§ Sviluppo Bloccato

Babele Sud




Franco Orsenigo



Corsi e ricorsi drammaticamente attuali: l'ultimo Rapporto Svimez fotografa ancora una volta l'immagine di un Mezzogiorno che arranca faticosamente verso l'Europa e che ottiene una modestissima crescita del Pil soltanto a prezzo "di un più ridotto tasso di natalità" e di un ritorno all'emigrazione nel resto d'Italia. Un'immagine che sembrava archiviata dalla memoria, e che invece torna prepotentemente alla ribalta quando Svimez bolla metà del Bel Paese come "l'area a maggior rischio di criminalità", con accuse che rievocano antichi anatemi: "Sebbene il crimine organizzato rappresenti un elevato costo sociale e macroeconomico, gli imprenditori provano ad evitarlo o talvolta si conformano alla sua presenza; imparano cioè in privato a gestire la loro quota di questo costo, salvo in pubblico amplificarne le conseguenze".
Il documento non esita a puntare l'indice contro le imprese che pagano il pizzo, evadono il fisco e utilizzano il lavoro sommerso finendo col diventare ricattabili. Nel più arido linguaggio dei numeri, nonostante il '98 sia stato un anno tutto sommato non negativo per il Sud, con il Pil in crescita dell'1,1 per cento, rispetto all'1 per cento del '97, l'andamento di medio periodo rimane in realtà "fortemente negativo". Tra il '92 e il '98 la crescita cumulata del Pil è stata del 2,9 per cento, meno di un terzo di quella registrata al Nord, per non parlare degli investimenti, pari al 77 per cento di quelli effettuati nel '9l, contro il 104 per cento del Nord. E mentre il ministro del Lavoro ricorda che "lo sviluppo è finora concentrato soprattutto in una parte del Paese", l'economista Antonio Marzano giudica "riduttivo" porre i problemi del Sud in termini congiunturali e invoca un decalogo per lo sviluppo che comprenda una più efficace lotta alla criminalità, la riduzione del gap infrastrutturale, l'adeguamento della formazione del salario alla produttività dell'area, una riduzione del costo-lavoro mediante la riforma delle pensioni e delle sacche di privilegio.
Luce verde, intanto, da parte della Commissione europea, ad una proroga al regime di sgravi degli oneri sociali nel Mezzogiorno, che per il periodo dal 1999 al 2001 potrà contare su un pacchetto di agevolazioni pari a circa 1.300 miliardi di lire. L'Italia aveva chiesto a Bruxelles il nulla osta per accordare sgravi contributivi degli oneri sociali su un periodo di tre anni per nuovi posti di lavoro nel Sud. Le agevolazioni rientrano in un regime che sarà in vigore fino al 2006 in Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, Basilicata e Puglia, mentre sarà applicato solo per il '99 nel Molise e in Abruzzo.
Svimez ricorda che nel '98 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 22,8 per cento, circa sette punti percentuali in più rispetto alla fine del '92. Nel Centro-Nord l'aumento è stato inferiore a un punto: dal 6,5 al 7,4 per cento: "Tale sfavorevole andamento sembra tendenzialmente destinato a protrarsi nel '99 e nel 2000". Secondo le stime Svimez, il Pil dovrebbe crescere al Centro-Nord dell'1,5 per cento quest'anno e del 2,2 per cento l'anno prossimo, contro rispettivamente lo 0,9 e l'1,4 per cento al Sud. Il divario, dunque, riprenderà a correre.
Trattando delle politiche per il lavoro, Svimez ricorda che "i contratti di programma hanno mostrato un'efficacia crescente nel tempo, mentre i contratti d'area e i patti territoriali hanno avuto un avvio molto stentato e sono stati spesso utilizzati come meri canali privilegiati di accesso alle agevolazioni". E' tornato invece positivo, dopo sette anni, l'andamento degli investimenti, che lo scorso anno sono cresciuti del 3,2 per cento rispetto al '97 (+3,6 per cento al Nord). Dopo una lunga fase di calo, anche l'occupazione è aumentata di 36 mila unità (74 mila al Nord), per effetto, sostanzialmente, del peso crescente del part-time e degli altri strumenti. Ma nel medio periodo ('92-'98), il calo occupazionale è stato pari all'1,3 per cento annuo, un tasso quasi triplo rispetto al Centro-Nord. Tutto questo, oltre alla nota amara dello studio: ai giovani meridionali neanche la laurea, il dottorato di ricerca o la specializzazione aprono le porte del lavoro. E' a spasso un laureato su tre. Al Nord, uno su dieci.
In sintesi, per il Sud si aggravano i segnali negativi. E sulle speranze di crescita delle iniziative economiche e di creazione di nuovi posti di lavoro si allungano le ombre dell'incertezza. La stagione dell'ottimismo sta inclinando verso un lungo addio (eppure, sembrano appena di ieri i discorsi e gli impegni di nuove scelte di politica industriale, di nuovi strumenti per stimolare gli investimenti, di nuove risorse). E chi ha a cuore le sorti del Sud e quelle della crescita dell'intero sistema-Paese, non può non manifestare allarme e preoccupazione.
Le cronache degli ultimi tempi sono chiare. I contratti d'area sono troppo frequentemente bloccati da un incrocio di insipienze burocratiche e di stupidità politiche. I patti territoriali, anche se firmati, mostrano gravissimi limiti nel tradursi in realtà. I sindacati si dividono sulle agevolazioni per alcuni cospicui investimenti e le intransigenze della Cgil prevalgono sulle iniziali disponibilità dei dirigenti locali. Le buone leggi, come la 488, funzionali a nuove attività industriali, dopo un avvio positivo, hanno perso parecchia efficacia, soprattutto per carenza di finanziamenti. E le iniziative pur fantasiose, come i "negozi" di Sviluppo Italia, rischiano di strappare tutt'al più un sorriso scettico: annunci, buone intenzioni. Sul Sud incombe una babele di lingue, di contrasti politici e sindacali, di ambiguità e persino di resistenze conservatrici.
La chiave della questione della crescita delle regioni meridionali non è nella presunta mancanza di coraggio degli imprenditori del Sud, ma nelle convenienze. Non sta nei richiami emozionali o nelle sollecitazioni doveristiche, ma nel calcolo concreto degli interessi. E le convenienze e gli interessi non ci sono ancora se non nel quaderno delle buone intenzioni. Gli imprenditori, che nel corso dell'ultimo anno avevano manifestato seria attenzione a guardare al Sud sia per attività di decentramento produttivo sia per nuove iniziative, ora si trovano di fronte a un contesto dominato dalle incertezze: i finanziamenti possibili non sono attivati o restano molto vischiosi, le flessibilità sono soltanto teoriche, i sindacati sono in contrasto fra di loro e col governo, alcuni poteri locali non sono all'altezza di scelte rapide e certe, alcuni poteri nazionali rivelano l'inefficienza di sempre. I "tavoli" della concertazione sono diventati un rito. Ma i riti solo formali sono quasi sempre fastidiosi e, soprattutto, non producono investimenti, ricchezza, lavoro. Le speranze di un nuovo corso per il Mezzogiorno si stanno trasformando in nuove delusioni, rese più cocenti proprio per la qualità delle aspettative suscitate tra imprenditori e giovani in cerca di lavoro. I tempi lunghi consigliano di dirottare altrove le iniziative previste. Il circuito virtuoso che poteva essere innescato tra imprese, sindacati e governi nazionale e locali, rischia di spezzarsi prima ancora di produrre qualche buon risultato. E le notizie delle poche attività nonostante tutto già messe in cantiere sono appena dei segnali deboli, incapaci di testimoniare una svolta. E' vero, c'è ancora spazio per un'inversione. Le aspettative non sono del tutto annullate. Il tiepido clima di fiducia non ha ancora lasciato del tutto il passo all'inverno del nostro scontento. Ma tocca al governo e ai sindacati dissipare incertezze, ombre e contraddizioni, e mettere in campo scelte - queste sì, coraggiose - per dare risposte al Sud e permettere che gli investimenti progettati diventino realtà. Tutto il resto è poco più di niente.

Bilanci per il Sud

La tentazione infinita

F. O.

E' estremamente interessante rileggere, a poco più di un anno di distanza, il discorso che Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro, tenne il primo ottobre 1998 alla Camera dei Deputati. In quell'occasione, Ciampi sintetizzò la nuova architettura che il governo intendeva realizzare per la politica di sviluppo nelle regioni meridionali. Lo scenario viene definito da tre elementi: la fine della stagione del risanamento per la finanza pubblica e l'ingresso a pieno titolo nell'area della moneta unica; non è stata registrata nel 1997 la ripresa della crescita e il 1998 sembra dover essere altrettanto deludente; in questo orizzonte stagnante esiste la "compresenza di due equilibri che tende a perpetuarsi: un equilibrio di quasi piena occupazione al Nord, un equilibrio di sottoccupazione al Sud, entrambi segnati, con ampiezza e intensità diverse, da aree di disagio sociale".
La terapia enunciata si fonda su due opzioni: la "nuova programmazione" e il rilancio dello spirito del "patto sociale" tra imprese, sindacati e governo. L'una e l'altra concorrono nel tentativo di uscire dalla logica della programmazione come piano progettato e coordinato dalla macchina dello Stato per recuperare la conoscenza e la sfida verso il futuro che sono diffuse nella società.
Le risanate banche meridionali vengono invitate a sostenere i progetti delle imprese locali. Agli imprenditori nazionali si ricorda che dove è alto il gap dei rendimenti, tra Nord e Sud, si concentra l'opportunità di una elevata resa nei progetti di investimento. L'architrave che regge l'architettura è la scommessa che il "patto sociale" possa creare un clima di fiducia e di consenso sulla necessaria scommessa della crescita e di una maggiore convergenza verso il benessere.
Le delusioni del primo anno di applicazione di questa politica derivano da alcuni limiti che ne condizionano l'impostazione e che ne frenano i risultati. Mancava, in primo luogo, la percezione che l'economia italiana, al pari di ogni altra economia nel mondo, fosse parte di un sistema globale e che tale condizione azzerasse gli esiti sia degli strumenti fiscali che delle politiche di concertazione, a scala nazionale.
In questo nuovo scenario l'apertura al commercio mondiale, la crescita delle aree urbane e la caduta del costo unitario per le comunicazioni, che ne stimola la diffusione, rendono possibile la circolazione della conoscenza, mentre le forze dei vantaggi comparati aiutano la crescita e l'integrazione degli attori locali con il mercato mondiale. Questo processo si fonda su istituzioni che si possono definire preterintenzionali, cioè la lingua e il mercato.
Difficile immaginare che la circolazione delle idee e la nascita di progetti comuni sarebbero avvenute, per il Mezzogiorno, nella rete di burocrazie e interessi consolidati domiciliata tra ministeri, enti locali e agenzie statali. La dinamica sociale, alimentata da cooperazione e competizione, richiede la presenza di individui e di interessi più liberi e meno suggestionati dalla potenza economica degli apparati pubblici.
In ultima analisi, nonostante le aspirazioni dell'allora ministro e dell'attuale Presidente Ciampi, la "nuova programmazione" si è arenata fra le terribili pastoie burocratiche e la cultura del planning, che nel nostro Paese non cede ancora il passo a quella della governance. La voglia di anticipare il futuro, con i quattrini provenienti dal bilancio nazionale e adesso anche da quello comunitario, stenta a ritrarsi e a lasciare il disco verde a una percezione della politica come strumento per navigare nell'incertezza, rispettando la circostanza che individui e organizzazioni scelgano autonomamente i propri traguardi economici. Una tortuosa catena di fusioni e di conferimenti paralizza nei fatti la stessa esistenza quotidiana del gruppo Sviluppo Italia, mentre si gonfia la dimensione dell'agenzia centrale, quella che avrebbe soltanto dovuto coordinare le due nuove macchine operative.
L'unica cosa che sembra funzionare in qualche modo è la legge 488 per ripartire gli incentivi industriali, riordinata da Paolo Savona, allora ministro del governo Ciampi. Alla mancata percezione delle forze scatenate dalla globalizzazione si sommava, nell'esposizione di Ciampi, una eccessiva disponibilità all'eclettismo analitico. Distretti industriali, imprese sommerse e piccole dimensioni sono al centro di una radicale revisione dei giudizi positivi raccolti per tanti, forse per troppi anni: patti e contratti territoriali non convincono più neanche coloro i quali li avevano suggeriti come strumenti di riattivazione della dinamica progettuale tra le forze sociali.
Gli ultimi cinquant'anni dimostrano che non contano gli strumenti, utilizzati in ogni possibile combinazione; conta la capacità di legarsi alle dinamiche mondiali, (la "Cassa" di Donato Menichella insegna).
Paradossalmente, questo guardare soltanto in se stessi e non alle opportunità che si offrono dal rapporto con gli altri è proprio la grande tara che rende provinciale, e dunque sottosviluppato, il Mezzogiorno d'Italia. Davanti ai nostri occhi, pertanto, si realizza la previsione di chi diceva che il futuro dell'Italia sarebbe stato quello del Mezzogiorno. Se continuiamo lungo questa deriva, infatti, l'Italia intera rischia di diventare una grande questione meridionale per l'Europa.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000