§ Sfida Euro-Dollaro

Vincerà il mercato




Patrick Obsborne



Quando prese il via, l'euro era sul valore 1,17 dollari. Salì al massimo di 1,1877, poi scivolò anche al valore di 1,03. Molto è stato scritto, ma spesso sbagliando, sulla moneta europea: prima sulla sua probabilità di successo, poi sul suo valore rispetto alla divisa americana.
Per esempio, prima della sua creazione, molti tra i più noti economisti americani (come i Premi Nobel Paul Samuelson, Milton Friedman, James Tobin, Robert Solow e Lawrence Klein, ma anche Paul Krugman del Mit e Martin Feldstein di Harvard e presidente del celeberrimo National Bureau of Economic Research) avevano predetto che la moneta unica europea sarebbe rimasta soltanto un progetto. Quando poi la data della creazione si avvicinò e divenne chiaro che l'euro sarebbe stato introdotto come prestabilito, allora tutti questi economisti espressero forti dubbi sul successo della nuova unità monetaria. Per esempio, Rudi Dornbusch del Mit scrisse persino un articolo su Public Affairs nel settembre del 1996 intitolato "Euro Fantasies".
Sbagliando all'altro estremo, e molto più chiari ed enfatici, furono invece Richard Portes ed Helen Rey, della London School of Economics, i quali nell'ottobre dello scorso anno pubblicarono un'analisi approfondita dalla quale concludevano che l'euro sarebbe diventato immediatamente una moneta forte e che nel giro di pochi mesi avrebbe sostituito il dollaro come la moneta internazionale più importante. Parecchi altri economisti europei espressero le stesse convinzioni e questi sono stati anche i risultati di un'indagine condotta dalla Deutsche Bank nell'ottobre del 1998 e di un'altra condotta dalla Gallup per conto della banca d'investimento Merrill Lynch nel novembre del 1998 tra i grandi investitori istituzionali di tutto il mondo.
Eppure, né gli economisti americani sopra citati, né quelli europei con idee simili a quelle di Portes e di Rey, come neanche la grande maggioranza dei principali investitori istituzionali interpellati, hanno avuto ragione. L'euro è stato creato con successo ed è nato forte, ma poi ha perso quota e di certo non ha preso il posto del dollaro nella finanza internazionale. Ma c'è di più. C'è chi ha detto che gli Stati Uniti hanno spinto a bombardare i Serbi per stimolare l'economia americana e per fare indebolire l'euro. Ma gli Stati Uniti stanno già crescendo troppo rapidamente e sono al massimo della loro capacità produttiva e di sicuro non hanno bisogno di altri stimoli. L'euro peraltro era già scivolato prima che i bombardamenti cominciassero e al massimo il suo valore è sceso di qualche centesimo rispetto al dollaro a causa della crisi nel Kosovo. Lo dimostra il fatto che, con la pace in quell'area, l'euro non è risalito. Né il permesso che l'Italia ha ottenuto a fine maggio dall'Ue di sostenere un deficit di bilancio del 2,4 invece che del 2 per cento per quest'anno può aver causato più di qualche centesimo di deprezzamento.
Poi c'è stato il presidente della nuova Banca centrale europea, Wim Duisenberg, che in marzo e aprile aveva espresso gravi preoccupazioni sulla scivolata dell'euro, ma subito dopo ha capito che sbagliava e ha cambiato musica, dicendo di non essere affatto preoccupato e che, in ogni modo, l'euro si sarebbe rafforzato a cominciare dall'autunno. Anche il ministro francese delle Finanze, Dominique Strauss-Khan, e quello tedesco (ricordate Oskar Lafon-taine?) spingevano per un sistema di fasce di fluttuazione permesse per fermare il deprezzamento dell'euro rispetto al dollaro. Ma in passato queste non hanno mai funzionato bene e molto probabilmente non funzionerebbero adesso. Infine, non sono mancati esponenti di rilievo del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea che si sono pronunciati sostenendo che "non è che l'euro sia debole, è il dollaro che è forte". Questo è come dire che non è che una persona è più bassa di un'altra, ma è che l'altra è più alta della prima: il che non significa e non spiega assolutamente nulla.
Non è mancato chi ha dato giudizi sensati, come Otmar Issing (il capo economista della Banca centrale europea), Wim Duisenberg (da maggio in poi), Alan Greenspan (il Governatore della Federal Reserve) e Antonio Fazio, i quali hanno espresso il loro favore a che sia il mercato a decidere il valore dell'euro. Soltanto vari ministri dei Paesi partecipi all'euro, come pure il presidente della Bundesbank, continuano a mostrare preoccupazione per il deprezzamento dell'euro. In ogni modo, sono troppi a parlare, ed è difficile farli tacere.
Che cosa si può dire quasi con certezza sul tasso di cambio tra euro e dollaro?
1) L'euro è deprezzato perché è nato troppo forte (quando il tasso di crescita e il tasso di interesse sembravano che dovessero scendere negli Stati Uniti e salire in Europa). Siccome dall'autunno dello scorso anno è accaduto l'opposto, è solo normale che l'euro si sia deprezzato rispetto al dollaro, ed è infatti oggi più o meno al valore che le monete che lo costituiscono avevano un anno fa.
2) Il deprezzamento dell'euro è molto vantaggioso per l'Europa perché stimola le esportazioni in una situazione di bassa crescita e, con prezzi che rimangono molto contenuti, anche un deprezzamento del 10-15 per cento non creerebbe alcun problema inflazionistico per l'Europa nella situazione attuale.
3) Interferenze (interventi ufficiali) nel mercato dei cambi non hanno mai avuto successo in passato, quando lo scopo era di contrastare le tendenze di mercato di lungo periodo. Esse possono solo rafforzare temporaneamente le tendenze di mercato, ma non contrastarle.
4) Fasce di fluttuazione rigide non hanno mai funzionato e non c'è ragione di pensare che funzionerebbero bene nella situazione odierna.
5) E' molto probabile che l'euro continuerà a scendere perché i tassi di interesse tendono ad aumentare negli Stati Uniti per contenere l'eccessiva crescita e a diminuire in Europa a causa della sua crescita anemica.
6) Il tasso di cambio è un prezzo, e come tale lo si deve lasciare funzionare senza interferenze (crediamo o non crediamo nel mercato?). Soltanto se l'euro diventasse chiaramente disallineato e fortemente sottovalutato rispetto alla divisa americana (diciamo se il suo valore scendesse sensibilmente al di sotto di un dollaro), solo allora sarebbero giustificate preoccupazioni e richieste di interventi ufficiali nella forma di coordinamento delle politiche monetarie e fiscali tra Europa, Stati Uniti e Giappone.


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