§ Continuitą del "passatismo"

Dove saremo




S. P.



Negli anni dal 1993 al 2000 l'Irlanda sarà cresciuta del 78 per cento, la Spagna del 23 per cento, il Regno Unito del 19 per cento, la zona euro del 18 per cento. Nello stesso arco di tempo, l'Italia sarà cresciuta appena del 13 per cento, peggio perfino della Germania.
La Spagna può snocciolare altri indicatori di crescita, quello del prodotto interno lordo di quest'anno, o quello dell'occupazione (che dal 1997 al 2000 fa registrare questa impressionante serie di aumenti: +2,9 per cento, +3,4 per cento, +2,6 per cento, +2,4 per cento), o infine quello del capitale fisso. Mentre l'Italia, da dieci anni, cresce meno degli altri Paesi tra i quali abbiamo voluto essere, e questo è - come ha riconosciuto lo stesso presidente del Consiglio - un problema di fondo.
Che cosa abbiamo noi di meno o di diverso? Che cosa possiamo fare per non essere il fanalino di coda dell'Europa? Perché non possiamo ripetere la "svolta di Siviglia"? Un nostro capo di governo - ricordiamo - era andato a trovare il presidente spagnolo, presumendo di trovare in lui un alleato nelle comuni difficoltà per raggiungere i famigerati parametri di Maastricht; invece che comprensione, trovò determinazione, e fu una salutare frustata. L'allora ministro del Tesoro - e attuale Capo dello Stato - capì che bastava innescare il processo e poi cavalcarlo: la prospettiva di riduzione del deficit avrebbe fatto calare i tassi e quindi avrebbe prodotto una sua reale riduzione. Quel ministro scelse un obiettivo chiaro, semplice da comunicare, e prese a martellarlo una serie infinita di volte, restituendo la parola "priorità" al suo senso letterale: nel "gioco della torre", se necessario, si sacrificano prima gli altri.
Oggi, nel Documento di programmazione economica, si elencano le azioni che il governo ha intrapreso o intende intraprendere nel breve e nel medio periodo: il problema non è tanto se siano giuste; il problema è se facciamo in tempo ad evitare che il susseguirsi di differenziali di crescita produca distacchi che poi ci vogliono i miracoli per colmarli. Dopo tanti anni di andamento stagnante dell'economia, non bastano le azioni (o le buone intenzioni) di governo per modificare le aspettative degli operatori.
Dobbiamo adottare la strategia di Ciampi: il coraggio di lanciare una scommessa, la determinazione di essere fedeli a una priorità. Per avviare il processo, per innescare il circolo della ripresa investimenti-occupazione-consumi, la scommessa è usare l'effetto annuncio, sciogliere nodi antichi, affrontare problemi che negli anni si sono ossificati, superare il passatismo politico che ha formato (e condizionato) una mentalità e un comportamento.
Flessibilità e pensioni sono nodi simbolici, forse prevalentemente simbolici. Quando, a chi chiede flessibilità, si oppongono i 63 tipi di diverse forme contrattuali, oppure una mobilità in uscita del 15 per cento l'anno, si riconosce che ormai l'indissolubilità del contratto a tempo indeterminato è un fortino isolato, difeso per onore di bandiera, quando ormai le battaglie vere si stanno combattendo altrove.
Quando, a chi indica lo squilibrio del nostro sistema del Welfare tutto pensioni e niente assistenza, a chi porta evidenza attuariale e comparativa della sua insostenibilità, i sindacati confederali si rifiutano di prendere in esame il tema per questioni di principio (la scadenza del 2001) o di potere ("senza il nostro accordo non si fa nulla"), dimostrano soltanto la debolezza della loro posizione.
Ciò che colpisce non è stata tanto la reazione dei sindacati, che già altre volte hanno combattuto battaglie di retroguardia. A colpire è la prontezza con cui larga parte del mondo politico ha accolto le critiche mosse al governo, di avere agito in modo intempestivo o generico, spaventando gli elettori e irrigidendo la controparte, il senso di sollievo con cui le ha amplificate: meno male che il governo ha sbagliato - sembra sia il pensiero di larga parte della maggioranza - così possiamo voltar pagina.
Ciò che colpisce è il ritorno di un'illusione che, in altri tempi e per altre maggioranze, è stata una comoda, anche se cinica, prassi: quella di concentrarsi nel logorìo di chi guida i governi, per poi presentarsi agli elettori con volti nuovi ma con programmi analoghi. Allora, e per molti decenni, ad assicurare la riuscita del machiavello era l'inesistenza di alternative. Oggi non solo l'alternanza c'è stata, e torna ad essere dietro l'angolo, ma soprattutto si ritiene che a mancare sarebbero volti nuovi credibili. Ecco perché la coerente conseguenza della "strategia Ciampi" implica una sola strada: quella di mettere il governo nella condizione di lanciare la sfida delle riforme e di usare l'effetto annuncio per creare un cambiamento nelle aspettative. Fuori da questo, c'è l'autolesionismo. E, per il Paese, altri anni passatisti: cioè buttati al vento.


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