bari, artefice Mario Sansone,
per assumere la cattedra di Letteratura spagnola:
Bodini aveva compreso,
nella esperienza fatta da Firenze in poi, dopo aver acquisita e superata
la lezione ermetica della poesia "pura", che il poeta, l'intellettuale
non poteva essere indifferente, ermeticamente, alla realtà
storico-sociale del proprio tempo; ma assorbì la lezione del
neo-realismo senza impegnarsi nella militanza e, dopo l'esperienza
degli anni ispano-salentini, orientò al gongorismo estetico
e formale la istintiva tendenza al barocco e innestò, sulla
naturale avversione per la poesia cantata, melodica, l'artifizio iperbolico
e l'incuria per la coerenza logica nelle immagini scattate "automaticamente",
come nei poeti spagnoli della "generazione del '27" ch'egli
chiamò surrealisti. (9)
C'è, dentro,
il percorso dell'uomo e dell'intellettuale Bodini: lontane, o superate,
le accensioni futuristiche, doppiato l'ermetismo, rinverdiva una volontà
di partecipazione alla vita che non era collocabile solo sul piano
letterario; e se la poesia procedeva verso esiti sempre più
complessi, pur nella apparente linearità del dettato, la realtà
storica esigeva che si esplorassero le sue ragioni.
In un altro passo della biografia di Bodini, Bonea sintetizza un percorso
che può lasciare incerti, teso com'è tra due estremi
profondamente dissimili. Ma chi guardi bene, come Bonea ha fatto,
ne coglie l'intima coerenza. E valga almeno riportare qualche altra
osservazione:
L'itinerario della
poesia bodiniana parte dalla civiltà contadina, con le raccolte
La luna [dei Borboni] e Dopo la luna e si conclude con La civiltà
industriale; un tragitto che potrebbe apparire incoerente.
Nel cammino, però, restò legato sempre alla concretezza
del suo esistere e raccolse dalle situazioni-circo stanze contingenti,
il dato da tradurre simbolicamente in segno artistico.
La sua esistenza, fino al primo "espatrio" (1937) si era
poggiata sulla realtà contadina fatta di padroni e di schiavi,
ambedue immobili; si distaccò da essa definitivamente nel 1960;
ma la rivalutò, contrapposta alla civiltà industriale
dai falsi aspetti del benessere consumistico, con la prospezione di
un futuro privo di ogni valore. (10)
E', questo di
Bodini, un ritratto diverso, e quasi contrapposto, anche se nulla
di esplicito affiora in questo senso, a quello di un Comi, per ritrovare
l'umanità del quale bisogna, in un certo senso, uscire dall'opera
letteraria. Qui la partecipazione alla vita comune non è frutto
di innata cordialità, di spontanea simpatia per il mondo degli
umili; qui, la partecipazione è senso di necessità di
un impegno, volontà di intervento diretto sulla realtà
e di una pungente osservazione critica della realtà stessa
(come, ad esempio, dicono al lettore le pagine "civili"
raccolte da Fabio Grassi nel volume I fiori e le spade pubblicato
a Lecce da Milella nel 1984).
Si è voluto accennare soltanto, con qualche rapido prelievo,
a passaggi significativi del saggio di Bonea, ricchissimo di indicazioni
e di puntualizzazioni; né ci si sofferma su tutto partitamente
perché ilo lettore "potenziale", il "lettore
comune" di cui s'è detto prima e al quale si rivolge questo
libro, non pensi d'aver saputo tutto senza leggere il libro.
Le linee della biografia di Pagano potrebbero essere, nelle pagine
di Bonea, quelle maggiormente adatte ad attirare l'interesse, o la
curiosità, del lettore.
Estroso, esuberante, non privo di un certo gusto provinciale della
posa o della stranezza, non alieno da atteggiamenti teatrali (un po'
da teatro Grand-Guignol: orrido ed orripilante), ma anche pronto a
rovesciare il tragico in farsesco. Una mutabilità di atteggiamenti
e una esasperazione degli stessi al cui fondo c'era, forse, la necessità
di una decisa autoaffermazione da realizzare anche in forme di esagerazione,
di rottura. Per questo è rimasto nella memoria di coloro che
furono suoi amici di gioventù un profilo più schiacciato
su plateali dati esteriori che non sulle qualità profonde del
poeta. Scrive Bonea, riassumendo dati e testimonianze:
Questo brano [un
brano di Francesco Lala riportato prima] sulla prima giovinezza di
Pagano riflette gli entusiasmi passeggeri e intermittenti che lo esaltavano,
la forma tragica o umoristica o farsesca, della sua colloquialità:
dati esteriori del suo temperamento, coi suoi chiassosi, non di rado
rissosi, rapporti, in qualunque discussione: politica, letteraria,
teatrale, perfino di banale argomento. (11)
C'è, e
forse è solo un'impressione, una serie di tratti che sono,
sì, del carattere di Pagano, ma che sono anche il retaggio
di una dimensione di "paese": e, certo, tipi alla Pagano,
con quei tratti esteriori, tutti hanno potuto conoscerne; solo che
in quelli che si son conosciuti non si sa, poi, quanti poeti sia stato
possibile scoprire. Anche la renitenza di Pagano a staccarsi dal luogo
natale è un tratto che si può riferire a quella "paesanità"
certa solo del luogo in cui consiste e in cui il desiderio o il sogno
di un mondo più grande e diverso combatte con l'oscuro timore
di dover misurarsi in prove troppo impegnative, non valutabili con
i consueti parametri, e quindi da evitare.
Bastino, per Comi Bodini Pagano, gli sprazzi biografici che si son
ricavati dalle pagine di Bonea per cogliere almeno qualche dato importante
del carattere dei tre poeti. Il lettore, poi, troverà nel libro
il continuato tessuto della narrazione e delle osservazioni, l'intreccio
dei grandi sogni e delle piccole passioni quotidiane; e anche il fervoroso,
nonostante arretratezze e ritardi, muoversi della provincia alla costruzione
di una sua immagine novecentesca. E dentro questo fervore c'è
la volontà del Salento, dei salentini, di sfuggire all'isolamento,
di rompere le barriere della perifericità, di aprire le finestre
all'aria nuova che circola a partire dai primi anni del secondo dopoguerra.
Il quadro che si ritrova in queste pagine, Bonea, con altra angolazione
ed ampiezza, lo ha tracciato nel bilancio critico che apre i suoi
volumi di Subregione culturale. Il Salento: (12) volumi che costituiscono
una sorta di passaggio obbligato, insieme a studi di Valli e di altri,
ma questi di Bonea con un carattere che altri non hanno, di ampia
apertura, per chi voglia sapere con sicurezza e ricchezza d'informazione
quale sia stata la vicenda culturale del Salento dal secondo dopoguerra
ad oggi.
Dei poeti da lui proposti, Comi Bodini Pagano, Bonea non si limita
a tracciare un profilo biografico. Intende fornire il profilo critico,
pur studiandosi di tener fede all'impegno assunto verso il "lettore
comune" di non "interferire" con un proprio commento,
con un proprio punto di vista.
Ma c'è un "lettore comune"? ed era possibile al lettore
attrezzato Bonea tirarsi completamente fuori dall'impegno di esprimere
una sua valutazione critica sull'opera poetica degli autori proposti?
Dichiaratamente guardingo nei confronti di Comi, Bonea lo è
molto meno rispetto agli altri due poeti. Anche ad illustrazione di
questo aspetto ci si limiterà a degli esempi. Si legga un commento
critico a Canto per Eva di Comi:
Non si può
parlare di un volume coerente con l'immagine di un poeta mistico;
ma felice l'incoerenza che mostra un Comi forse meno Comi [sottolineo
il prudente forse], che dà al lettore una poesia forse meno
"difficile" [ancora un prudente forse e l'aggettivo difficile
tra virgolette], perché più umana ed aderente alla sensibilità
contemporanea. In particolare Piccolo idillio ci pone dinanzi [ ...
] una umanità presente e quotidiana ed un Comi che non abbandona
l'aureo filone del suo orfismo misticizzante, ma diventa un attuale
poeta dell'amore, non certo neostilnovistico ...(13)
E, poco più
avanti:
Più concettuale
la poesia di Canto per Era, ma sempre, [ ... ] c'è desiderio
di dare sfogo all'umanità nella espressione poetica ...(14)
Come si vede,
Bonea si compromette - e sarebbe strano se non l'avesse fatto! Chiunque
affronti un discorso critico deve "compromettersi" o, come
ora è di moda dire, deve "mettersi in gioco"! -;
non ci dà un commento "pregiudiziale" che rischi
di limitare o fuorviare il lettore comune, ma ci dà una sua
linea-guida che il lettore "comune", o il lettore tout court,
può sottendere alla propria lettura.
Se mai, il lettore può essere più o meno d'accordo con
questa linea-guida. Può riuscire difficile, ad esempio, sottoscrivere
le affermazioni di Bonea contenute nei passi citati poco sopra, ma
solo perché sembrano profilarvisi delle limitazioni rispetto
a quello che la poesia può o non può esprimere, e che
sia il tasso di "umanità", inteso però attraverso
il filtro di una maggiore o minore "risposta" alla "sensibilità
contemporanea" a decidere se la poesia sia stata o meno realizzata..
Nel caso specifico di Comi (e Bonea, chi legge le sue pagine può
avvedersene facilmente, lo fa con giusta attenzione) bisogna tener
conto della "storia" del poeta, della sua formazione culturale,
di quello spazio "misticheggiante", se non si vuole proprio
"mistico" di una certa poesia tra Otto e Novecento alla
quale Comi è fortemente legato (basterà pensare a uno
scrittore come Paul Claudel ma anche a certa letteratura misteriosofica,
e poi ai teologi e ai mistici alle cui opere Comi si è abbeverato).
E, si vuol dire, non è meno "umano'", come esperienza,
il misticismo; meno comune, certamente. Appartiene anch'esso all'umanità
del poeta anche se, nel mondo contemporaneo, e, se si vuole, di una
contemporaneità fin troppo ritagliata su certi aspetti di vita
di questi nostri anni, il misticismo o. più concretamente,
l'esperienza mistica può sembrare l'incredibile relitto giunto
fino a noi da età sepolte. L'umanità, tutti sappiamo,
ha una sorprendente ricchezza di espressioni; se mai siamo stati noi
ad impoverirla un poco ritenendola riconoscibile solo in ciò
che appartiene ad una comune quotidianità.
Ora sceverare un "Comi meno Comi" che, però, sarebbe
più umano, sembra che comporti il rischio non solo di dimidiare
una ricca e complessa personalità poetica, ma di sottrarre
a Comi una sua cifra caratterizzante e necessaria alla sua poesia
tanto quanto la riconosciuta umanità.
Per quanto riguarda Bodini, l'attenzione dell'antologista, senza trascurare
i dati, anche tecnici, della costruzione poetica, si appunta su quello
che è l'operativo riferimento di fondo sul quale s'impernia
saldamente e ruota l'impegno letterario del poeta della Luna (lei
Borboni. Scrive Bonea:
Con la "scorciatoia"
della poesia che è struggente inchiesta / sulla verità
dell'essere, Bodini esprime il concetto che l'uomo, sui campi o nelle
officine, è sempre oppresso: dal potere (i Borboni) o dal numero
(il denaro di zio Paperone), con l'aggravante, oggi, della bellezza
perduta. [ ... ].
Referente e destinatario del "messaggio" bodiniano, era
la società meridionale nella sua struttura dicotomica: gli
egemoni e i subordinati; due mondi opposti che convivono a due livelli:
le case di calce da cui escono gli uomini come numeri dai dadi, i
palazzi con gli stemmi dei nobili; ambedue legati alla terra-madre
con i suoi ritmi (il tabacco è a seccare), le sue ipoteche
(le pietre), la sua legge (lo sfruttamento). (15)
Se questo è
il terreno ideologico sul quale sorge, la poesia di Bodini vi corrisponde
sul piano formale: poesia nutrita di riflessione non di stimoli emotivi;
poesia non descrittiva; che rifugge da una troppo arresa cantabilità;
incompresa e sgradita proprio nella sua terra, in quella terra per
la quale egli fondamentalmente scriveva.
La sua poesia
ha orrore dell'ovvio, non cede alla musicalità, ha la costante
della scontentezza che l'ironia fa precipitare in pessimismo, con
rari squarci di sereno interiore. [ ... ] Lo scontento è a
piani diversi: personale (insoddisfazione di sé e della propria
esistenza), politico (per l'inerzia dei salentini di fronte alle situazioni
storiche), sociale (per l'ingiustizia impunita). Non poteva incontrare
il favore dei ceti umili ai quali non si rivolgeva né lo leggevano;
neanche della borghesia, anche colta, che era il precipuo destinatario.
(16)
E, sul piano del
giudizio storico che si è esercitato su Bodini, Bonea aggiunge:
Quel che mi pare
abbia nuociuto a Bodini èla caratterizzazione di poeta del
Sud ...(17)
In poche battute
efficaci Bonea delinea lo strano destino di questo intellettuale salentino,
in polemica aperta con la propria terra. Si ricorderanno, almeno,
alcuni versi, come quelli che dicono: "Qui non vorrei morire
dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti
amare ... ". Bodini, nella trama della sua poesia, riversa il
senso amaro di un'incomprensione che si vorrebbe superare, ma al cui
superamento si oppongono troppi ostacoli. Una situazione di cui soffre
solo chi è avvertito e consapevole, e tanto più s'accanisce
nel tentativo di ridare una coscienza ai troppi che trovano più
agevoli da battere le vie dei facili successi e degli infiniti accomodamenti.
In questo "scarto" è forse il senso "civile"
della poesia di Bodini; in questa disposizione morale il terreno sul
quale accostarlo ad altre robuste voci della poesia novecentesca.
Il "terzo uomo" della triade poetica antologizzata da Bonea
(ma la "triade" non faccia pensare ad obsoleti raggruppamenti
della nostra storia letteraria in versione scolastica: Dante Petrarca
Boccaccio, Carducci Pascoli D'Annunzio ed altre amene compagnie!),
il terzo è Pagano, il meno noto dei tre, degli altri due non
meno problematico.
A conforto, ed a comprensione - non si vuol dire a commento - della
scelta di poesie di Pagano, Bonea offre un limpido percorso, che si
può rifare. Dà quello che è il versante "ideologico"
della poesia di Pagano: "una convinzione materialistica, una
laica concezione dell'esistere ed una contraddittoria avvertenza religiosa
di Dio" (Ivi, p. 223). Annota anche:
L'interiorità
nella quale Pagano raramente lascia entrare il lettore della sua poesia,
[una difficoltà ulteriore per il "lettore comune"!],
contrasta con la sua estroversione, scoperta - e talvolta ostentata,
del suo rapporto col mondo, verso il quale sembra aprirsi ed invece
si rivela diffidente e chiuso in un pessimismo non disperato ma senza
scampo, che lo fa pensare sempre alla morte [ ... ].
Nella sua poesia, e più nella sua psicologia tormentata e discordante,
convivono la joie de vivre e il pensiero immanente della morte ...(18)
Le schegge critiche
presentate, qui, attraverso le citazioni possono mostrare, pur separate
dall'insieme al quale appartengono, la ricchezza di prospettive che
la lettura dei tre poeti comporta. Attraverso di esse ci si è
potuti rendere conto che i poeti antologizzati da Bonea non sono poeti
"facili". Al lettore, anche al "lettore comune"
sul quale Bonea ha insistito soprattutto nelle pagine su Comi, essi
richiedono, sì, impegno, ma anche una carica di simpatia. Basta
non rifiutarli se un primo approccio dovesse risultare non proprio
pacifico.
Nei loro versi (e, per Bodini e Pagano, nelle loro traduzioni che
sono vere ri-creazioni dei poeti tradotti) c'è non solo lo
sfaccettato blocco della loro vicenda interiore ma anche la rete di
rapporti e la volontà di colloquio che la loro poesia, come
ogni poesia, instaura. Una rete di rapporti, finora, a maglie troppo
larghe; e una volontà di colloquio fin troppo mortificata.
Ci sono tanti poeti (tre in un secolo, se guardiamo solo a Comi Bodini
Pagano come ad immagini-guida) in una terra così esigua, in
un così esiguo spazio di tempo? La domanda, con la sua antologia
Bonea la pone non al "lettore privilegiato" Malte Laurids
Brigge, il quale esclude che possano esserci trecento poeti (sottintendendo
che non ci sono in tutto il mondo e in tutta la storia della poesia);
la pone a quel "lettore comune" al quale ha indirizzato
le sue proposte di lettura. Né è dubbio che i tre nomi,
che spiccano sulla copertina dell'elegante collana mat dell'editore
Piero Manni, siano quelli di tre autentici poeti.
Di questi egli ha messo in luce anche i contrasti, gli intimi conflitti
che affiorano dai loro versi. Ha registrato, a volte, le apparenti
contraddizioni, la possibile 'disarmonia'. A conforto suo, per quest'ultimo
rilievo, e a proposito del poeta in cui maggiormente nota una sorta
di contraddizione, Girolamo Comi, forse non sarà fuor di proposito
- e per concludere con una nota sorridente - ricordare l'epigramma
che Luciano Fòlgore dettò quando nel 1954 Girolamo Comi
vinse il Premio Chianciano per la poesia con il volume Spirito d'armonia.
L'epigramma è questo:
Fra tanti illustri
nomi
fu Girolamo Comi
che ottenne più consensi
per i suoi versi densi
d'ogni contrasto umano
d'ogni antitesi pia
e intitolati (strano!)
"Spirito d'armonia". (19)
NOTE
1) R, M. RILKE, I quaderni di Malte Laurids Brigge, Introduzione,
traduzione e note di Furio Jesi, Milano, Garzanti, 1974, pp. 28-31,
passim.
2) Ivi, p. 14.
3) Ivi, p. 34.
4) Ivi, p. 229.
5) V. BODINI, Tutte le poesie (1932-1970), a c. di O. Macrì,
Milano, Mondadori, 1983.
6) E.BONEA, Comi, Bodini, Pagano, cit., p.118.
7) Ivi, p. 117.
8) Ivi, p. 15.
9) Ivi, p. 97.
10) Ivi, p. 114.
11) Ivi, p. 200.
12) E. BONEA, Subregione culturale. Il Salento, Lecce, Milella, 1978;
ID., Subregione culturale. Il Salento, vol. II. La "svolta",
Lecce, Milella, 1993 (è da questo volume che appare l'indicazione
numerale: II; segno, forse, di un progetto che è andato modificandosi
e crescendo in itinere); ID. Subregione culturale. Il Salento, vol.
III. Le tessere del mosaico, Milella, Lecce, 1996 (il terzo volume
è in due tomi).
13) Comi, Bodini, Pagano, cit., p. 28.
14) Ivi, p. 29.
15) Ivi, p. 115.
16) Ivi, p. 116.
17) Ivi.
18) Ivi, pp. 224-225, passim.
19) L'epigramma si legge in D. PROVENZAL, Dizionario della maldicenza,
Milano, Casa Editrice Ceschina, 1965, p 76.