§ Eredi Borbone

La contesa franco-spagnola




Ada Provenzano



1900: Carlo di Borbone sposa una reale di Spagna e rinuncia ai diritti sul Regno delle Due Sicilie.
Il fratello di Carlo, Ranieri, diventa l'erede al trono. Da lui discendono (per il ramo francese) Ferdinando, duca di Castro, e Carlo, duca di Calabria.
1934: il testamento di Alfonso di Borbone, padre di Carlo e di Ranieri, riconosce a quest'ultimo il diritto all'eredità al trono.
I discendenti di Carlo, fino all'attuale Carlo di Borbone, non riconoscono quella rinuncia e vantano il diritto al trono.
Oggi esistono due ordini costantiniani: uno fa capo al ramo francese dei Borbone, l'altro al ramo spagnolo.

Non si era data pace nella fortezza di Gaeta, mentre la flotta piemontese cannoneggiava senza soluzione di continuità l'ultimo rifugio dei Borbone; e non si era data pace in seguito, quando non aveva cessato di complottare contro i Savoia, fino al giorno della sua morte: l'aquiletta bavara, la regina del Sud Maria Sofia era scomparsa senza lasciare eredi diretti al trono del Reame. Il titolo reale, pertanto, era passato ad Alfonso, fratello di Francesco II, il "Franceschiello" dei napoletani. E fin qui, nulla quaestio. I problemi erano emersi in seguito, e sono riaffiorati di recente in tutta la loro complessità.
"Ma quali eredi al trono. Quelli appartengono soltanto al ramo cadetto. E ci sarebbe anche molto da dire sull'autenticità dei documenti dei quali menano gran vanto". In queste parole si può riassumere l'atmosfera che impera in casa Borbone. Da una parte c'è il ramo francese, dalla parte opposta c'è quello spagnolo. E ad ascoltare i commenti del conte Enzo Capasso Torre delle Pastene, rappresentante italiano degli spagnoli, c'è da capire che la materia del contendere non è di poco conto. Quando, qualche tempo fa, nella reggia di Caserta ci furono i festeggiamenti per le nozze d'oro tra Ferdinando di Borbone e la principessa Chantal, e le autorità casertane accolsero la coppia con un solenne "qui siete nella vostra casa!", i cugini spagnoli, se fossero stati presenti, avrebbero sicuramente reagito con ferma determinazione. Perché soltanto chi (vale a dire quasi tutti) non ha discendenze dai regnanti delle Due Sicilie, né adesioni al Sacro Militare Ordine Costantiniano, può illudersi che una vicenda come quella del diritto al trono di Napoli sia chiaramente definita. La questione è maledettamente seria, tant'è che dopo la cerimonia casertana i Borbone esclusi hanno scritto e dichiarato che Ferdinando di Borbone è Ferdinando e basta, e non Ferdinando III, come viene abitualmente indicato. E suo figlio Carlo, duca di Calabria, non è per nulla erede di un trono napoletano, dal momento che il legittimo assegnatario del Reame è un altro, che pure si chiama Carlo, pure è duca di Calabria, ed è anche Infante di Spagna. Vive, appunto, nella penisola iberica, e accetta e rispetta "in piena lealtà" l'unità della nazione italiana, come ha ripetutamente assicurato il conte delle Pastene.
"La questione è aperta da tempo", sostiene Giulio Raimondi, sovrintendente archivistico per la Campania e studioso attento della dinastia borbonica: "Diciamo che esistono un ramo francese e uno spagnolo della famiglia. E da tutte e due le parti si vanta il diritto al trono di Napoli". E' una guerra in sordina, sottaciuta ma non per questo meno determinata, che ormai risale esattamente ad un secolo fa.
Tutto ebbe inizio con l'atto di rinuncia al Regno delle Due Sicilie firmato nel 1900 da Carlo di Borbone, secondogenito di Alfonso. Carlo, avendo sposato una reale di Spagna, preferì staccarsi formalmente dal nucleo dei pretendenti al trono napoletano, per entrare a far parte della Casa Spagnola. Della sua rinuncia beneficiò il fratello Ranieri, dal quale discendono i membri della famiglia che ha festeggiato a Caserta e che si fregiano del titolo di duca di Castro (Ferdinando), che sta a significare capo della Real Casa, e duca di Calabria (Carlo), che sta a significare erede al trono di Napoli.
Quella rinuncia è confermata in qualche modo anche dai contenuti del testamento di Alfonso di Borbone, morto nel 1934: in questo documento (contestato dall'altra parte del ramo) è scritto che deve essere considerato erede di Alfonso il suo terzogenito, Ranieri. Ma gli eredi di Carlo non ne riconoscono la validità, molto probabilmente perché la rinuncia non ha mai effettivamente portato chi la firmò - e, di conseguenza, i suoi discendenti - sul trono poi appartenuto a Juan Carlos. E in ogni caso - è scritto in una nota della Real Deputazione del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (quello della parte spagnola) - "la rinuncia non comprese mai quella alla primogenitura della famiglia". In altre parole: nel 1900 Carlo poté rinunciare come meglio credette, ma i suoi eredi il trono lo vogliono. Anche se non è disponibile. Lo avevano perso Francesco e Maria Sofia, con l'invasione piemontese-garibaldina che unificò la penisola. Ma, per il futuro, non si sa mai...
"E in questo modo la contesa va avanti da quattro decenni, con toni sempre più accesi, anche se tutti ci auguriamo che possa felicemente concludersi almeno agli inizi del terzo millennio", dice il marchese Aldo Pezzana, Gran Cancelliere dell'Ordine Costantiniano che fa capo a Ferdinando e a suo figlio Carlo. E aggiunge una precisazione che ritiene determinante: "Le onorificenze del nostro Ordine sono riconosciute in Italia dal ministero degli Esteri e da quello della Difesa. E non è così per le altre. E poi c'è ancora una cosa: all'altro Carlo il Consiglio di Stato spagnolo non ha riconosciuto il titolo di Duca di Calabria. Quindi non lo è, anche se si fa chiamare così".
Insomma, le accuse di usurpazione di titoli e di diritto al trono stanno da una parte e dall'altra. Per un trono che non c'è. Ma se ci fosse? E' laconico il marchese Pezzana: "Forse, tragicamente, verrebbe conteso con una guerra civile. E ovviamente andrebbe a colui il quale riuscisse a farsi appoggiare dagli Stati Uniti d'America!".
Maria Sofia si rivolterebbe nella tomba! Tutto aveva tentato, pur di conservare il trono napoletano, a costo di rimetterci la pelle (sugli spalti della fortezza gaetana), l'onore (ebbe due figlie femmine da una relazione extraconiugale), e persino la pace interiore (per l'accanimento con cui ordì complotti, guerriglie e persino attentati contro obiettivi militari allo scoppio della prima guerra mondiale). L'odio per i Savoia non conobbe limiti, non concesse tregue, non accettò appagamenti che facessero rientrare la vicenda dei Borbone nel Regno del Sud fra le pagine definitivamente scritte dalla storia. Come il lutto ad Elettra, l'aura della tragedia si addiceva a questa donna superbamente regale, di gran temperamento, amata dal popolo più del re, servita dall'esercito con una devozione che includeva l'estremo sacrificio.
La Dinastia si spezzò, nella via diretta, con questa donna energica eppure intensamente femminile, e con il Consorte che solo nei giorni dell'epilogo rivelò forza d'animo, coraggio, dignità di monarca. E da quel momento la linea ereditaria dovette deviare, "passare a latere", come si disse, pur restando nel contesto europeo (Francia-Spagna-Italia) che i "montanari-usurpatori" Savoia non conobbero, all'epoca, per la propria casata.
Chissà se, almeno sotto il profilo nostalgico, la querelle in corso in qualche modo non nuoccia a quanti tentano di rinverdire la memoria filoborbonica nel Sud, in nome di un trono che è soltanto virtuale. Ma in qualche modo, le nostalgie servono a qualcosa: in questo caso, a rileggere la storia del Sud, non solo fino al 1861, ma fino al 1915 e oltre: per riscoprire che l'inferno meridionale non fu inferno, come volle la storiografia filosavoiarda. A meno che questa malastoriografia non facesse parte (come legittimamente sospettiamo) di una maggiore e saturnina strategia: allora sì che fu inferno, perché molti gironi di allora, sulfurei e letali, ancora qui.


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