§ Fine del "nuovismo"

Dove siamo




S. B.



Pensavamo di andare chissà dove, e invece siamo qui. Questa frase, scritta molti mesi fa su un murale ferroviario, (su un treno, per l'esattezza, e dunque portata in giro sulle strade ferrate di mezza penisola), ci è tornata alla mente leggendo i commenti ad alta frustrazione seguiti all'esito dell'ultimo referendum elettorale, in particolare di Angelo Panebianco e del ministro Amato. Ci sono sembrati l'onesta presa d'atto che la lunga cavalcata in avanti di un nuovismo un po' spiritato è ormai terminata, e che ci ritroviamo a dover fare i conti con la realtà effettiva del sistema e dei processi che la guidano. Panebianco fa riferimento allo scollamento progressivo che si è creato fra gli atteggiamenti collettivi e le istanze di ammodernamento istituzionale; mentre Amato fa riferimento allo scollamento progressivo che nello stesso decennio si è creato fra i processi economici reali e l'azione pubblica nell'economia. Ma l'uno e l'altro si ritrovano a dover dire che occorre fare i conti con la realtà.
In altri termini, per noi è necessario prendere atto che lungo gli anni Novanta hanno operato processi forti che hanno cambiato questo Paese. Basta partire da quel che è avvenuto ad opera dei processi economici e sociali: le imprese, anche le più piccole, hanno interpretato gli obblighi della globalizzazione diventando degli investitori all'estero (in Slovenia e in Romania, come in Cina o in India); la propensione al rischio imprenditoriale, dopo le saghe veloci dei decenni passati (si pensi al Nord-Est italiano) sembra adesso concentrarsi in segmenti (alcune zone del Mezzogiorno, alcune componenti del mondo femminile, qualche area del lavoro sommerso, e via di seguito) che hanno più lenti e complessi processi di emersione e di condensazione.
Mentre cominciano ad affermarsi protagonismi territoriali nuovi, (le medie città, le autonomie funzionali, forse anche i patti territoriali, eccetera), che potrebbero avere una qualche importanza nel processo di sviluppo nazionale.
Di fronte a queste novità, non ci si può limitare ad affermare che "la sinistra di governo non ha cultura", che è necessario volontaristicamente "metterci l'anima", o che è tutta colpa del governo. E' in parte vero anche questo. Ma è ancora più vero che occorre saper accompagnare i processi in atto, sostenendoli e orientandoli; occorre essere più vicini a chiunque voglia esprimere ancora energie, senza confidare che bastino gli automatismi virtuosi; bisogna ritornare a fare concreta politica di sviluppo.
La stessa cosa vale anche nel sistema politico-istituzionale. Abbiamo ritenuto per anni che fosse sufficiente una virtuosità di funzionamento dei meccanismi decisionali. Ma nel tempo una scelta del genere ha dimostrato chiaramente di non essere un valore di per se stessa (anche perché su importanti questioni, dalla guerra alla moneta, sono altri a decidere); essa è diventata allora arma interna alla lotta politica, non coagulando peraltro il necessario consenso, consenso che si perde in mille rivoli e non rifluisce sui consolidati meccanismi della rappresentanza e della concertazione sociale.
Non ci si può allora sorprendere se invece della governabilità di vertice vincono anche in campo istituzionale i processi di lungo periodo; e sono processi di policentrismo del potere, se è vero, come è vero, che stanno crescendo i poteri dei comuni, delle province, delle comunità montane, delle regioni, in una parola delle diverse autonomie funzionali.
Nei dieci anni di spinta alla verticalizzazione "monarchica" delle decisioni, è paradossalmente cresciuto nell'ombra un assetto istituzionale poliarchico, tutto da capire e da gestire!
Davvero, dunque, ritenevamo di andare da un'altra parte, e invece siamo qui. La realtà è cambiata non in base alle volontà politiche (di destra, di sinistra o d'altri pensieri e ideologie intermedie), ma in base a processi socio-economici, economici e istituzionali lenti ma costanti, di lunga deriva, di cui quasi non ci siamo accorti, ma dei quali, volenti o nolenti, a questo punto è necessario prendere atto e agire di conseguenza.
Occorre allora uno scatto di innovazione culturale, ma sarà quanto mai utile segnalare che esso potrà venire soltanto da un umile ma corroborante immergersi, appunto, in quelle lunghe derive processuali dalle quali abbiamo avuto la tentazione di prescindere: presumendo di andare altrove, ma ritrovandoci qui.


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