§ Osservatorio

Miseria e grandezza dell'economia




Antony S. Obsborne



Il vero decollo economico italiano, quello che ha trasformato il nostro Paese da prevalentemente agricolo in prevalentemente industriale, si è verificato esclusivamente negli anni Cinquanta di questo secolo, con il cosiddetto "miracolo economico". Ma già rispetto alla rivoluzione industriale inglese della seconda metà del Settecento e alla sua successiva diffusione nell'Europa continentale, l'Italia è stata (insieme alla Spagna, alla Russia e alla Svezia) un classico esempio di "sviluppo ritardato", con avvio fra gli ultimi decenni dell'Ottocento e il 1914. Dopo i Paesi precocemente industrializzati, come il Belgio, la Francia e la Svizzera, e dopo quelli della cosiddetta seconda ondata, come la Germania e l'Austria-Ungheria.
Proviamo adesso a ragionare in base a uno schema che pretenda di interpretare la storia economica e sociale come una vicenda di "vittoria e insuccessi", (conquiste e fallimenti, benefici e costi). Ci potremmo allora chiedere se questo "ritardo" nello sviluppo economico "moderno" sia stato una vittoria oppure un insuccesso. Ma la difficoltà della risposta sarebbe evidente, come davanti a un bicchiere mezzo pieno. Bisognerebbe assegnare alla storia un fine, un obiettivo: la crescita economica, o un certo tipo di crescita, per esempio.
Anche le conseguenze economiche e sociali della prima fase della rivoluzione industriale potrebbero a loro volta classificarsi come conquiste (dal balzo della produttività al pane quasi gratuito, dall'abbondanza di prodotti manufatti all'allungamento della vita umana, all'istruzione, ai libri, eccetera); oppure come insuccessi, mettendo al passivo i costi umani (maggiori disuguaglianze, lavoro minorile e, addirittura, il "martirio" della classe operaia, e così via). A parte il linguaggio escatologico, qualche "duplicazione contabile" risulterebbe altrettanto evidente, fra costi e benefici. Sui "costi dello sviluppo" si è del resto discusso ampiamente negli anni Settanta, sulle orme di Mishan e di Galbraith, quando si pensava che non sarebbero mai finiti i cinque decenni di crescita rapida, senza precedenti storici, di cui hanno beneficiato i Paesi dell'Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Adesso ci si preoccupa piuttosto di uno sviluppo eccessivamente lento.
Sono soltanto esempi dell'impostazione con cui Paul Bairoch ha costruito un'opera molto vasta e per certi aspetti approfondita (Storia economica e sociale del mondo, in due volumi), nella quale ha profuso grandi ambizioni e i risultati di molte ricerche, ben oltre il proposito originario di redigere un manuale capace di offrire "tutto ciò che lo studente dovrebbe conoscere in fatto di storia economica e sociale del mondo".
Per fortuna, nonostante questo, il lettore appassionato e intellettualmente curioso trova nel libro, in forma abbastanza accessibile, un panorama aggiornato al 1993-'94, ben documentato e persino accattivante. Alla condizione di non trascurare le istruzioni per l'uso, esplicite nel titolo originale (Victoires et déboires), qui scalato a sottotitolo: "Vittorie e insuccessi dal XVI secolo ad oggi".
Può sorprendere che tanta parte del mondo e del XX secolo - l'Europa dell'Est, dalla Russia degli Zar alla rivoluzione bolscevica del '17, al ritorno al capitalismo - sia compresa in un solo capitolo. Ancor più che l'autore rinunzi al suo schema davanti a settant'anni di comunismo per un terzo dell'umanità: certo una delle più tragiche "fratture" di quella storia, dalla Nep alla pianificazione integrale staliniana, dalle riforme degli anni Cinquanta all'abbandono del comunismo stesso. Nessun accenno, qui, a successi e fallimenti, né a costi umani e sociali (o semplicemente economici).
Una storia economica e sociale dei "cinque secoli cruciali per la vita dell'umanità" ha una scelta obbligata dell'epoca iniziale: la "frattura" verificatasi alla fine del XV secolo, anzi nel fatidico 1492, con la morte di Lorenzo il Magnifico, la scoperta del Nuovo Mondo, l'espulsione degli ebrei sefarditi da Granada. E tuttavia, in questa ottica, non c'è frattura più fondamentale e specifica della (prima) rivoluzione industriale. Essa costituisce il baricentro dell'opera, lo spartiacque fra un prima e un dopo.
Un'appassionante cavalcata attraverso diecimila anni di storia, dalla rivoluzione agricola del neolitico ai giorni nostri - con particolare riguardo alle società tradizionali occidentali e alle loro trasformazioni tra il 1500 e il 1850 - è traguardata sulle altre grandi "fratture" fra l'una e l'altra rivoluzione, e, poi, fino all'ultimo scorcio del Novecento.
Ma, a parte gli schematismi interpretativi (la storia economica e sociale non procede per evoluzioni, bensì per salti e spaccature; e deve avere per forza degli obiettivi, altrimenti non si potrebbe parlare di successi e di fallimenti), il testo di Bairoch è denso di idee, di dati e di informazioni. Non trascura, in sintesi, alcun aspetto rilevante degli ultimi cinque secoli, soprattutto per i Paesi sviluppati e non soltanto per l'Europa, ma anche per il Terzo Mondo, o, più esattamente, per i Terzi Mondi del globo.


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