Esserci




Aldo Bello



In un Paese nel quale, dall'Unità in poi, l'unica costante è stata e continua ad essere quella delle emergenze d'ogni natura (politica, economica, sociale, criminale), quasi sempre funzionali a interessi di parte, la presenza di un osservatorio come Apulia, anche se dislocato in un'area geograficamente periferica, può in qualche modo rappresentare uno strumento di lettura in chiaro di quanto accade intorno a noi e rendere visibili avvenimenti e fenomeni che altrimenti resterebbero poco noti, incomprensibili, o non facilmente collegabili nelle complesse strategie che li determinano.
Sta accadendo proprio oggi, ad esempio, e sotto i nostri occhi, una mutazione estremamente rilevante: è in atto la ridefinizione degli assetti di potere del capitalismo italiano, che vede protagoniste due Presidenze: quella del Consiglio e quella di Mediobanca. Nella capitale sono in campo uomini del calibro di Geronzi (Banca di Roma), Romiti (Rcs-Corriere della Sera) e altri newcomers. A Milano, ex capitale morale prima dei fulmini di Tangentopoli, si rafforza Bazoli (artefice della Grande Intesa con Comit). La Presidenza del Consiglio nomina i nuovi leader di Iri ed Eni, manager non lottizzati, comunque non lontani dai disegni del capo del governo, il quale approva anche la missione espansiva dell'Enel (Acquedotto Pugliese in primis) e ascolta progetti megagalattici di alleanze tra grandi strutture tuttora in mano pubblica.
Dov'è l'anomalia, in tutto questo? Certamente, non nei passaggi del testimone del potere, non nelle alleanze né negli assetti che si determinano con il loro formarsi, o nelle tattiche che ridisegnano la geografia dei potentati nazionali. L'anomalia, intesa come trasgressione delle regole che hanno governato il capitalismo italiano fino a questo momento, è nella ritirata (che non è uscita di scena) di Torino. E' una novità rivoluzionaria. Sembra tramontato il tempo in cui trionfava lo slogan "ciò che è bene per la Fiat è bene per l'Italia". Ora Umberto Agnelli è costretto ad affermare che vuole "trattare anche con i prepotenti purché siano salvaguardati gli interessi di tutti, purché ognuno si renda conto che il tornaconto dev'essere distribuito in modo equo". Anni fa gli Agnelli reclamavano la ritirata dello Stato, pronti com'erano ad impegnarsi per sostituire il pubblico col privato. Adesso, capitani coraggiosi, e meglio ancora, capitani spregiudicati, ricchi di risorse progettuali e di astratte ingegnerie finanziarie più che di denari, hanno ridimensionato le ambizioni della famiglia più in vista della penisola. Sono capitani che hanno cavalcato il mercato, ritenendo poi di poterlo violentare. Tramortiti dalle reazioni feroci dei fondi di investimento soprattutto stranieri, degli analisti, della stampa anglosassone (chissà perché "autorevole" per definizione, anche quando opera come mano visibile a sostegno di interessi visibili), di buona parte del mondo finanziario e persino politico, gli esponenti della "razza padana" sembrano decisi a riaccostarsi al Grande Vecchio della "finanza nel salotto buono", Enrico Cuccia.
Torino in trincea, dunque. Per la prima volta nel nostro secolo.
Si è parlato, si parla troppo di guerre nelle contese finanziarie di questi ultimi tempi. Errato inclinare le passioni verso oggetti impropri, tifare contro qualcuno, sostenere impropriamente qualcun altro. Noi siamo nati per osservare, e questo atteggiamento oggettivo ci consente di pretendere che chi determina le regole e chi arbitra deve favorire il massimo di competitività, il massimo di concorrenza, il massimo di giustizia, il massimo di trasparenza.
Le norme sono rispettate, la nazione intera progredisce verso la modernizzazione del mercato e delle strutture finanziarie? Gli eventuali newcomers possono trovare la strada dell'affermazione sulla base delle loro capacità e del loro talento, e non su quella delle logiche di appartenenza?
Sta emergendo una nuova classe dirigente, magari oltre le mura del "piccolo mondo antico", della "razza padana", dei "capitani coraggiosi o spregiudicati", e della galassia Mediobanca? La strategia di certe operazioni finanziarie corrisponde a precisi disegni di politica industriale? Le operazioni sono valutate per la loro intrinseca qualità o solo per motivi di nazionalismo miope?
E in questo più generale contesto, quale ruolo è riservato al Mezzogiorno?
Quel popolo di lotofagi che è l'italiano, che ha considerato i grandi meridionalisti una sorta di casta di Cassandre, ricorderà che l'Italia sarà quel che sarà il suo Sud?
Se la risposta a queste domande è positiva, il richiamo al mercato non è la liturgia di chi predilige i riti della partecipazione impropria alla definizione del piano regolatore del capitalismo italiano. Deve risultare chiaro che si stanno affrontando sul terreno del mercato gruppi dirigenti con progetti imprenditoriali e finanziari contrapposti. E determinanti per il futuro del Paese. Perciò decisivi anche per quel terzo d'Italia che nel bene o nel male ha continuato a rappresentare il soggetto, sì, ma passivo, della politica di sviluppo, come Apulia non ha cessato di denunciare lungo il quarto di secolo della sua vita.
Anche per questo dobbiamo continuare ad esserci. E perché dobbiamo chieder conto delle nostre ragioni e dei nostri vizi, per vedere nel magma della nostra storia passata i presupposti del Sud e dell'Italia di oggi. Un Sud e un'Italia tutt'altro che realmente capitalistici e selettivi, che, nel mercato globale, dopo Maastricht, si presentano con meno economia di mercato degli altri Paesi, con meccanismi di concorrenza più deboli, con istituti di assistenza sociale più rigidi, con più monopoli pubblici soprattutto nel campo dei servizi, con una scuola precipitata dal rigore inconcludente al permissivismo dequalificante.
Esserci per noi e per chiunque condivida insieme con noi idee, progetti, destino. Da questa nostra terra periferica, ma non marginale; non ricca ma soprattutto non arretrata; ponte e non muro per tre continenti; penisola di una penisola non chiusa in una torre dell'oblio e del pessimismo.
E' da qui che proseguirà la nostra testimonianza. Come proposta politica ed economica. E come sfida intellettuale.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000