A ciascuno di
noi, in un particolare momento della vita, è accaduto che sia
venuta in soccorso, o sia stata di conforto, una delle diffusissime
immagini sacre, comunemente chiamate "santini". Questi,
oltre al potere evocativo e suggestivo delle immagini, posseggono
la carica emotiva e mistica del sacro e del divino. La semplicità
e l'immediatezza dei santini per ciò che rappresentano e per
come lo rappresentano sono state motivo non trascurabile della loro
diffusione tra il popolo dei semplici, anche per essersi coniugate
con la dignità che derivava dagli originali da cui le immagini
venivano tratte. Proprio la "qualità" degli originali
ha contribuito alla diffusione di quelle immaginette, così
come, spesso, la vastità e la diffusione del culto del santo
rappresentato hanno reso possibile la creazione di originali più
o meno validi. Ciò è un probabile motivo della differenza
che si riscontra tra il culto di San Francesco d'Assisi e quello di
San Francesco da Paola.
Il primo, infatti, è stato raffigurato dal pennello di Giotto
in affreschi posti nel cuore del potere civile e religioso, dove cultura
e misticismo arricchivano la vita e i costumi degli abitanti secondo
modalità sconosciute a quelli della Calabria di allora come
di quella di oggi.
Insieme ad altri motivi - alcuni più profondi, altri più
suggestivi - il culto del Santo di Assisi è risultato e risulta
più esteso e diffuso, così che Egli rimane il santo
più conosciuto, tanto da essere invocato quale patrono d'Italia.
Nato da facoltosi mercanti visse in pieno Medioevo nella sviluppata
cittadina di Assisi dove trascorse metà della sua vita immerso,
e con successo, nelle attività mondane e dove, una volta illuminato
dalla Grazia, rimase ad espletare la sua opera a meno di un viaggio
presso il Sultano d'Egitto. In Assisi morì appena quarantenne.
San Francesco da Paola, patrono della Calabria e protettore della
gente di mare, si trovò nella transizione tra Medioevo e Rinascimento;
ebbe i natali in un piccolo paese della Calabria, Fuscaldo - di cui
Paola era un "casale" - da genitori che erano modesti agricoltori
e, sin da adolescente, scelse la vita da eremita. Trascorse la sua
vita operando per i poveri della sua terra sino a sessantaquattro
anni per poi trasferirsi, su imposizione di Papa Sisto IV, in Francia,
alla corte di Luigi XI, ove restò per altri venticinque anni
e dove morì.
Nell'attuale secolo XX è apparsa la figura di Padre Pio da
Pietrelcina - nato col nome di Francesco Forgione - che, nel solco
degli stessi princìpi di povertà cristiana dei due Francesco,
ha già ottenuto dalla fede popolare l'investitura a santo mentre,
faticosamente, è iniziato e va avanti il rigoroso processo
di canonizzazione.
Troppi avvenimenti nel nostro Paese, soprattutto in questo secolo,
hanno determinato e formato una cultura del sospetto, alimentata peraltro
dalla genetica diffidenza e dallo scetticismo, purtroppo confermati
da tante esperienze negative. Anche Padre Pio ne è rimasto
coinvolto al punto che è passata in secondo piano tutta una
vita di sofferenze e di lotte, che, per una strana e misteriosa ragione,
sono rimaste documentate nella vasta e duratura corrispondenza intercorsa
tra il Padre e i suoi consiglieri e direttori spirituali, padre Agostino
e padre Benedetto.

Non si può non riconoscere, perché è fin troppo
ovvio, che la diffusione di notizie di eventi, specie se straordinari
e miracolosi, è profondamente cambiata. La narrazione, e la
trasmissione orale, che avveniva nelle piazze e nelle case, porta
a porta, è stata sostituita dalle pagine dei giornali e dalla
televisione. Le immagini, fisse o in movimento, sono ormai la testimonianza,
apparentemente più diretta, di eventi e persone.
Nel caso particolare, Padre Pio, personaggio schivo e quasi geloso
dell'apparizione della propria immagine, ha suscitato un interesse,
che non raramente ha sfiorato la morbosità, nella massa dei
credenti e non, così da indurre a ipotizzare che l'individuo
comune sia come pressato dal bisogno di toccare con mano (ovvero con
gli occhi) gli accadimenti straordinari, meravigliosi, misteriosi:
in una parola, miracolosi.
Così le famose "stigmate" - che avevano segnato anche
il poverello di Assisi e che Padre Pio tendeva a tenere celate con
ogni mezzo - diventano l'obiettivo di tutti gli obiettivi. Nell'immaginario
popolare di questo santo dei nostri tempi, resta, e prevale sulla
parola, l'immagine della sua figura, del suo volto e, soprattutto,
delle sue mani, che rappresentano una novità nell'agiografia,
così come l'indescrivibile profumo emanato dal santo, elemento
rivelatore della sua presenza.
Il principio della povertà - che viene detta non a caso francescana
- accomuna i tre personaggi, tanto da ritenere Padre Pio il continuatore
e successore di quelle radici popolari italiane del sentimento e del
valore della santificazione. Tutti e tre, "rivoluzionari"
nello spirito e nelle azioni, Padre Pio e i due Francesco rimangono
fedeli, però, nell'obbedienza alla Chiesa di Roma, che, superando
grandi difficoltà, ne ha compreso la forza divina e la presa
popolare e, in quanto autoregolati e limitati dalle rispettive "regole",
ne ha accettato lo spirito e la dottrina. San Francesco da Paola,
l'emigrante in terra di Francia, che acquista stima e prestigio, in
quanto portatore di antiche e sacre virtù, in quel contesto
dimenticate, si trasfonde in Padre Pio, viaggiatore virtuale e miracoloso
che approda nel nuovo mondo e conquista le anime.
La centralità geografica, politica e culturale di Assisi e
la conoscenza diffusa della figura hanno fatto di San Francesco un
patrimonio dell'identità nazionale. Invece, quello da Paola,
è stato assunto a simbolo di identità regionale, nonostante
che la sua notorietà sia diffusa in Francia, in Spagna e nelle
Americhe.
Padre Pio (come Madre Teresa di Calcutta) assume valore di riferimento,
partendo da un'azione locale e limitata - e nonostante ciò
- per ogni essere umano che in tali personaggi, e nella loro altruistica
attività, si identificano. Si è allargato l'ambito di
conoscenza e di introiezione al passo con i mezzi della comunicazione.

Per poter comprendere queste personalità, è necessario
assumere, in premessa, i valori propri del Cristianesimo: la contemplazione,
che si esercita nella preghiera, la penitenza, che si manifesta nell'autorinuncia,
e la fede. Tutti gli altri aspetti - dottrinari, sociali, comportamentali,
etc. - sono conseguenti a quei valori. E', allora, limitativo, e certamente
non esaustivo, fermarsi a considerazioni sulle loro qualità
umane. Così, per esempio, Francesco da Paola è il santo
della solidarietà, ma il motto del suo ordine, quello dei "Minimi",
è charithas, intendendo carità cristiana. In breve,
negare o ridurre la natura religiosa e mistica per far prevalere la
dimensione, anche straordinaria, dell'umano non può giustificare
e spiegare la loro vita e quanto di nuovo da essi prodotto e introdotto.
Considerare la loro una risposta ai tempi e ai bisogni degli uomini
del proprio tempo, non soddisfa le domande che si pongono in altri
tempi e per altri bisogni. Il santo, se è veramente santo,
non può essere preso in considerazione solo per il tempo della
sua vita. Tant'è che la santità viene riconosciuta dopo
il passaggio terreno, anche se durante la propria esistenza e con
la propria esistenza Egli ne pone tutte le premesse.

E' sorprendente,
e ancora una volta da rilevare, come il culto di tutti e tre sia diffuso
nel mondo quando si consideri che la loro azione si è sviluppata
in ambiti territoriali ristretti, con inizialmente pochi seguaci e
collaboratori, nel rispetto della più rigorosa povertà.
Noi italiani riconosciamo in essi i tipici caratteri della nostra
identità: lo slancio mistico, molte volte anche poetico; l'aderenza
alle cose che formano il quotidiano; la solidarietà, ambigua
nella gente comune ed eroica nelle grandi figure; il desiderio di
pensare grandi progetti, però con modesti mezzi; la capacità
di tenere in equilibrio, e coesistenti, i valori dello spirito con
le necessità materiali. Un'identità con caratteristiche
fantastiche più che reali, ricca di condizionali nell'enunciazione
di teorie, ma molto condizionata nella realtà. Così
quando appare sulla scena il personaggio che, al contrario di quanto
ci accade, riesce a incarnare i nostri sogni, allora l'identificazione
è immediata. Questa consapevolezza e la ancora vivida attualità
e contemporaneità delle vicende terrene di Padre Pio in alcuni
suoi aspetti, oggetto di interessate interpretazioni, pesano su chi
intende riflettere su di lui, ingenerando dubbi e incertezze per il
fatto che l'argomento va affrontato, insieme, con semplicità
e profondità. Ma la figura di Padre Pio, insieme a quelle dei
santi di Assisi e di Paola, possiede una tale carica spirituale che
rende difficile il sottrarsi al compito, il quale, però, nella
consapevolezza del grado di difficoltà, richiede un atteggiamento
umile e rispettoso.
La prima preoccupazione, che si presenta a chi desidera trattare della
figura del Beato, è quella di porsi lontano dalle strumentali
argomentazioni che si sono agitate per lungo tempo sulla sua figura,
non solo di uomo ma anche di santo, e che hanno reso, e rendono, duro
e difficile il processo di santificazione. A questa posizione critica
nei confronti di Padre Pio hanno pure contribuito, forse anche inconsapevolmente,
le poche immagini di Lui diffuse e pubblicate indiscriminatamente;
si sono creati motivi sfociati nella polemica, in quanto fondati sulla
materialità delle immagini in seguito caricate di significati
e di interpretazioni particolari.
Ciò costringe, ancora una volta, a riaprire il discorso sul
valore di obiettività dell'immagine fotografica e sul rapporto
che lega il soggetto, o l'evento, con l'autore e poi il prodotto,
presentato da un terzo protagonista - che chiameremo editore -, con
il fruitore, che è l'autentico destinatario dell'operazione.
Ad una prima riflessione, nel caso ora affrontato, il soggetto - come
pure gli eventi che attorno a lui ruotano - possiede una così
potente carica di mistero che può manifestarsi solo quando
la camera fotografica non è presente. Gli indizi, quindi, possono
essere rilevati solo in occasione di rare apparizioni che, come si
vedrà, sono grandemente controllate quasi da apparire immagini
posate o costruite.
Nella foto 1 - ripresa dopo il 20 settembre 1918 (data della formazione
delle stigmate) e prima delle decisioni restrittive assunte nel 1922
nei confronti del Padre -, la posa è evidente al punto che
può essere considerata già un "santino", in
quanto in essa sono rappresentati tutti gli elementi, caratteristici
e celebrativi, fondamentali: l'esibizione manifesta delle stigmate,
il saio, l'atteggiamento del volto barbuto ma "pulito",
lo sguardo lontano ma penetrante; manca soltanto l'aureola ma è
presente una luce dall'alto che fa risaltare la non folta capigliatura.
Il muro scrostato di fondo che vuole suscitare la sensazione del chiuso
mondo entro la cinta conventuale completa la "bella" fotografia
mentre l'umanissimo e realistico orecchio le dà un sapore più
autenticamente documentale. Si può, allora, comprendere, e
la stessa esistenza di tale immagine la giustifica, la preoccupazione
delle autorità ecclesiastiche riguardo al Frate già,
peraltro, oggetto della venerazione di fedeli, che accorrevano per
vederlo da varie parti della Puglia e d'Italia; la sua fama di taumaturgo,
confessore e consolatore, capace di fare anche miracoli, era vasta
e diffusa, ma un gran numero di pellegrini era attirato, soprattutto,
dal potere delle stigmate.

Padre Pio era
stabilmente a San Giovanni Rotondo dal luglio del 1918. Vi era pervenuto
a seguito di un lacerante itinerario di sofferenze e di lotte, spirituali
e fisiche, sostenute e descritte, come già accennato, nella
vasta corrispondenza tenuta con i direttori spirituali padre Benedetto
e padre Agostino. Sin da bambino - narrerà poi di un suo ricordo
dell'età di cinque anni - gli si presentavano apparizioni,
visioni, immagini di esseri mostruosi, terribili, minacciosi, allontanati
da altrettanti personaggi splendenti e amici difensori. Con efficace
sintesi, Marco Garzonio nel suo libro Padre Pio. Il caso può
affermare: "Il combattimento sarà il motivo dominante
della sua vita".
Fu all'età di quindici anni, nell'attesa e alla vigilia dell'entrata
in convento, che i tormenti e le fantasie di adolescente si evidenziarono
nella consapevolezza di un'esperienza che fu vissuta come distaccata,
vista da lontano. In quell'esperienza, Egli dice, il soggetto, riguardato
"con l'occhio dell'intelligenza", era la sua anima. E, come
è naturale, quell'esperienza fu raccontata in terza persona.
Dell'itinerario doloroso e mistico del Frate incominciarono ad apparire
alcuni segni, tra i quali la misteriosa malattia che l'afflisse manifestandosi
con febbri continue, con dolori lancinanti al torace, con tosse insistente
e frequenti svenimenti tanto da costringerlo, quando era ormai sacerdote,
grazie ad una dispensa speciale accordatagli, a far ritorno a casa,
laddove i confratelli si convinsero potesse ritrovare la salute.
Si era nel 1910. Si intensificò la corrispondenza del Frate
con i suoi direttori spirituali mediante la quale tutti i travagli,
i dubbi, le esperienze mistiche trovarono, nella dettagliata descrizione,
quasi una sorta di momentanea liberazione.
Nel febbraio del 1916, malvolentieri e non per sua iniziativa, lasciò
Pietrelcina e, accompagnato da padre Agostino, si recò a Foggia
ospitato nel convento di Sant'Anna. Nel caldo e afoso luglio di quello
stesso anno, il superiore del convento di Santa Maria delle Grazie,
che era a San Giovanni Rotondo, venuto a Foggia per una predica, visto
Padre Pio ancor più sofferente, lo convinse a seguirlo al proprio
convento ritenendo quello il luogo con il clima più adatto
a dargli un po' di sollievo e di conforto. Nell'autunno di quello
stesso anno ritornò a San Giovanni Rotondo per trattenervisi
per un periodo più lungo. Vi tornò poi il 18 marzo del
1918, dopo aver espletato, tra vari ricoveri e relative convalescenze,
il servizio militare, per rimanervi definitivamente.

Era il 20 settembre quando, sopravvissuto ad un attacco di "spagnola"
- l'influenza venuta dalla Cina che aveva mietuto in tutto il mondo
milioni di vittime -, dal suo corpo sgorgò sangue. Marco Garzonio
attribuisce al Frate, per questo evento, "uno stato di confusione"
nel quale "sono come saltati in lui i confini tra individuo e
storia, vocazione personale e destini dell'uomo, esperienza soggettiva
e ideali, modelli per cui vivere". Per trentadue giorni rimase
solo con l'evento miracoloso. Poi ne rese edotto il superiore provinciale
e quindi il suo direttore spirituale, padre Benedetto, il quale, per
primo, ne intuì la portata, che andava al di là dell'esperienza
soggettiva e mistica di un povero frate.
Riguardando l'immagine del giovane piagato Padre Pio può sorgere
spontanea la domanda: quanto traspare e si legge da quella fotografia
di tutti i suoi tormenti, delle sue visioni e di quanto gli è
accaduto? Solo i particolari delle mani e dello sguardo possono considerarsi
flebili indizi per il motivo che la fotografia riesce a registrare
ciò che cade sotto l'occhio della macchina, ciò che
si rappresenta. In realtà, il mistero di quanto investì
Padre Pio non ha avuto una rappresentazione e quindi non poté
essere mostrato.
Ma quando Padre Pio doveva "apparire", per assecondare la
venerazione e, forse, la curiosità di migliaia di pellegrini,
allora si verificava la rappresentazione, anche se il Frate non lo
voleva. Fu così che accolse, con la stessa serenità
di animo e francescana obbedienza, sia il tempo in cui gli fu proibito
di presentarsi in pubblico sia quello della restituita libertà.
Non cessò mai di accogliere, con un paterno e dolce sorriso,
chi gli si accostava con animo contrito e sincero e purtuttavia non
celava brusche reazioni in alcune occasioni. La massima parte delle
fotografie, che lo ritraggono con la gente e tra la gente, lo mostrano,
nella sua figura semplice, priva di qualunque apparenza speciale,
ma sereno e sorridente, quasi dimentico di tutte le sue sofferenze,
consapevole, nonostante il suo parlare ricco di inflessioni dialettali,
dell'ispirazione che riusciva ad infondere in chi correva da lui e
ricorreva a lui. Con sorpresa, in immagini lontane tra loro nel tempo,
(foto 2 e 3), si scopre la stessa espressione del volto, come se,
nonostante tutto, il suo sentimento nei confronti della gente non
mutasse. Sono queste le più belle e serene immagini di Padre
Pio, che possono spiegare la sensazione che prova il pellegrino nell'andare
verso di lui come all'incontro con un Essere portatore dell'umano
e del divino.

Durante la celebrazione
della messa, al momento della consacrazione eucaristica, il suo volto
trasmutava nell'estasi mistica (foto 4). Oggi le immagini, allora
riprese - non ha importanza chi ne fosse l'autore -, restituiscono
il silenzio e la luce, irreali, dell'incontro di Padre Pio con Dio,
rendono il suo sguardo rapito e rivolto verso il Cielo come se sguardo
e cielo fossero legati da un misterioso nastro di luce. In quel momento
tutte le afflizioni, i dubbi, i tormenti e le paure del Frate sembravano
annullarsi e, tramite lui, si annullavano anche in chi aveva il dono
di essere spettatore.
Le rare immagini del Frate nell'intimità della propria solitudine
sono forse le più toccanti poiché riflettono la sua
autentica lontananza dalle cose del mondo; in esse si manifesta una
sorte di timidezza e gelosa ritrosia ancor più esaltata dal
saperle foto "rubate". Una delle più significative
al riguardo (foto 5) mostra Padre Pio fare "capolino" dal
vano della cella conventuale, vano che è incorniciato dalla
parete bianca, ondulata e scabra per l'imperfezione dell'intonaco,
messa ancor più in evidenza dalla luce radente. Questa stessa
luce gli illumina parzialmente il viso sul quale disegna ombre suggestive
e misteriose, e la mano destra che, coperta con il mezzo guanto di
lana appena risalta sul saio nel contrasto del bianco e nero, suggerisce
l'esistenza dei segni della Passione.
Le immagini più emblematiche (foto 6 e 7) riportano il viso
sofferente con gli occhi sbarrati illuminati da qualcosa o qualcuno
che solo essi vedono.
Padre Pio sembra allontanarsi da tutto. Anche da noi. Al nostro stupore
si accompagna una lancinante sensazione di abbandono.
Per questo la gente si reca in pellegrinaggio a pregare sulla tomba
che custodisce le sue spoglie. E i pellegrini, per avere la certezza
di non essere stati abbandonati, riportano alle proprie case santini
che lo rappresentano, cioè sue immagini fotografiche.
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