In Rivista




Raffaele Caroli Casavola
Presidente Banca Popolare Pugliese



Apulia è al giro di boa dei venticinque anni. E un quarto di secolo è un tempo sufficiente per fare un bilancio interno e per analizzare i risultati del rapporto tra la realtà socio-economica del Paese, quale si è manifestata dal 1975 ad oggi, e la lettura, le interpretazioni e le decodificazioni che di essa abbiamo dato di volta in volta su queste pagine. Intanto, va precisato che questa rivista non è nata come puro segno di prestigio, sebbene dal prestigio della Banca trae l'aplomb, lo stile e la lezione di comportamento. Apulia è stata voluta come punto di riferimento degli studiosi, degli osservatori, dei cultori della nostra storia, dei giovani.
Obiettivi: proporre i maggiori temi di politica economica nazionale, meridionale, pugliese e di Terra d'Otranto, con particolare attenzione alle problematiche irrisolte dei Sud in bilico e dei Sud ancora nel baratro; rileggere in chiave moderna, e comunque oggettiva, la nostra storia politica e civile; richiamare l'attenzione sul nostro immenso (e poco noto) patrimonio d'arte, di paesaggio, di tradizioni popolari; ricollegare letteratura ed ethnos meridionali, pugliesi e salentini, alle radici originali, mediterranee, italiane ed europee; far riemergere uomini (con le loro opere e con i loro giorni) negletti o ricacciati nell'ombra dalla concezione solo produttivistica, e non anche culturale, dell'editoria locale, attuando accurati "scavi archeologici" in campo letterario, scientifico e artistico; dare spazio, conseguentemente, ad opere inedite, spesso anticipatrici, sempre rilevanti, di nostri giovani autori. Un progetto ambizioso, dunque, avviato con spirito di lungimiranza e sviluppato con coerenza. Un'esperienza che riteniamo ampiamente positiva, e che innumerevoli testimonianze hanno gratificato nell'arco dei venticinque anni di Apulia.
Va tenuto conto, naturalmente, del contesto generale nel quale la rivista è nata ed è cresciuta. Intanto, essa letteralmente irruppe nello scenario meridionale delle grandi aspettative, quelle del "Progetto '80" che fu l'atroce illusione ottico-fisica del Sud da agganciare all'Europa, mentre in realtà lo si abbandonava alla deriva mediterranea. Da allora tacquero gli ultimi meridionalisti: non per abbandono dell'impegno intellettuale, che ebbe ancora echi nobilissimi ancorché sempre più fiochi e inascoltati; ma per esaurimento della stessa spinta d'inerzia determinata dalla poderosa spallata che alla questione meridionale (alla sua soluzione, sia pur parziale) avevano dato i De Gasperi, i Menichella, i Saraceno, e, sul piano letterario, le schiere di scrittori siciliani, campani, calabresi, lucani, pugliesi, i cui slanci e messaggi e avvisi ai naviganti sarebbero stati per tanta parte vanificati dal pessimismo micidialmente realistico emerso dal brogliaccio del "Gattopardo".
Per tornare ai nostri giorni. La nostra struttura produttiva forse è molto meno fragile di quanto si dice in giro, anche se continuiamo ad accumulare vistosi ritardi nei settori-chiave. La capacità di fare industria, di investire, di produrre, di commerciare, non è più ristretta a poche famiglie dei grandi centri urbani, è diventata un fenomeno diffuso in strati sempre più ampi della popolazione del Sud. La cultura media della nostra gente si è enormemente elevata, si è fatta più uniforme, anche se continua ad esportare nel resto d'Italia e nel mondo troppi talenti. La qualità delle nostre maestranze rimane di prim'ordine. Viviamo, bene o male, e pur con tutte le lacerazioni interne che ci affliggono, in una delle poche democrazie avanzate del mondo.
Se cerchiamo di riflettere e di far riflettere sugli aspetti positivi di ciò che, in questi venticinque anni, abbiamo realizzato, mostrandoci, secondo la regola francescana, "garbatamente allegri", non è perché sottovalutiamo le piaghe che ci offendono, ma perché solo se saremo coscienti di quel che abbiamo e di quel che è in gioco sapremo esercitare la necessaria fermezza. E' stato scritto che il Sud ha bisogno di serenità. Abbiamo bisogno anche di fermezza e di coerenza. In questi tempi ci stiamo giocando, né più né meno, la nostra tenuta come parte d'Italia e d'Europa. I problemi che abbiamo di fronte derivano da fattori interni (dualismo, criminalità, inefficienza pubblica), ma anche internazionali e di evoluzione del ciclo tecnologico. Sono problemi difficili da influenzare sotto il profilo della mutazione culturale. Ma è proprio qui la grande scommessa. Perché quei problemi derivano da una costante resa di fronte a politiche contraddittorie, frutto di filosofie negative che vengono da lontano. Nel 1962 l'allora vicepresidente di un grande ente pubblico, che macinava migliaia di miliardi con un profitto risibile, a un esterrefatto economista americano che gliene chiedeva la ragione, rispose: "Lei deve sapere che, appena noi intravediamo il pericolo del profitto, corriamo ai ripari". Questo episodio (autentico) la dice lunga sulle origini dell'assistenzialismo e sulle filosofie che le hanno generate, scagliandole contro il Sud.
Ancora oggi, in tempi di Grande Patria Europea, e in confronto con le Piccole Patrie che la compongono, Apulia conferma un suo ruolo preciso. Non è in gioco solo l'etica, sono in gioco le porte che la democrazia deve garantire. Per esser forte e stabile, la democrazia ha bisogno, appunto, di porte, ciascuna delle quali è fatta per essere spalancata, in tempi di pace e di quiete sociale, ma anche chiusa, quando sorge insicurezza. Ogni porta è fatta per essere usata nelle due direzioni. Soprattutto il Sud ha bisogno di chiarire quali siano le sue nuove frontiere, come esse vadano interpretate. Noi riteniamo che le frontiere si traccino non già per rinchiudersi e occuparsi esclusivamente dei propri affari interni, ma per essere capaci di aprirsi, di occuparsi di quel che accade al di là dei propri perimetri. I confini si definiscono per meglio riconoscere l'importanza delle periferie e dei popoli limitrofi, per meglio curarsi della loro quiete e della loro eventuale pericolosità, delle loro stagnazioni e del loro sviluppo. Le frontiere sono mentali, oltre che geografiche, e segnalano un modo di convivere politicamente, di determinare la crescita, di osservare le leggi dell'etica e dell'interesse, di immaginare società aperte, anche se non prive di regole e divieti. Dentro questo territorio ideale vive Apulia, e su confini che non sono da "Deserto dei tartari", che non attendono di essere violati dal nemico, che non vogliono più circoscrivere una società povera, condizionata in politica e in economia dall'inaridimento dell'immaginazione, frustrata dai cartelli del crimine, emarginata per presunte differenze di sangue e di pelle.
Dentro questo territorio ideale e su questi confini continuerà a vivere e ad agire Apulia, passando in rivista, con serenità, con fermezza, con coerenza, la storia e le storie del nostro profondo Sud.
Nel ringraziare di cuore, per la cura e l'affetto profusi, il dott. Aldo Bello, instancabile volano di Apulia, e tutti i numerosi Collaboratori del periodico, ci piace concludere con quanto Giorgio Primiceri - colui che per primo pensò e volle questa Rassegna trimestrale - ebbe a dire nel corso dell'assemblea dei Soci dell'11 aprile 1976: "Anche in questo caso i numerosi e qualificati consensi e le richieste che riceviamo confermano la nostra convinzione di avere bene operato, dando vita ad un periodico che tratta della nostra terra, si batte per essa e aiuta noi stessi a conoscerci e meglio comprendere come eravamo e come siamo. Ciò conforta i nostri sforzi e premia i nostri sacrifici.
A questa Rassegna, come e più di quanto abbiamo fatto finora, dedicheremo la nostra attenzione e le nostre migliori cure perché essa, continuando a progredire, attinga livelli sempre più elevati in qualità, per servire meglio e con sempre maggiore efficacia gli interessi della nostra Terra e della nostra gente".


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