§ Eurosistema: obiettivi e strategie della nuova commissione

Le gobbe del sogno possibile




Claudio Alemanno



Passare dal Welfare State alla Welfare Society. E' questo in sintesi il messaggio che il Presidente Prodi ha indirizzato ai governi e ai popoli europei, tratteggiando coerentemente anche la direzione di marcia dell'impegno progettuale dei suoi Commissari. Prodi ha insistito sull'allargamento dell'Unione (lo sguardo è rivolto principalmente ai Paesi dell'Est), sulla trasparenza dei rapporti istituzionali tra Commissione e Parlamento e sul potenziamento dei rispettivi ruoli, su una politica economica volta a contenere i fattori di squilibrio, a rilanciare le tecnologie informatiche, a riformare lo Stato sociale per liberare risorse a vantaggio dello sviluppo.
Dopo aver apprezzato il nuovo codice deontologico dei funzionari e reso omaggio alla sicura fede europeista dei protagonisti del nuovo corso comunitario, corre l'obbligo di rilevare le obiettive difficoltà in cui si dibatte la pratica quotidiana della governabilità.
La questione istituzionale, relegata da tempo nel limbo dei buoni propositi dalle volontà statuali, costituisce uno dei nodi centrali, volutamente irrisolti. Ciò alimenta l'area dell'incertezza nell'articolazione del processo decisionale e nella dialettica delle competenze tra i "poteri forti" dell'Ue: Commissione, Parlamento, Consiglio.
C'è poi la questione dei controlli, che non ha importanza secondaria. E' emblematica la "querelle" sull'organo di vigilanza abilitato a controllare l'attività della Banca europea degli investimenti (Bei).
L'Europarlamento ritiene che il potere di verifica spetti all'unità antifrodi (Olaf), appena riformata per renderla più incisiva e autonoma rispetto alla Commissione. Ma il vertice finanziario della Banca disconosce la competenza di quest'organismo parlamentare rivendicando una propria "area di sovranità" che lo porterebbe a rispondere del suo operato solo al Consiglio dei governatori, un organo politico composto dai ministri finanziari.
Le questioni economiche richiedono inoltre alleanze tecniche e strategiche che implicano in ogni passaggio statuale un alto tasso di progettualità europea. Ciò non emerge dalle linee di condotta dei singoli Stati nella cui considerazione l'impegno comunitario rappresenta ancora una variabile subordinata dell'interesse statuale.
In più c'è l'azione massiccia di riorganizzazione portata avanti a tappe forzate dal potere economico con motivazioni industriali e finanziarie suggerite dalla competizione internazionale (il "gioco dell'Opa" diventa uno sport sempre più popolare).
Questo frenetico movimento di nuove aggregazioni rafforza monopoli ed oligopoli che nella loro ricerca di "creazione di valore" spiazzano ed anticipano le esigenze di disciplina istituzionale. Così il "turbocapitalismo" impone le sue regole al mercato e finisce nel concreto col prevalere sul "socialcapitalismo", le cui idee sono largamente radicate nella tradizione culturale e nei circuiti istituzionali dell'Europa continentale.
Le disfunzioni presenti nell'area della governabilità portano a sollecitare spazi definiti di sovranità federale (il problema è stato sollevato ad Helsinki anche dal Presidente Ciampi). E' questa la sfida primaria del nuovo percorso comunitario che ogni giorno viene riproposta dal malfunzionamento e dalla solitudine delle istituzioni. La carenza di unità politica costituisce una grave strozzatura che limita il ruolo internazionale della Banca centrale, indebolisce la posizione dell'euro e non consente di dare ad altri lezioni di "buon mercato" in assenza di un modello organico e competitivo.
Di solito i governi rivendicano autonomia quando sono supportati dal consenso interno, mentre sollecitano l'intervento comunitario quando sono in difficoltà. Questa logica utilitaristica, alimentata dal protagonismo offerto dalle rendite di posizione, paralizza il processo di aggregazione federale e rende necessario un nuovo cocktail politico, impegnato a trasformare un associazionismo di fatto in stato di diritto permanente.
Al Presidente Prodi formuliamo l'invito a volare alto, con iniziative propositive, e gli ricordiamo, con Pasolini, che "l'idea del potere non ci sarebbe se non ci fosse l'idea del domani".
Nella gestione della cosa pubblica si trovano politici navigati, dottori sottili, gran commis d'État, pochi civil servant. Ma la vera leadership ha sempre due marce in più: coraggio e lungimiranza. Come hanno dimostrato i Padri dell'Idea europea. De Gasperi, Adenauer, Schuman, Monnet si sono mossi ignorando gli attendisti della zona grigia e i nazionalisti dal candore eversivo.
Le vicissitudini della recente storia politica rendono sempre più sbiadita la gestione partitica. Da questa crisi nascono molti vuoti di potere che vengono colmati con impulsi di marcata tendenza "leaderista".
Ci sembra poi di cogliere nei segnali di erosione della sovranità statale un utile supporto offerto dal mercato globale. Gli studi economici e le pratiche operative sollecitati dal localismo vanno modificando l'ordine gerarchico dei poteri costituiti, svuotando di competenze le autorità centrali a vantaggio delle autorità locali e sovranazionali. Questo fenomeno acquista crescente visibilità col maturare progressivo della convinzione che il momento istituzionale è parte integrante del processo di sviluppo e va analizzato come fattore che interagisce con i fattori tradizionali della produzione.
A Strasburgo già un altro italiano, Altiero Spinelli, nel corso della prima legislatura del Parlamento europeo (1979) aveva animato un dibattito costituente predisponendo un progetto di Carta costituzionale.
Ma i tempi non erano maturi per rendere praticabile una limitazione ufficiale della sovranità nazionale. Era dominante l'idea dell'Europa delle Patrie, fortemente voluta e difesa da De Gaulle.
Dopo venti anni, soprattutto con i Trattati di Maastricht e di Amsterdam, il processo integrativo ha avuto una decisa accelerazione per cui il tema potrebbe essere ripreso e trovare orecchie più sensibili in una speciale Commissione tecnica abilitata dai governi a predisporre gli atti preparatori di un lavoro costituente. Forse sarebbe sufficiente riprendere il progetto Spinelli aggiornandolo alla luce delle nuove esperienze acquisite. In tal senso premono anche le esigenze di definizione di una cittadinanza europea che possa dare disciplina giuridica e struttura organizzativa centralizzata al fenomeno complesso della nuova immigrazione che coglie impreparati gli Stati nazionali.
Una Carta costituzionale semplificherebbe la procedura di adesione, assicurerebbe veste giuridica ai valori etici del suo centro gravitazionale, darebbe più certezza e omogeneità alle politiche sistemiche (giustizia, fisco, bilancio, ecc.) e al catalogo dei diritti e doveri vincolanti gli iscritti al Club europeo (anzitutto l'impegno a lavorare su diritti umani e assetto democratico).
Si aprono spazi nuovi per la possibilità di agire in questa direzione, ma il processo passa sempre attraverso la revisione del dogma della sovranità, un pilastro della definizione geopolitica dell'Europa ottocentesca fortemente ispirata dal pensiero di Rousseau.
Non sarebbe vano cominciare a contare munizioni e forze disponibili per un cammino obbligato che va dalla "coesistenza competitiva" alla "desistenza funzionale". Lo sviluppo futuro ruota attorno alla visione allargata della cittadinanza statale che, per usare un concetto caro a Campagnolo (Kelsen-Campagnolo, Diritto internazionale e Stato sovrano, Giuffrè) si promuove attraverso "l'assimilazione progressiva dello straniero al cittadino".
Il federalismo per svilupparsi ha bisogno di una realtà politica che lo faccia nascere e marciare verso una realtà storica. Così, all'inizio di una nuova stagione comunitaria, acquista rinnovato vigore un vecchio enigma che aleggia sull'Europa istituzionale: quanto durerà il silenzio della notte?


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