§ (S)parlando del Sud

Sindrome palude




a. b.



Secondo alcuni osservatori, la discussione sullo sviluppo del Mezzogiorno fatica a liberarsi della "sindrome palude", o "del Gattopardo": quella per cui, anche se appaiono cambiamenti, al fondo la realtà resta sempre uguale a se stessa. E' la sindrome peggiore: genera aspettative negative; scoraggia imprenditori e amministratori; non permette di distinguere tra "buoni" e "cattivi"; spinge a cercare soluzioni magiche e definitive - perciò inesistenti - al problema meridionale. Per lo sviluppo di un'area così vasta, così complessa (e anche per questo così interessante) è necessaria un'umile e attenta empiria. Capire ciò che sta cambiando (e incoraggiarne i protagonisti); capire ciò che funziona o meno nelle politiche che si attuano (e suggerirne le modifiche opportune).
Il Mezzogiorno cresce poco. E' vero. Ma la crescita (comunque modesta) di dieci anni fa avveniva principalmente sulla spinta della spesa pubblica. Vale a dire che era sostanzialmente determinata da una presenza dominante di occupazione pubblica o che da appalti e commesse pubbliche concretamente dipendeva; da investimenti pubblici, spesso casuali e inefficaci, e persino votati al fallimento; da una rete estesa e clientelare di trasferimenti; da una pubblica amministrazione inefficiente e in non pochi casi corrotta; da una cultura diffusa di assistenzialismo e di particolarismo politico.
Non poco è cambiato. L'occupazione pubblica è ormai ferma. Le privatizzazioni hanno coinvolto soltanto nelle regioni meridionali circa centomila addetti; crescono da anni le micro-imprenditorialità e il lavoro autonomo; le imprese capaci di esportare sono aumentate del 50 per cento; grandi protagonisti come il Banco di Napoli e l'Acquedotto Pugliese hanno voltato radicalmente pagina. Quasi cento consigli comunali sono stati sciolti per mafia, e oggi centinaia di nuovi, onesti (e giovani) sindaci, con un lavoro oscuro e quotidiano, stanno cambiando non soltanto l'amministrazione, ma anche il rapporto con i cittadini, con gesti simbolici (a Matera, col manifesto "Non si accettano raccomandazioni") e con concrete rivoluzioni urbane (particolarmente a Salerno). Persino le pachidermiche regioni meridionali sono attraversate in questi ultimi tempi da un salutare e potente shock provocato dalle nuove procedure di programmazione dei fondi strutturali. Ci sono dunque segnali di una deriva di lungo periodo: del crescere della cultura dell'impresa, della responsabilità.
Tutto questo non produce ancora sviluppo economico, perché convive con tanti, troppi lasciti del passato. E soprattutto, purtroppo, appare ancora reversibile. Ha bisogno di una politica economica incisiva; e di un clima, diverso dal passato, di intelligente fiducia. Sta di fatto, però, che dopo lunghi anni di incertezza, il quadro della politica economica si va ormai delineando. Tornano a crescere gli investimenti pubblici (del 20 per cento nel l998, stando al Dpef) e soprattutto si cerca di farli diversamente: completando le opere, progettando prima, studiandone bene la fattibilità. Lentamente, troppo lentamente, cambia la pubblica amministrazione (riforma del Tesoro-Bilancio, regionalizzazioni, semplificazioni). Le politiche di sviluppo locale, su cui occorrono riflessioni documentate e non prevenute, stanno producendo in alcune aree dinamiche molto interessanti. Non si tratta dunque di ricominciare, ogni volta daccapo, a chiedere "la politica per il Sud": il Documento di programmazione economica e finanziaria, ad esempio, ne disegna chiaramente una. Si tratta di verificare l'attuazione finanziaria e di monitorarne l'effettivo sostegno politico. Soprattutto, di discuterne gli specifici contenuti e di insistere sui punti più deboli. Ad esempio: l'aumento, che pure c'è stato, nella flessibilità del mercato del lavoro è ancora assai lontano da ciò che serve; in molti mercati la concorrenza è ancora troppo debole (si pensi ai trasporti aerei) e non si riesce a liberalizzare davvero attività (si pensi ai servizi pubblici locali o a talune professioni) che al Sud potrebbero produrre imprese e lavoro; manca ancora un moderno Welfare e permangono istituti, come le pensioni di anzianità, che penalizzano soprattutto il Sud, i giovani, i disoccupati.
Ma le misure di politica economica non sono sufficienti se intorno alla questione del Mezzogiorno non si crea un clima, anche culturale, diverso. Occorre una "intelligente fiducia": non nel senso, pernicioso, di darne forzatamente un quadro tutto positivo o di sostenere a priori la politica economica che si sta facendo. Serve che l'intera penisola non si scagli o non "tifi" solo contro il cattivo Mezzogiorno. Occorre che l'Italia intera "tifi" per il nuovo Mezzogiorno. Per le nuove compagnie aeree e telefoniche meridionali, come per la lotta epica contro la 'ndrangheta della Mct a Gioia Tauro; per i produttori di calze di Racale e di cravatte di Corsano, come per lo sbarco al Sud della Nokia e della Eds, come per i mille nuovi imprenditori dell'agricoltura biologica e dell'agriturismo; per gli amministratori che sostengono la cultura e la musica di qualità per attirare i turisti, come per quelli che stanno imparando come si progettano nuovi investimenti pubblici, studiando seriamente i sistemi puliti di ingegneria finanziaria.
Restituiamo dunque il principe di Salina (meglio ancora, suo nipote) alla letteratura. E proviamo a guardare al Sud, ai suoi protagonisti, alle sue politiche, con maggiore attenzione, con occhi più attenti alle diversità, con più modestia, senza pregiudizi. I mille imprenditori e amministratori che stanno cercando di cambiare questo Sud (ci riescano o meno) meritano una più concreta determinazione politica.


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