§ L'inedito

I TRENI




Giovanni Bernardini



La Ragazza stacca il ricevitore. Voce lagnosa della Madre: ormai ha settantacinque anni.
- Settantaquattro - corregge la Ragazza.
- No, settantacinque. Ormai purtroppo settantacinque.
- Settantaquattro - insiste la Ragazza.
- Settantacinque più che settantaquattro ormai - si lamenta la voce all'altro capo del filo affannandosi a spiegare che il settantaquattresimo anno agli sgoccioli può ben dirsi settantacinque purtroppo.
Età adatta per mendicare la pietà altrui, qui il senso della telefonata: la Ragazza se ne stizzisce ma tace, ascolta con borbottìo di partecipazione, il massimo che possa fare anche se altro vorrebbe fare e dire ma proprio non può perché ogni volta quella lagna la respinge contro la sua volontà. Neppure i Direttori hanno rispetto per le vecchie madri. Non c'è bisogno glielo riveli lei, lo sa perfettamente la Ragazza, non hanno rispetto per nessuno, neanche per se stessi quanto a dignità, ma di loro non si può fare a meno visto che, pur non avendo facoltà di fermare i treni, possiedono in compenso molte altre facoltà, anzitutto quella di riempire ogni luogo della loro presenza diretta o indiretta. Almeno - la Madre ne è molto contrariata - le avessero fatto vedere ciò che promettevano e quotidianamente promettono con formule nuove. A una vecchia settantacinquenne non si dovrebbe negare nulla ma alla constatazione dei fatti i signori Direttori non la pensano così. E anche le figlie forse.
La Ragazza depone bruscamente l'apparecchio, che dopo qualche istante prende a trillare. Lei non si muove, gira solo gli occhi intorno sopra le cose, mute sempre fintanto una segreta vibrazione sentimentale non dia loro la parola e susciti dialoghi tempestosi o teneri o trepidi o di tutto un miscuglio. Poi sembra attenta al ticchettìo fremebondo segnalante dalla parete il ruinare del tempo sebbene intrepido lo squillo del telefono continui a farsi udire risonando di stanza in stanza per tutte le stanze nelle quali lei si attarda a chiusura ufficio sperando in quella solitudine poter procedere a un recupero di cui imprevedibilmente torna a fluirle il desiderio. Perciò bisogna zittire quel trillo inverecondo oltre il quale il lamentìo della Madre attente una possibilità d'esprimersi dato che discorrere di certe cose è più facile senza guardarsi in faccia, come dietro la grata d'un confessionale, al buio senza vedersi. Non esistono vie d'uscita tranne l'accettazione del trillo con tutte le conseguenze eventuali o la fuga fuori dalle stanze, fuori anche dalla propria abitazione per non ritrovarsi di fronte al silenzio della Madre carico di rancore e compassione. Preme le orecchie nello sforzo di non udire, si dirige verso la porta, infila le scale rapida fino al pianterreno e difesa dalla sua decisione. Le strade per lo meno non hanno volto, non occhi che fissino a lungo, lunghe strade piene di mille volti, centinaia d'occhi ad ogni passo ma non sono quel volto né quegli occhi i quali per essere così familiari e così cari finiscono col diventare insopportabili. Bere il fremito delle strade, il cielo disteso e tagliato in lunghe strisce frammezzo i palazzi e le chiese, una danza di scimmie, un crocidare di pappagalli, enormi insegne luminose, più di tutte enorme quella che chiama a raccolta attorno a un colore violarancio in cui splende perentoria promessa di silenzio e solitudine. Non questa deve leggere: ne conosce da un pezzo l'insidia nei densi sottoboschi della coscienza dove le ginocchia affondano in terra soffice e i nastri adesivi di colpo strappati riducono tutto a brandelli. Di questo non più memoria dunque per ritrovare sulle dita il segno d'un anello dolcemente infilato e d'una carezza che percorre le membra: ma di lui soltanto silenzio e di sé solitudine, sulla piccola cassa nell'obitorio accettati uno e l'altra come condizione definitiva, invece non può non può. I treni le piombano contro il cuore insieme col grido della Madre che alza le mani e se le porta alla bocca terrorizzata in quella corsa folle verso le rotaie.
Ecco a un tratto si delinea la vita, non parte ma tutta fino alla fine, minutamente costruita in ogni particolare - ammesso ci siano particolari e non piuttosto una grossolana ripetizione di atti giornalieri senza sfumature e varianti - sì da non lasciare neppure uno spiraglio a svolgimenti non scontati. Sai ormai il tuo destino di viaggiatore commerciale lanciato in viaggi privi d'avventura. Te lo rivela il Figlio lungo disteso, proprio lungo che occupa intero il sedile, che quando si scuote e si leva ogni volta ha qualcosa da esporre, è lui a interpretare quanto accade nel mondo e tu ehm! uhm! mugugni soltanto, seccato, ti rincresce parlare, lo sfuggi se puoi. Oh sì, la tua tagliente ironia disfatta! Di questo passo si arriva alle crisi o alle conversioni. Non tornerà più ad essere il Viaggiatore di prima con iniziale maiuscola e gran voglia di reggere alti come bandiere i suoi ideali. Consumata proprio fino all'osso l'ironia d'un tempo? Risponde: navighiamo nel benessere e nel consumo, cioè nel consumo per mantenere il benessere, senza di che navigheremo nel nulla. Siamo entrati in un periodo per così dire diverso, nel senso che adesso tocca ai tecnici, agli specialisti, non più agli eroi, anche se ci vogliono. Morto l'ultimo eroe romantico ne nascono altri, ma lontano di qui. Uomini in divisa puntano il dito contro il suo petto nudo, godono a toccare i fiori rossi sbocciati dalle pallottole, garantiscono che è proprio morto ma soprattutto che è proprio lui. Tiene gli occhi sbarrati e un sorriso bianco dentro la barba. Essere morti e avere quel sorriso sembra assurdo, un cattivo scherzo, basterebbe scuoterlo... Invece sorriso di pietra, occhi di pietra... Sventagliate raffiche implacabili, battete le boscaglie, devastatele, raccogliete messe di cadaveri e sangue: questi gli ordini, lo sappiamo bene.
Il Viaggiatore contempla la documentazione fotografica nella luce rossigna filtrante dal corridoio, riguarda gli occhi il sorriso la barba: potrebbe non essere, eppure sicuramente è. Questa morte ha già assunto proporzioni gigantesche, per cui non possiamo più sottrarcene.
Al mattino si studia di ricomporsi abbastanza per ogni eventualità e per il decoro opportuno dinanzi al Figlio, ristabilendo un rapporto concreto ed efficiente con la minutaglia quotidiana. Annoda la cravatta e ravvia i capelli, in verità non molti; gli si profilano intanto scadenze immediate di conti personali. Così ondeggia fra ironia e memoria e anche emozioni subitanee che cerca collocare entro una prospettiva plausibile.
Il Figlio fa una smorfia, si stropiccia gli occhi, glieli pianta addosso interrogativi.
E' bene non stupirsi più di questi figli, delle loro idee, dei loro duri giudizi. E' bene accontentarsi di quel supremo dolore al momento in cui si strapperanno a noi.
La mosca, staccatasi dal vetro, piomba sul portacenere Volate piussù, la corsa nera della mosca sulla tovaglia rossa, sulla mano, di nuovo fino al Volate dunque piussù. Oh, una mosca davvero impertinente. Ma lui non ha visto né vede mosca. Ode almeno il ronzìo? di questa mosca la quale si permette confidenze inopportune. Contare mosche non è un divertimento. Quante poi? se afferma non essercene nemmeno una. Eppure la mosca sicuramente c'era, l'ha vista il Direttore n... Oh, quale numero lo designerà? Tutti uguali in sostanza, e la neve scende lenta e bianca sulla terra e sull'inverno. La mosca non può essere altro che nera né può correre sulla neve... Quasi impossibile coordinare i pensieri, il sonno prende il sopravvento. Tuttavia la Ragazza si sforza di mettere un po' d'ordine, capire quest'altra immagine che dice - non dice e baluginando come susseguirsi di vuoti e di pieni si definisce in un'assenza. Proprio così, non c'è più la sua voce né il suo sguardo né spiaggia né mare né le risa che svaniscono in lontananza. Non esiste più nulla di quanto accaduto né quanto accadrà accade ora sicché ci si trova nettamente delimitati in breve spazio cognito.
- Fra un anno, - chiede - chissà come saremo fra un anno?
Seduta a terra, immobile, nei suoi occhi non passa neanche un sospiro: tutto accettato comunque e ad ogni costo. La Madre però si domanda se sarà possibile che scorra intero un anno in questa città nuda sotto cielo biancogrigio, dove la primavera rimane pura ipotesi e strade color tortora si slanciano a raggiera a inseguire i treni in fuga sul bassopiano, irraggiungibili sempre. Anche ad appostarli con astuzia non si ottiene niente. Ci ha provato tante volte e ora conserva i quaderni fitti di segni a ricordo d'ogni laborioso tentativo. Dei treni non si ha mai certezza di seguirli nel senso giusto perché sfrecciano non si sa da che parte e tu sbatti le palpebre senza riuscire a fissare un'immagine esatta. Affidarsi ai Direttori non serve, forse meglio al Casellante e all'Aiuto, checché se ne dica ovvero nonostante certi apprezzamenti poco lusinghieri circa la loro correttezza.
Sedetevi sulle ruote dei nostri treni e vedrete il mondo.
- Cominciamo col notare l'imbecillità di questa scritta - osserva il Viaggiatore, di passaggio.
- Senonché a noi ci piace - fa il Casellante.
- A noi ci piace sul serio - rincalza l'Aiuto.
- Possibile essere giunti a questo grado d'idiozia?
- A noi ci piace.
- Piace cosa?
- A noi ci piace tutto, quindi anche la scritta.
- Benissimo! Pienamente intregrati nell'idiozia!
- A noi ci piace perché i treni ci danno da mangiare. Se non ci fossero i treni con la loro solida struttura d'acciaio (non dobbiamo ignorarla e solo così possiamo renderci conto della loro importanza), certamente noi saremmo alla fame, e poi è chiaro che quando uno ci vive dentro a una cosa ci si affeziona. A noi ci piace e giustamente, anche lei dovrebbe convincersene e anche a lei gli dovrebbe piacere.
Il Viaggiatore: - Non ci tengo. Ho altri problemi io ora che il Figlio è cresciuto e mi guarda ironico. Perché quella dei figli sembra proprio una strana faccenda inventata apposta allo scopo di farci sentire vecchi.
- Oh, è una faccenda piuttosto triste. Non possiamo fare niente per lei?
- Potete conversarne con me. La conversazione contiene una sua parte di virtù catartica. La psicanalisi in fondo è basata su una specie di conversazione o confessione. Ma dovreste tenere il treno fermo qui per un'altra mezz'ora.
- Non si può. Noi almeno non lo possiamo.
- Allora vedete che tutto è inutile nonostante la buona volontà?
- Siamo spaventosamente condizionati - ammicca il Figlio affacciandosi al finestrino e sventolando la mano ai due già lontani dalla corsa del treno che scuotono la testa e ripetono: - A noi in fin dei conti ci piace così.
Capita che gli viene accanto la Madre strisciando fra gli eucalipti della strada ferrata dove questa divaga in ampia curva, poi si raccoglie nella strettoia del terrapieno e ascolta il fischio volenteroso di vecchie locomotive in manovra. Capita ma risulta identica al silenzio questa presenza della Madre accanto ai due, i quali guardano l'orologio e l'uno comunica all'altro: - E' tardi, bisogna andare -, sebbene in sostanza non sappiano esattamente dove andare.
A un tratto questa Madre cosa vuole che domanda: - L'avete visto il bambino? Era un gran bel bambino.
- Non come narravano dunque? Una specie di mostro - dice l'Aiuto.
- No, no! Come potete formulare un'ipotesi simile? Un bambino bellissimo! Dovevate vederlo nella sua cassettina. Sembrava dormisse e da un momento all'altro le sue palpebre dovessero sollevarsi. E' stato un peccato non averlo visto!
- Davvero peccato! - conviene il Casellante e l'aria gli vibra negli occhi, gli accende un lampo all'angolo della bocca.
- Adesso si tratta di riprendere il filo, - prosegue la Madre - perché quando muore un bambino poi è questione di riattaccare al punto giusto, non lasciarsi fuorviare da qualche distrazione o dallo spettacolo che ogni giorno ci offre la gente e anche la natura. Perché anche la natura ne fa di certi scherzi, come acqua di fiume a livello oltre quattro metri per le vie. E lui, povero bimbo, stava lì e non ce la faceva più a galleggiare nel suo sacco che si svuotava.
Dell'episodio le è rimasta una traccia scura dentro l'anima, un precipizio di tempi, secoli forse d'esistenza ancestrale, la linea ossessiva che la riporta ai treni, anche lei in fuga, riconosciuta e riconoscibile per l'ansia negli occhi. Ma l'angolo della strada vuoto, la maschera calata fino al naso, viso metà nero metà bianco non importa quello che sia, basta il disco nero a sprigionare l'urlo della bestia e poi ritrovare il silenzio dell'adolescenza o di prima, proprio sull'inizio di questa lunga storia che è la vita. Ciò non cambia nulla pur se semplifica le cose nel loro ordine e predispone ad un'integrale indifferenza: questa peraltro della Ragazza è l'estrema difesa e vorrebbe confondersi sui marciapiedi nel ritmo degli altri. Ma asserragliata in sé ascolta e compiange l'ostinata follia della Madre. Non cedere bisogna, ora l'anello ha una collocazione visibile e perfino solidità nel sogno fluito inaspettatamente da quella attesa grigia dietro i vetri: segnale verde, segnale rosso, il colpo secco degli scambi, la u che sale a campanile dalla gola dell'uomo appostato sotto la pensilina a vendere una merce carica di vocali e di sibilanti. Lo sa benissimo, lo sanno tutti cosa gli tocca attendersi a un certo punto della vita quando in realtà non si attende più nulla e le voci passano da una stanza all'altra senza più echi. Si tocca il polpaccio, ancora una volta aggomitolata vi lascia scorrere sopra le dita. Lungo lo stipite la minaccia e l'ultimo cenno di lui che s'allontana. Andare così una volta per sempre sul fischio delle locomotive, mutare il silenzio di dentro con quello delle pianure dai confini perduti oltre l'orizzonte, mettere accanto a sé in cammino la propria paura con l'astuzia di farle perdere le tracce strada facendo: neppure questo, anzi questo tanto meno possibile. Ossequio sempre all'Autorità, essere pronti - carte alla mano - a documentare la propria opera in ufficio, dedizione cioè al lavoro. I fatti del sottobosco non contano, appartengono all'altra faccia (tutti i Direttori hanno almeno due facce, ma c'è chi arriva ad averne fino una dozzina), obnubilati da cortine fitte di smog e dagl'inviti a prender posto sulle ruote per girare il mondo. E gli omini muniti di tuba e bastone, quelli in bianco e nero che camminano alla Charlot e si tolgono la tuba cento volte per ringraziare e gesticolano come pupazzi meccanici ma con ingenuità sì patetica da strappar tenerezza, sono generalmente disposti a obbedire al richiamo di sedersi sulle ruote. Poi succede che proprio essi salgono su un treno che per essersi imbattuto in una mandria cogliona di bufali li fa approfare sull'altra sponda.
- Non è giusto - commenta il Viaggiatore.
- Non è giusto, ma è reale - dice il Figlio. - Ciò che è reale finisce un giorno o l'altro col diventare anche giusto.
- Certo, - ammette - certo. E pensa: oggi è tutto più difficile. Meglio tacere e osservare la Bella Addormentata quando il treno le passa davanti.
Il Giovane-polizza è fermo a contemplare la casa dalla strada, chiuso il portone, sopra scritto - nero su giallo brillante - VENDESI TELEFONARE 474890. Il cane (o i cani?) ha (hanno) cessato d'abbaiare, le luci intermittenti, la gamba in trappola, correre, precipitare, quanti saranno non sa ma due già troppi per le sue forze. Eppure nessuno più lo insegue né latrato lo spaura né rovi lo straziano. E' solo una grande ala densa d'ombra passata su lui insieme col pianto di Colomba. Piange all'angolo della tavola dove nessuno bada a lei, ai suoi pesanti decenni di quasi centenaria mentre al pronipote maggiore si festeggiano i diciassette compiuti e si ride che non ce l'abbia fatta con unico soffio a spegnere tutte le candeline. Quante mai per lei ce ne vorrebbero e quanti soffi ripetuti se pure ne fosse capace e la lingua non aderisse al palato come corpo estraneo. La sorte finale pare sia questa: d'attendere contro il muro del corridoio sulla barella, avvolta in scialli neri fintanto non le sia preparato il letto del suo silenzioso trapasso. Avrebbe voluto ridere dietro le pareti della casa, ancora come rideva la bisavola di cui portava il nome, ed ora ch'è vuota e cadente tutta la casa si sarebbe sfasciata al suo riso. Invece ordineranno una cassa bianca e v'introdurranno confetti bianchi, omaggio alla sua perfetta verginità. E i treni si annunciano fin lì coi loro fischi la notte quando dall'uno all'altro canto del cielo non rimbalza nemmeno un emisfero lunare e il discorso ambiguo dei medici non dà avvìo a interventi risolutivi. Bisogna faticarsi tutto, anche e specialmente la morte.
Orbene, guardando la casa si capisce che tutto questo è passato. Non ne vuole sapere proprio nessuno di questa casa. Demolire dunque e contentarsi di ritrovare ogni antica presenza attraverso la spada borbonica, il castello fiorito recante i vasetti inchiostro-sabbia, la lucerna ad olio verniciata verde...
Dei signori Direttori il n. 1 si accende una sigaretta, il n. 2 fa inchini e sorride. Hanno dalla loro la produzione la quale urge consumare, la quale per essere consumata necessita d'intensi bombardamenti pubblicitari. Il n. 1 agita nervoso la sigaretta, con discorso molto dettagliato spiega il modo corretto di collocare gli striscioni intorno ai tronchi d'albero o ai pali e quale percorso dovranno seguire gli elicotteri per un lancio coordinato di volantini.
Il n. 2 insiste sui gabinetti: - La gente al giorno d'oggi legge di tutto e nei luoghi più impensati. Hai mai riflettuto quanto si legge nei gabinetti e come la pubblicità ivi affissa faccia maggiore presa? Statistiche alla mano è dimostrato...
- Qui non si tratta solo di gabinetti - interrompe il n. 1. - Ad ogni modo è bene che la gente li frequenti e vi si applichi a letture divertenti, diciamo pure rilassative.
- All'uopo - suggerisce il 2 - potremmo creare un tipo di carta igienica con strips a fumetti e inserzioni pubblicitarie. Non dovrebbe mancare l'invito Prima Leggi Poi Provami.
E' una giornata così piena di luce, così disinvoltamente rumorosa ed eccitante che i Direttori in gran forma affrontano un'analisi approfondita sulla programmazione per il prossimo biennio. Ma il 2 inaspettatamente si ottunde che qualcuno da qualche parte qualche volta deve avergli accennato non esistere futuro e neanche passato, soltanto presente.
Per la Ragazza nella camera non c'era niente peggio di quella incertezza dei rischi: molti e misteriosi, e potevano piombare tutti insieme come uno scroscio formidabile. Lo spaventoso decoro dei mobili, il loro silenzio, l'attesa del mare visibile dalla finestra soltanto in ore limpidissime, la voce mutevole dei pini segnavano un tempo inconoscibile, universale, entro cui riusciva assurdo inserire il proprio tempo privato, il minuscolo scatto dei secondi sull'orologio da tenere al polso o da infilare nella catena. La Ragazza non cedeva ai nastri adesivi, al terriccio del sottobosco - almeno dentro al suo animo dove nessun Direttore poteva penetrare - sebbene più nulla le importasse, solo l'anello continuava ad avere un senso, la canzone luttuosa ripetuta ogni volta sul lieve fruscìo del giradischi, lo sguardo incantato della Madre. A questo si riduce infine la vita: fra le sue pene aver raggiunto la consolazione suprema di non poter sperare nulla. Così sta di nuovo davanti ai due, senza perplessità, senza offeso pudore, senza memorie, senza progetti, senza il dolore del suo grembo dilacerato.
Tanto che l'Infermiera Magra non passa a medicarla quanto a dirle "coraggio" per via del bambino, lungamente soffermandosi sulla soglia, un braccio alto in cenno di saluto, visibile appena, una caligine coagulata fra i suoi occhi e quella figura che parla sottovoce, pronuncia un ciao, dà consigli, non la conosce molto ma certo di lei si prende cura come l'altro, l'irrequieto ammalato che cammina giorno e notte attraverso i corridoi eludendo ogni vigilanza e dicono stesse per morire, senonché era successo il miracolo, e lo chiamano Ex-ragazzo (perché poi un nome che non è un nome, per quanto chi può dire quale sia d'ognuno il nome appropriato, quello che veramente lo distingua?). In quella nebbia in cui si muove qualcuno c'è appunto l'Infermiera Magra che un nome anche lei sembra non averlo ma risulta sicuramente individuabile. Basta del resto ch'ella mostri l'acutezza diafana delle sue dita dalle unghie biancostriate o scuota la testa come per un fastidio dentro la cuffia e subito, anche in quella nebbia degli occhi, la si riconosce, anche se lei parli poco o pochissimo, come vuole il regolamento.
L'Ex al contrario è divenuto loquace e, quasi non rammemorandosi dei rischi passati o rammemorandosene tanto che basti a dare maggiore vigorìa al suo desiderio di sopravvivere, va con più d'uno cianciando del sognato amore con l'Infermiera Magra, il quale volgeva al drammatico causa morte imminente e non prevista concorrenza d'un Polizza-numero sconosciuto. Ma ora, esaminata l'Infermiera a sangue freddo e constatatane la magrezza estrema, non molto dissimile dalla sua, disdicevole in special modo a donna che non fosse da usare per manichino ossia manico di scopa, grandemente rammaricato della passione trascorsa, tutt'i possibili diversivi - per quanto compatisce il luogo - cerca procacciarsi. In conseguenza corre rischio di farsi espellere dall'ospedale, sebbene non sicuramente guarito, e quindi di scomparire da quell'orizzonte entro cui egli stesso s'è abituato a vedersi. Perciò bisogna che si moderi e si attenga a più rigorosa osservanza del regolamento.
Una sera s'affaccia a una finestra del secondo piano, donde allo sguardo è concesso spaziare su cumuli di mattoni forati e su un ciuffo di pini, e scorge attraverso le impalcature di fronte o meglio nello spacco aperto fra un muro e l'altro un'iscrizione luminosa che scorre sopra il cornicione più alto del quartiere e non si legge bene per la distanza ma sembra accennare a un cielo di silenzio e di solitudine, cosa che a lui non piace del tutto, anzi gl'infonde malinconia. La sera per giunta si colora di graffiature rossastre su quelli che sono i suoi confini visibili e allora ecco riaffiorare fischi di treni come un'infanzia e l'urto del fiume dove entra nel mare e le barche immobili sotto l'ombra dei ponti. Questo è il momento per riacquistare serietà e quiete, momento per le grandi ricapitolazioni: quasi sempre ricapitolazioni di errori. Tutto sbagliato, dall'alfa all'omega, proprio perché si è sbagliato in principio. Bisognava andare via da quella città, fare scelte più intelligenti. Cioè bisognava sapere andar via, saper fare ecc. Se dunque non si è saputo vuol dire che non si era capaci di sapere. In altri termini bisogna convincersi della propria nativa mediocrità.
Giunti a questo punto ogni cosa quadra a capello, né più né meno come volevasi dimostrare. Perciò è lecito consolarsi e rasserenarsi: non s'è trattato di errori. Una volta accettata la propria misura - conquista non facile, cui si perviene dopo larghe esperienze e quando si è lasciata la gioventù da un pezzo alle spalle - tutto si chiarisce e si placa. Così conclude l'Ex e si sporge dalla finestra al fine di provare se volendo sarebbe almeno capace di fare un bel salto. Troppo basso, appena due piani. Si rischia di non rimanerci sul colpo.
Intanto piove. Il Viaggiatore sfoglia i giornali, pensa la Terra deserta che vola nello spazio, addosso i colori del giudizio universale. Quello che è avvenuto, la immane deflagrazione, lo scopriranno i navigatori sbarcati da altri pianeti dopo secoli. Procederanno con reverenza o con spregiudicata fame di conoscere su questo corpo desolato lungo resti di strade e ponti, fra tralicci d'acciaio e silenzi sovrumani. Ritroveranno qualche ferro contorto, ultimo residuo di treni, aerei, automobili e altre macchine ammazzauomini e constateranno come le magnifiche sorti e progressive si siano realizzate con visibile definitivo giovamento per le razze terrestri.
Il mondo per ora si potrebbe osservarlo attraverso una lente pop, la caramella sul bastoncino, succhiata e posta davanti all'occhio, la più meravigliosa e imprevedibile lente da 10 lire, affinché si deformi e dissolva questo mondo o passi su di esso l'ala bianca della pace. Dopotutto si tratta d'una caramella, giochetto da bambini, dolcetto scusabile... Difatti non esiste pausa se dopo acqua d'Arno anche a Lisbona si affoga nel fango; se in cima alla collina 85 giace qualche centinaio di corpi che pare non possano più muovere nemmeno un mignolo; se Mc Bird ha contratto abitudini molto pendolari con giusto il tempo per impacchettare e spedire nuovi reggimenti che finito col napalm danno mano ai lanciafiamme; se le pecore sembrano diventate tutte nere e c'è chi sostiene un colore vale l'altro, tutti insieme non valgono proprio la pena o è bene saper saltellare con disinvoltura dall'uno all'altro come quando si giocava a campana e ce n'era sempre uno più bravo a reggersi su una gamba sola, che è noto ai quattro venti quanta strada ha fatto da allora, lui puntellatissimo da ogni parte; se a Cipro ogni tanto si scompone e ripropone la pace; se camminiamo su rasoio tanto affilato che finiremo col tagliarci piedi gambe e a dir poco i testicoli; se mugolìi dolorosi e fremiti sdegnati e tenebrosi incubi e solennissimi epicedi, non altro i giorni futuri c'impromettono. Il tutto senza ausilio di lente o surrogato, visibile a occhio nudo tutte le sacrosante ore dapperognidove di questa arrembata cavalcatura che si chiama ancora Terra.
- Almeno qualche svago ci vuole! - esclama il Casellante camminando all'indietro e poi in avanti per simulare le manovre d'una locomotiva. Emette pure il fischio della locomotiva, si guarda attorno se ci sono molti viaggiatori in partenza.
L'Aiuto, accanto a lui, grida: - Paaanini!... Caaffèee!... - E vorrebbe darglielo un morso a questi panini se ci fossero. Naturalmente non ci sono, lo scherzo ha soltanto lo scopo di richiamare l'attenzione della Madre, la quale infatti si presenta a chiedere un biglietto, che non le dovrebbe essere negato stante la situazione e il desiderio ardente. Poco dopo il viaggio ha inizio sopra le spalle del Casellante in funzione di cuccetta II classe, sei posti + puzza piedi.
- In vero uno scherzo di cattivo gusto - biasima la Ragazza.
- Per dare un po' di movimento, un po' di movimento qualche volta è necessario - scusa l'Aiuto. Si mette a correre attraverso i binari e grida: - Movimiento! movimiento in questa porca vita!
La Ragazza vorrebbe invitare la Madre a scendere dalle spalle del Casellante ma forse è male togliere le illusioni agli altri solo perché noi le abbiamo perdute. Ecco, essere albero o luce di stelle o volo di rondini o respiro di mare o sogno di bambino. Più facile essere albero e urto di vento tra le sue foglie. Mettetele una benda sopra gli occhi, fatele alzare le braccia, più alto il destro, più basso il sinistro (o viceversa, a piacere) e sullo sfondo verdarancioviolazzurro di questo mirabile tramonto la forma, sia pure molto stilizzata, d'un albero sarà così evidente che il cane dell'Aiuto vi si strofinerà contro e alzerà la zampa...
Il solito occhio laggiù in fondo del vecchio semaforo segna rosso e non si va più avanti. Fermo tutto, bloccato. Da quanto tempo? L'Aiuto, accoccolato fra i binari, riesce a tirare fuori ancora la sua voce roca per ripetere: - Movimiento, senores! movimiento in questa porca vita!
Così le strade umide della sera: cineree in antri di portoni e su muri sommersi da nafta e acqua, un odore acuto di nebbia ritrovato qui per caso - quanti anni addietro? - passeggiando con il Figlio nella sera d'autunno, ultima d'uno stare insieme e prima d'una lunga lontananza estensibile anche a tutta la vita. Onde d'umidità scendono per via della Sapienza accanto all'Orto Botanico, al Museo Archeologico, alle Segreterie Universitarie, e portano il passo di rare persone, rifluiscono verso altre strade, quelle movimentate del centro, cariche di gente e automezzi, si addensano in velo che sale a involgere il campanile, i pinnacoli della cattedrale, i cornicioni più alti e diffonde una sua lattescenza agli orli delle case, auscultando il Viaggiatore quella crescita mirabile del Figlio, ancora una o due ore al suo fianco ma già proteso ad altra vita, altri tempi, a risonanze insondabili.
Tanto per tenersi in linea propone: - Prendiamo un caffè, o un tè.
Il treno non ha più senso, il ponte gli rinfaccia la lunga assenza gettandogli addosso le assordanti sue giunture d'acciaio, ma non ha più senso, non hanno più senso gli alti camini della fornace intravisti sì e no, sì e no, sì e no, fra un pino e l'altro. Non si alza neppure a guardare se per caso sull'estremo margine del visibile si stenda addormentata come sempre la Bella e il seno le si sollevi in un rosso incipiente respiro d'aurora. Bisognerebbe fermarsi un poco, ricapitolare, ma non c'è tempo adesso, domani forse o dopodomani, adesso c'è questa incalzante litanìa di ruote che ti spinge sempre più lontano, sempre più lontano e a stento riesci a dire amen.
- Ecco, - bisbigliano - ordineremo anche per lei una magnifica capsula dove potrà trasformarsi in meraviglioso cadavere, pardon, corpo surgelato e attendere in tutto riposo e serenità assoluta il giorno della resurrezione.
Questo bisbigliano i suoi compagni di viaggio, dei quali non distingue bene i volti a causa dell'oscurità ma sono due, sembra, seduti uno da una parte, l'altro dall'altra ai suoi fianchi, gentilissimi. Gli hanno offerto da fumare e una bottiglia di birra, il caffè anche, se lo gradiva, ma non l'ha voluto un secondo caffè, vorrebbe piuttosto dormire. Non può tuttavia, incuriosito dalla signora elegante che non parla, seduta all'angolo di fronte dello scompartimento, fuma soltanto, le gambe accavallate con molta discrezione, e la punta di fuoco della sigaretta a ogni boccata rivela il viso bello e severo, a volte un'occhiata fuggevole pare vada a cadere su di lui.
- Sicuro, - conferma - una capsula oggigiorno risponde a un'esigenza imprescindibile. Bisognerà avviarsi a produrne su larga scala. Oltre tutto si potranno combattere guerre con maggiore tranquillità. Perché la prospettiva di sistemarsi dentro la capsula e così consegnarsi a una vita futura annulla in sostanza la morte e diffonde un rilassante senso di soddisfazione. Tutto sta a non farsi macellare troppo le membra al fine di consegnarle abbastanza intatte al becchino. Si capisce che un problema siffatto quale la necessità di conservarsi interi si presenta di non facile soluzione, considerati i mezzi bellici e le falcidie stradali. Ma domani i cervelli elettronici sapranno risolvere brillantemente anche questo problema.
Ciò risponde o crede o immagina al bisbiglio dei compagni, come parlando fra due rive, eco sopra il fiume, battito lontano di ali, volano le parole, segnano un confine labile nell'aria, parole sole ole le e, ricominciando daccapo, urtando contro il silenzio della signora elegante, occhio di fuoco della sigaretta, disco rosso fermi tutti, il treno sbuffa, lancia un fischio lungo lamentoso, dalla campagna altro fischio lungolamento, la vita davvero tanto breve, e l'amore ohimè così fuggevole arcobaleno fra cielo e terra. Ha occhi grandi la signora, bionda forse, potrebbe essere anche bruna, non comporta differenza dopotutto stando ai risultati, sempre identici (quali poi?), comunque tace, spegne la sigaretta nel portacenere metallico, abbassa una tendina ma i suoi occhi - grandi occhi profondi - restano aperti, arriverà pure il momento di questi grandi occhi, lei guarda sempre bene in faccia tutti al momento giusto, ma è tardi, è tempo di dormire. Quasi non ci sia altro da fare e di lui nella notte che sprofonda e nel giorno che di nuovo scaturirà dal suo grembo... ma non è il caso: nulla porta di buono questo troppo pensare. Tutto, beninteso, ridotto entro dimensioni facilmente accettabili. Ma lei, così silenziosa, consente a un suo o altrui piano? Programmato da sempre, incontrollabile né soggetto a modifiche. Ottimamente. Bisbiglio dell'uno e dell'altro, dell'altro e dell'uno oltre il suo capo piegato a destra sul poggiaguancia.
Dicono: - E' chiaro, bisogna decelerare i tempi.
Dicono: - Bisogna.
Dicono: - E' chiaro.
Dicono: - E' urgente.
Dice: - E allora?

Ma non si decide a parlare la signora elegante, elegantissima anzi, salvo che il suo sguardo, al riverbero d'una stazione, splende più tagliente, forse. Dunque, riassumendo, il Figlio cresciuto, lasciato a un'altra latitudine della vita, attento ad altre voci, altri silenzi, cupole mirabilmente ascensionali, studio di campanili, balconi, torri, palazzi cinquecenteschi, facciate ricche di volute, dicromìa, policromìa di marmi, accensione di pinnacoli sotto il sole, e l'ultimo, proprio ultimo per lui Viaggiatore, orizzonte, deluse a voi le palme tende, o Bella Addormentata, ponte della sua giovinezza, intermezzo d'attesa, sa che ricordo non altro di tanta speme oggi gli resta, non accesso probabile a porti di quiete, anzi tempeste onde mari oceani verdi raggi fuga di meduse stelle ricci delfini, ciò tenta ricostruire e rompe la sintassi infiammata dei pensieri, l'ordine intollerabile della sua vita, l'affanno dei vocaboli, il lessico che a lidi naviga impervi né si ravvisa faro punta o promontorio cui approdare indenni dall'incredibile fatica dei propri sogni-dormiveglia-ricordi-tortura-crollare di castelli. Soltanto le mura tacite della casa rifugio a tanta crudeltà. Il più banale contrattempo ferroviario facilita attraverso sparse borgate la visione del mare, (il male intorno pullula e dentro alla corsa del treno), lontano le sue candide spume, (difesa impossibile dal), mare malconcio sotto lo scilocco, (imperversa il male a questa vita), disperso il paesaggio civile di cipressi e d'olivi e colli, in cambio questo ammucchiarsi polveroso di viti su zolle rosse e case di calce "da cui uscivano al sole come numeri / dalla faccia d'un dado". Ecco lo riprende il suo tarlo, apre il giornale, legge del trapianto d'un cuore, allora è proprio vero: le magnifiche sorti ecc., mare fra corruschi palazzi, motel, fiamme d'altiforni, il Sud si muove, progredisce, quadrilatero dell'industrializzazione, cinque, sei, n lati, ascenderanno vertiginosamente i "sudici", lo conclamano le gazzette, i discorsi dei ministri. Evviva! W! Mare sempre più perduto dietro fabbriche, lampeggia, tremola; s'interna il direttissimo verso la penisola della penisola, pupilla, dulcis, carissima tellus. Chi oserà più parlare di segregazione topografica?
Sorridono i compagni di viaggio, sostengono di non aver notato una signora elegantissima né vista scendere. Del resto poco importa, un giorno o l'altro la si incontrerà...
A voce alta dice: - Ma quanto ai redditi, la fossa fra Nord e Sud continua a scavarsi con progressionegeometrica.
- Eh, - sospira uno - quaggiù, figuratevi, neanche nevica!
Scrive il Figlio: "Fa un freddo cane, vento e non nevica. Vedi che non siamo solo noi terra di pippe".
TERRA di PIPE e MEMORIE CONTROVENTO. A mo' di poeti antichi i Direttori n. 1 e 2 comandano di tirar le funi alle campane per festeggiare la realizzazione più recente su ordine d'un'agenzia turistica. Per la circostanza fumano grosse pipe di terracotta alle quali alternano pipe marca britannica e francese. Le parole galleggiano nell'ufficio sopra vapore azzurrogrigio, che si sfiocca in spire delicate, in gambi filiformi d'aerei fiori. Le pipe fanno buon lavoro, circa il mal tolletto non monta cennarne. Trattasi alla fin fine questioni personali o, meglio ancora, di dettaglio.
- A questa volta conviene inscenare un satiro che si sghiribizzi in piantar PIPE - manifesta l'1.
- E tosto - manifesta il 2 - ne curi la ricolta nonché la dispensa a quanti n'aggiano uopo e vaghezza.
- Per le MEMORIE anticipiamo affondo finale che tutte le confessi e collochi a una distanza subcosmica o
all'evenienza subcomica.
- Si tratta pur sempre di reiterare le forme.
- E di procrastinare il già in altro contenuto e conforme.
- Le stesse regole e il rispetto della legge.
- Prego, la si scriva con L maiuscola.
- Ma chi se ne lotte?
- Certo, chi se ne fotte?
- Proviamo dunque con cavie ottima risonanza.
- Proviamo.
- Campanelliano e interplanetiamo.
- Ponghiamo che così fosse.
- S'intrattenga la cavia in buio cortile.
- Consoliamola di MEMORIE CONTROVENTO.
- Prego, cominciare da TERRA di PIPE.
- Come s'ha da fa'?
- Siffattamente e con spirito caritatis.
- Motivo di vergogna?
- La vergogna non concima la TERRA e dall'inconcimato non sbocciano PIPE.
- Bene, cogliamo non sbocciate PIPE in questa inconcimata TERRA.
- Benissimo! "Sudicia" TERRA, non avrai le mie PIPE.
- Avrai ossa senza colpa ad alto prezzo.
- E polpe?
- Non di polpe ghirlandano il suolo, ma di pompe e di fiamme ferali.
- Benedetti sian tutti i mortali.
- Da cavalli e da morti il terren.
- E di PIPE vendendo dovizie, insacchiamo immense divizie.
Didascalia.-
Dissolvenza di PIPE, quasi cornucopie riversanti monete e banconote, con graduale prevalere di quest'ultime. In
Saturnicolor, manco a dirlo.
Bianco e nero, chiaroscuro netto a sottolineare la condizione del Giovane-polizza, messo lì davanti a cosa e fatti, sempre con l'anima dentro questi fatti e cose. Tant'è vero che appena si muove sente dolersi un giro lento di vite, il cuore sbatte nella gabbia d'ossa, grida, latra. Vorrebbe parlargli nelle notti insonni o nelle albe sfiorate dai primi rumori in cucina. Il terrapieno sempre al suo sito, salita difficile dopo quella grandine di pugni sul capo, la nuca per precisione, dato che ai primi colpi s'è buttato giù a correre a testa bassa, non capisce perché, cosa vogliano da lui un'altra volta, ma non c'è luogo a parole. Scompaiono quando pensa già di crollare, rimanere bocconi come ha visto nei film, viso grondante sangue e sudore, forse un fischio è il segnale per l'attacco definitivo o la fuga. Dipende da quanto hanno deciso o da quanto potrà intervenire d'uomini e circostanze. 0 che si siano accorti dell'errore, se d'errore è lecito parlare. Si nascondono più in là, dietro gli alberi, non molti, pochi direbbe tre quattro forse, bastanti comunque a farlo fuori da non tirarci nemmeno un breve fiato interlocutorio. Una grossa vigliaccata, veri figli di vacche. Quando si dice l'è maiala, ma questo non lo dice: un frammentino che fuoriesce da un buio di voci, anno 196.... nella caserma piena di studenti in panni militari. Proprio appena suonato il silenzio, il grido rompe prepotente attraverso tutta la camerata: "L'è maiala!". Ebbene è così, ma non cambia nulla, forse un briciolo di rassegnazione. Meglio correre che cercar di capire. Si sono messi d'accordo e sussurrano chissà quali ordini e micidiali intenzioni oltre la cupa slunata sera che scende a balzelloni dalle nuvole e travalica i tempi consueti inarcandosi da questo a quell'orlo di strada. Quando ha schiuso il portone non c'era nessuno né quando la porta e richiusala con ogni cura, tutte le imposte ad una ad una e persiane e battenti tentati per provarne la perfetta tenuta, né quando nella casa così ermetica, tuttavia tacitamente permeabile ai fruscìi del giardino, della gaggia soprattutto contro la parete meridiana, ha acceso la lampada e preso il giornale non tanto per leggere quanto concedersi l'impressione di nulla attendere -ché proprio nulla è possibile accada - né di buttare il tempo; d'ogni atto misura eventuali conseguenze e studia assommarle tutte in una specie di controllo-ricognizione ché niente sia stato trascurato ed eviti magari per una sola inezia di rinvenirsi negligente quasicché non sia ammissibile che un colpo fortuito spazzi tutto e conferisca ad atti innocenti colpevolezza o assurdità. Peraltro non può ignorare l'impossibilità di compiere un gesto, il più semplice, tesa la mano al piccolo bottone, bastano appena due dita, tocco lievissimo, fruscìo più intenso della gaggìa ma meno durevole, simile a veste o passo sulla soglia, quel tanto basterà (futuro immensurabile!) a sprigionare dalla scatola voce o musica o altro che sia, se non fosse, poiché non si muove, a inchiodarlo, nemmeno il mignolo può di tutta una mano o d'un piede, il silenzio grande d'ogni camera, d'ogni porta, d'ogni scala, d'ogni albero, d'ogni finestra, d'ogni lume, d'ogni tubatura, d'ogni profondità. Non si può pensare abbia paura, un tremito impercettibile del labbro inferiore, una certa tensione forse, un brivido ma non è detto che un brivido attraversa la schiena; freddo piuttosto, così vasta la casa, così disabitata, umido cola agli angoli dove s'innestano alla volta, bianche e nude le volte, bianche e nude o chiazzate le pareti, altissime, a perpendicolo sul cortile, sul giardino, mura d'un castello qualcuno ha sottolineato osservandole, dunque non èil caso di chiedersi se mai abbia timore, soltanto un sordo rosichìo allo stomaco, fame forse, per quanto il freddo sia inevitabile in stanze così ampie e vuote, se mai abbia ma non ha dubbi, non c'è motivo quando ci si mette con ragionata volontarietà ad abitare dove nessuno più vive e voce passo respiro hanno un'eco profonda immediata, assodato questo e accolto per vero in tutte le sue implicanze e derivazioni, allora si fa luce nell'animo il segno d'un'attesa, qualcosa avverrà, il movimento d'un ombra, d'una presenza indescrivibile, perché ora la casa non esprime sospiri, fiato di rami, gridìo di passeri ma solo il volto ambiguo della sera, piombata ad un tratto; interrompe la lettura e quell'ansia gli galoppa dentro la gola, lo strozza, pulsando rapide e, più che rapide, impetuose le arterie dal collo verso le tempie. Neanche quel gesto può compiere di portarsi le dita alle tempie per dire... Del resto più non direbbe né verbo né ansia a se stesso se, ancora ripetendosi goccia su goccia sopra una lamiera, secco tintinnio sguscia, si sgomitola dalla cavità bruna delle zone vuote senza che con esattezza si possa determinare da quale periferia della casa provenga o eventualmente s'immagini possibile, assimilabile a un ordine già anticamente costituito e pertanto non passibile di facili evoluzioni. Rinvia in questo modo qualsiasi decisione, persegue ed ottiene un'attesa imprecisabile essendo abbastanza chiaro e sufficiente l'intento di fingersi qualcosa di là da ogni limite e dalle strutture stesse del tempo, ma non dal buio impenetrabile nella fila di stanze donde, lontanissimo ma sempre più certo, fruscìo o ombra o piede ripete lenta cadenza e gioco di tesori sepolti chissà in quale buco anfratto nascondiglio impensato sottoscala nella muraglia. Vengano a prenderlo dunque ciò che credono poter trovare, lui attende nell'ultima camera, giornale ancora fra mani, immobile, lo scatto irreparabile della serratura, lo scatto ora della sua mano a spegnere la luce, due scatti, tre fino a cinque. Il cuore soltanto ha una voce, urta contro la gabbia, ma non latra, stride sommesso. Vengono avanti piedi che non fanno rumore, ma li percepisci per un battito lieve dell'aria, un sommuoversi misterioso dell'oscurità. Ascoltare e immergersi. Perdersi nello stridere delle ossa. Da quan..., del misterioso cammi..., magari raccogliere arance sarebbe più dolce e spiare i nespoli in fiore ma giorno non passerà ch'egli non voglia ricordare per quel tanto di augurabile che i giorni contengono. Le difficoltà interiori non tolgono consistenza al passo incoercibile. Il buio cammina con esso che invade le variegate mattonelle del pavimento, sosta nel salone presso al tavolo di noce immenso, e le dita cercano uno spiraglio. Ad ogni buon conto poteva in qualche modo garantirsi: assicurazione sulla vita già il premio annuale pagato, polizza 530261; non questo solo, ma afferrare dal comodino la pistola, con l'impegno d'un'azione tempestiva. Cammina dritto sicuro, come di casa quello lì dentro, dall'altra parte che non scruta ma annusa il buio, sente le sue larghe narici aspirare e avanti, un venire avanti che d'un serpe rassembra la marcia o drago o chimera feroce, di soprassalto il sangue contro la parete del cranio, tintinna agli orecchi, il suo sonito incalza, valica la costanza dell'attesa. Non più attesa ma spasimo, gancio inesorabile a cui è appiccata l'anima, vipistrelli solcano i tempi lunghi e inverosimili, schiacciano sui vetri ambigua protesta, ascoltano, ascolta. Nasconde riso lontano la notte. Non può più sostenere il peso dell'ombra, curvo, onerato, attento allo stridìre del tarlo nei penetrali lignei donde affiora un barbaglio, forse di tanto aspettare appena un lumo-fantasma. Invece il passo sicuro, felpa morbida, lungo avanti avanzare del mostro che viene, non ha occhi né mani ed è tanto più mostro, ha occhi ed ha mani ed è tanto più mostro: il silenzio divide, taglia, frantuma, distrugge. Avanza, non produce parola né gemito né suono umano: solo un cupo affannare, ma fuori, di vecchio trabiccolo in riparazione quel tanto, s'intende, che l'officina permette ai confini del fallimento, col muro contiguo alla casa. Non può neppure un sospiro che già la mano gli fugge ad afferrare, afferrarsi ché null'altro ci sarebbe, anzi c'è da tentare. Così, quando meno s'aspetta, uno scatto ed è l'utimo grido forse ma nella strozza. Illuminazione improvvisa nella sala dove d'un balzo si trova, stringe - gli occhi fiammanti gioia per l'avventura che corre - la vecchia Beretta anteguerra che è prima guerra mondiale, dunque balza da dietro la porta nella luce, naufragando l'incanto dell'avventura nel volto perso, la bocca distorta che grida perdono, la donna per i suoi figli, invoca per i figli non farlo, non sa lui smarrito cosa dire a questa donna, lo guarda, la fissa, perdòno forse... S'inginocchia la donna nell'antica casa di Colomba.
- Uccidimi, - dice - puoi pure uccidermi, ma la porta era aperta, sono entrata perché la porta era aperta, che io possa morire.
Morire è un'ossuta parola, e lui pronto a cavarne un senso. Ma bisogna indagare, sapere, pur mancando testimoni che confermino o neghino.
Negano se mai. E gli danno addosso nascosti dietro il filare d'alberi, sbucati senza cerimonie con pugni e calci di ferro.
Così c'è stata la storia dell'ospedale, l'Infermiera Magra, l'Ex-ragazzo, soprattutto l'Infermiera. L'Ex sta alla finestra, analizza gli slogan. Sono quelli della nostra età e tanto basta. Anche se è Natale e l'odore dei treni gremiti dal Nord si diffonde fino al cuore della città. Su cui arriva il Figlio e saluta lontano, passato sul ponte presso alle fornaci e alle montagne addormentate con anima di neve. In futuro non quello, altro paesaggio altri canti altri ritorni, inutile dire.
I due Direttori, chiusi nello stesso raccoglimento, affermano:
- Qui ne occorre una di quelle speciali, se vogliamo che sotto gli occhi della popolazione attiva risplendano ogni giorno una speranza e uno stimolo, una persuasione nient'affatto occulta.
- Tutto si fa per l'Uomo - dice il n. l.
- Per l'Uomo a un certo livello - precisa il n. 2.
- Certamente. Per l'Uomo a dimensione umana. Il miserevole, il pazzesco, l'abnorme, insomma il subumano o il disumano non ci riguardano.
- Certamente. Siamo d'accordo sotto tutte le latitudini.
- Siamo d'accordo a qualunque longitudine.
- Siamo stati d'accordo nei secoli.
- E nei secoli dei secoli.
- Così sia.
- Secondo la nostra volontà.
- Cioè quella dei nostri interessi.
- Per guadagnarci il nostro pane quotidiano.
- Ed anche il companatico, comechessia.
- Amen.
- Secondo detta la sacra scrittura…
- ... dei nostri contratti.
- Secondo la legge della giusta mercede...
- ... per noi e per i nostri figli.
- Per i nostri figli e soprattutto per noi.
- Così sia.
I bambini intanto scrivono la letterina di Natale con molta cura e lustro d'argento. Camminano sulla neve, che non cade mai in questa terra di pipe. Il Figlio è balzato giù dal treno agitando a lungo la mano. E subito esclama: - Sono cominciati i Natali della mia vita.
Il Viaggiatore deve modificare la prospettiva ogni volta che s'incontra col Figlio. Ma rinuncia ad approfondire per timore di scoprirsi troppo più vecchio.
Narra il ragazzo: - Ho attraversato numerosi ponti durante il viaggio. Uno specialmente ricordo, non lungo ma tutto rimbombante d'acciaio. Scavalca un fiume e si scorge il mare dove il fiume va a gettarsi accompagnato da una fila di fanali gialli. Dalla parte opposta la montagna appare viola. Qualcuno mi ha detto che somiglia a una donna dormiente, ma io non l'ho vista perché era molto buio.
- Sì, - dice il Viaggiatore - sono veramente cominciati i Natali della tua vita.
La barca ha una dimensione notturna, va secondo corrente senza peso, senza neppure ombra, tanto è confusa con aria e con acqua. Forzare il blocco è quasi tirare a compiere un miracolo. Poi nel mare nessuno la ode né scorge, nessuno pensa a inseguirla. Distanza e silenzio contano per raggranellarsi una vita. Sicché il rombo frenetico della motovedetta è un'incredibile bufera. Le unghie non possono che uncinare i remi e tentare tutta la più tesa disperazione. Ma la parola conclusiva la pronuncia la mitragliera da bordo della vedetta e spazza a varie riprese lo spicchio di mare su cui galleggia la barca ormai senza più forza di remi, sola con la grande ombra della sua immobilità.
Nella vita del Viaggiatore esiste anche questo episodio, lui scivolato sotto la chiglia, aggrappato ad essa oscillante per la maretta prodotta dal motoscafo, i polmoni gli scoppiano ma resiste fintanto il motoscafo giunge a poche braccia e circumnaviga la barca. Voci concitato-militaresche, poi un fascio luminoso investe i corpi esanimi dentro la scialuppa, ordine secco, sventagliata finale che perfora il legno, l'acqua comincia immediatamente a gorgogliare attraverso i buchi, fra breve sarà talmente cresciuta da portarsi a fondo quella bara marina. La traiettoria dei proiettili lo ha sfiorato risparmiandolo, può udire il motore allontanarsi e finalmente mettere fuori la testa, lungo profondissimo respiro mentre la barca piano piano affonda, il mare scioglie già braccia e gambe dei morti, fluttuano e non sanno decidere una nuova positura, lui solo di quattro che erano nuove braccia e gambe con ritmo consapevole, parsimonioso, verso l'approdo dove non si corra rischio d'incontrare sentinelle. Il mare è notte liquida e lontananza. Non importa, bisogna salvarsi per lavorare a un mondo più giusto. Ma anche morire come i suoi compagni significa contribuire a un mondo più giusto: quello di domani. Un giorno sempre di là da venire! Alza la testa sulle onde via via più frequenti e più alte, la luna aguzza le punte del suo primo quarto e sta lì vecchietta del cielo a cullarsi nella sua imponderabile esistenza. Lei lo richiama alla realtà delle cose, cioè al sentimento della morte degli altri tre. Ora piange, lacrime e mare hanno sapore identico, quasi si abbandonerebbe se non si profilasse sotto l'albescenza lunare la donna che dorme alla montagna e attende come se qualcosa ci fosse da attendere e forse allora c'era veramente, ché erano giorni di furore e di speranza.
L'anno finisce, un altro ne comincia. E' tornato il Figlio, saluta, presto di nuovo riparte, viaggiatore anche lui, altre strade però, altri treni lo portano ma la sostanza è pur quella, a bene guardare, di male nel cuore, ammucchiarsi d'uomini e fatti a costruire lentamente il passato. La notte grida la sua tempesta di fuochi artificiali, treni partono verso il nord, treni partono verso sud, splendono le stazioni, volano nella notte. Non c'è tempo di fermarsi, bisogna correre, dal finito all'infinito, superare i grigi confini della Terra, ascoltare il canto delle sirene. Non mettere cera nelle orecchie né farsi legare all'albero maestro, anzi ascoltare e operare: in piena libertà e nelle migliori condizioni fisiche.
Il Viaggiatore sa di porgere questo augurio per vincere le magre possibilità di vita, vincolati come sembrano quasi tutti agli atti minuti d'ogni giorno.
La Madre non vuol saperne. S'arrampica sul cornicione, domanda:
- Cosa significa questa notte?
- E' la notte degli spari - rispondono.
- Non sarebbe tempo di smetterla?
- Sarebbe ma non si può.
- Non si vuole, questo accade, non si vuole. Ci sono troppi interessi.
- Andiamo dunque dentro la notte degli spari - invita il Casellante. - Ci divertiremo anche noi.
- Anche noi - echeggia l'Aiuto.
Tira il cane per guinzaglio sgridandolo in tono violento, poi via via più modulato.
- Sempre così - commenta il Casellante. - Ti dai a buggerare la gente con flauti verbali. Sempre così.
- Non io solo ma tutti - ribatte l'Aiuto - e alla fine ci troviamo ad anfanare nel deserto.
- Di desertico fiore una speranza - grida la Madre - da rifiorire ogni giorno con acque novilunari ed aprire pertugi e cornamuse.
Dappoiché i treni non attendono né le stazioni possono sempre arrestarli ed anche i Direttori rifiutano di farlo, infingardi e malvoglienti quali sono. Così di nostra vita scema la stima man mano si procede e i figli ci spingono con crescente violenza. La Ragazza, so bene, mi ascolta e non m'intende e amara sorride e nulla fa buon pro.
- Non esistono più dubbi - dice il Casellante.
- Credevamo di salvarla - aggiunge l'Aiuto.
- Credevamo.
Il cane abbaia e non risolve neanche lui con quell'abbaiare. Non morde ma spaventa la Madre vagando e inseguendola alla luna presso la strada ferrata.
Poi solleva una mano, l'Ex, poggia sulla spalla del compagno, stantuffa locomotiva qual è, alza i piedi con ritmo, ginocchia, gambe-angolo retto, stropicciano corrono i piedi a-più-non-posso-a-più-non-posso-a-più-non-posso sui binari dell'infanzia. Questo accade e ride, e non altro accade, e questo ancora e sempre ride. Ha veduto i morti nell'obitorio, sopra il cataletto la vecchia: vecchissima era e gialla, calze bianche di cotone trapunto, le caviglie legate affinché non divaricassero, un fazzoletto le passa sottomento annodato in cima alla testa, nondimeno già da una parte la bocca mostra i denti, tirati i muscoli facciali e rigidi come talvolta succedeva se la si contrariava o alimentava in sé un pensiero recondito, ma non più indosso quelle nere gonne, quegli immensi scialli neri sotto i quali l'aveva vista entrare. Sul tavolo invece la cassettina non ancora chiusa ma il coperchio preparato daccanto per sigillo e silenzio di chi non ha avuto neppure tempo di parlare (se non si vuole ammettere come suo certo discorso sulla cui provenienza permangono seri dubbi); i chiodi anch'essi pronti e odore molle di talco appena appena putrescente danno un senso brusco di epilogo così prossimo al prologo da confondervisi e impedire ogni passaggio e sfumatura.
Intanto è Natale e Capodanno. Venuto l'inverno non si possono ignorare le festività più solenni, occasioni queste quasi sempre malinconiche per il Giovane-polizza che, avendo esaminato ben bene dall'esterno la casa, vi è rientrato a chiamare Colomba e gli altri per l'ultima volta ma non sortisce effetto tranne quello dopo lungo faticoso gridare di smuovere dai cardini d'un vecchio quaderno 1827 la voce del pastore Nardo, "da Napoletano" fra gl'Interlocutori, che ciarla d'un suo itinerario fino a Betlemme: "Ddrìzzate pe la via della Torre vecchia, lassa la Torre a mano manca, trase pe dintu alle macchie, passa lo vuosco deli montanare, piglia la via de miezzu, tira dritto allo naso, arriva allo portone delle case janche, po' lassa la via de miezzu, tuorce le gambe a mano dritta, trasi pe dintu allu tesiertu, vota de ccà, gira de llà, e spunta de ccà... e che saccio io? Io tutto aggio fatto, tutto aggio tenuto a mente ca aggio na bona memoria. Aggio fatto tutto e se' sbregato e pe bona fortuna so' arrevato".
Un viaggio interminabile dunque, pieno di bosco di torri e case bianche e di stelle alte sopra il deserto e vento e pioggia e ogni variazione atmosferica e foglie verdi rosse ragginose ruvide lisce accartocciate fragili autunnali invernali foglie strappate travolte scopate dalla grande ramazza dell'aria e pianure e seni di mare e monti e fiumi precipiti o lenti e valli, obnubilamento d'intelletto in sonno o follìa o brancicare sotto povero cielo, non da cometa la nostra notte allumata, ma buio d'inferno e scorrere blu di cavalli a criniere disciolte e ghibli e ricerca inutile d'un punto ove incontrarsi uomini con l'amore l'uno all'altro negli occhi. Se allora l'interminabile viaggio non è terminato e per adesso non termina - domani no certo, dopodomani forse - cammina cammina, se spiagge rami grotte ruscelli hanno perduto senso e non si arriva mai, i treni sono fermi a tutte le stazioni ma nesuno può salirvi. Vuoti i treni, la Madre li guarda e non osa neppure toccarli col dito sulla cornice inossidabile dei finestrini ora che sono sì prossimi, anzi sostiene ch'è tutto un imbroglio perché le avevano detto che non possono arrestarsi, debbono correre sempre, e lei desiderava tanto fermarli per salirvi su ma non così, non così, ch'è proprio una disgraziatissima razza quella dei Direttori, dicono e non dicono, quanto al fare adesso invece... ma non da loro dipende, anzi da loro, però in maniera tutta inversa rispetto al desiderato e sognato, perché non per lei compiacere bensì beffarsene perciò hanno abbassato i segnali e i treni si sono subitamente bloccati. Si capisce. Ma non basta un giorno, le cose s'intendono in più giorni e certamente ne sono trascorsi abbastanza. Tanti che i morti già si decompongono nelle bare.
Il Viaggiatore ritiene di poter ascrivere a suo discarico che non per sollazzo ma con animo partecipe e dolorante segue la cronaca delle patrie ed esterne vicende, a volte giudicandosi anche con molta severità per la sua inazione. Soverchiato dagli scrupoli quotidiani, tuttavia conosce il meglio ed al peggior s'appiglia, scombiccherando le stampe dell'usata bava cogitativa in segni e commenti a mo' che fa la lumaca sui muri Ma non importa: leggere che cuori nuovi o meglio altri cuori pulsano in altri corpi lo rassicura che nonostante tutto si va avanti. Solo dovrebbe finire la vecchia storia del vecchio Me Bird: sembra non voglia mollare seduto nella barchetta del suo prestigio. Follemente beccheggia ma dirompe sempre le onde. Almeno per ora. Capita a proposito la venuta dei Re Magi. Cavalcano pronti a deporre le corone in atto d'obbedienza, con umile dignità e gesti ieratici, perfino i cavalli e i cammelli. E il moro indiscutibilmente integrato, allora. Altri non cavalcano né depongono. Fuggono dinnanzi ai colonnelli ma speranzosi di nuova cometa che li guidi ad oriente sulla via del ritorno. I lupi ululano che nell'avanzare proposte bisogna mostrarsi ragionevoli e sinceramente disposti a discutere intorno a un tavolo perché dietro le parole ci stanno i fatti, e le parole non si sa fino a qual punto, chi può dire? Intanto guadagnano tempo ed è bene che molti, moltissimi, quanti più possibile degli altri muoiano. Così il discorso diventa più chiaro, anzi meglio un fitto monologo. Però i lupi risparmiano le farfalle. Fanno tanta tenerezza, poverine. E gatti e canarini eventualmente. Gli uomini no.
Ormai si è capito come stanno le cose. La Ragazza trangugia whisky appollaiata sul piano, contorta e disforme. Nessuno danza a quella musica del disco nero-luttuoso, la voce lontana, già arcaica, granulosa, troppo intelligibile la sua cupa minaccia d'ogni volta. Accosciati qua e là per la stanza masticano silenzio e negligenza, ostentano una dignità disincantata.
- Non bisogna turbare il decoro - esclama a un tratto la Ragazza. - Il decoro è tutto nella vita. Nella vita che è niente, naturalmente.
Le parole non trovano eco, tutti continuano a masticarsi in solitudine il silenzio, sebbene qualcuno si appoggi all'altro e dovrebbero avere l'aria di amarsi molto. E' stabilito che alle parole non vale la pena dare eccessivo peso. Si ingoia whisky pertanto e ci si aggomitola quanto più possibile, anche a ritmo serrato.
Ma la Madre non tollera o meglio la sua inquietudine di vecchia data trasferisce silenzio e immobilità in autentica negazione di valori, non ha grande importanza tutto ciò per lei, ma vuole sentirsi a posto e doverosamente cerca coordinazione fra suono e gesti possibili. In fondo potrebbe anche passar sopra, non giova pensarlo e interviene con veemenza caparbia e traslucide ragioni. Accusa l'età, il subordinante crollo degli anni. Sennò, vivaddio, impinguerebbe i suoi grami cespiti e coltiverebbe rose e tulipani in giardini d'inverno.
Scaglionati contro le pareti non le prestano retta, del che avverte l'ingiustizia mentre un'accoglienza festosa sarebbe di suo gusto e sostanzialmente innocua, senza compromettere alcuno.
- Certe finezze sfuggono ai più - commenta a voce alta e nel moto del disco coglie il senso del transeunte. -Non è pazza, - osservano - o almeno non abbastanza.
Si tratta sempre del resto d'una nozione relativa in quanto fissare concetti assoluti è del tutto inopportuno e impossibile. Ma il mare sembra se lo siano dimenticato. Sta laggiù, bianco mare tempestoso a cui si scende da rocce basse e case rinverdite alla stagione, pozzo nell'angolo d'ombra con carrucola lamentosa per antico cigolìo. Conversare nelle vecchie case e ritrovare Colomba. Vorrebbe tentarlo ancora il Giovane in quella musica che la ragazza gli offre. Perché il suo sguardo va oltre la spalla di lei a cercare il tavolo lungo rettangolare, i volti che c'erano intorno, ad ogni lato, il vino e l'acqua nei grandi boccali, i grandi piatti di verdura, i piatti mezzani, le portate abbondanti di fritture, il pane a forma di grosse ciambelle, quel senso di benessere contadino, assommato nella fiamma del focolare e nella vasta cucina, tutto questo non più recuperabile proprio ora che meglio saprebbe goderne, tutto questo, tutto quello, non più non più. La Ragazza parla. Ma quando ha conosciuto questa ragazza? ma dove? come mai in questa festa? trovarsi a ballare, per dire che cosa, per fare? Certo, per fare. Bisogna dopotutto, in sì giovane età. La Ragazza, spogliarla. Ha già avuto un figlio, morto ma un figlio, dunque... Si rimprovera il ragionare incivile, mormora alla fine: - Lei fuma?
La Ragazza sorride, gli offre un sigaro, ne accende uno per sé dicendo: - Anch'io fumo sigari.
- Non le pare una curiosa disgrazia? Trovarsi sempre in prima linea e non poter mai salire su uno di quei meravigliosi vagoni che attraversando le nostre città vanno verso altri luoghi e altri tempi per ignorare questi luoghi e questi tempi così neghittosi e insipidi o così tremebondi e caotici?
Questo la Madre. Pronunciata la domanda, siede e osserva immaginari contatori fuori uso, scatole coniche, cavatappi placcati d'argento da trattare con precauzione, non si sa mai perciocché i conti non si regolano sempre tutti in una volta.
Il sigaro fete di sigaro specie quand'è ridotto al mozzone. Pertinace tuttavia la Ragazza lo innesta a uno spillo e continua a dilatare nuvolette azzurraneilate, che s'incrociano con sbuffi di nere locomotive in passaggio al casello per via di manovra. Nei quadri-comando delle cabine i pulsanti danno di quando in quando un segnale, i treni transitano simili a fantasmi senza colore né suono imbattendosi nelle locomotive nere e manovriere.
- Ebbene, - fa la Ragazza - il sigaro me gusta e posso in ogni circostanza rimettermi alla generosità
degli amici.
- Ci sono qua io - si offre il Giovane.
- Già, in definitiva la mia situazione giova all'intervento di qualcuno, per il quale bisogna nutrire sempre massima stima e profondo rispetto. Comunque resta difficile stabilire un punto sicuro di riferimento.
- L'amore difatti è un'ardua conquista.
- Pressocché impossibile. Se n'è accorto? -Non vorrei accorgermene.
- Errore di chi non riesce ad adattarsi.
- Ma non credo solo nello spirare degli zefiri, credo anche nel ritorno alla ragione. -Abbastanza ingenuo; l'enunciazione in se stessa risulta quanto meno fuori uso.
- Perciò preferisco diluire la densa pena della vita in un recupero di Colomba.
- Ostinatamente sentimentale, dunque.
- Una donna d'oltre un secolo fa, ma anche più prossima volendo, se furono due a portare lo stesso nome.
Entro il vano-finestra scorrono nuvole basse di fumo, oscurano il piatto lunare, si sciolgono spinte dal vento dell'ovest, tremano le ossa della casa al passaggio dell'ultimo direttissimo notturno. La Madre accorre a spalancare finestre, a respirare odore di treno con narici dilatate, immerge le mani in una nuvola di fumo, ascolta in sé l'eco di quella corsa e continua il cammino fuori della casa fino al semaforo che la guarda ora col suo occhio verde ora con l'occhio rosso. Reggendo la lanterna le si para innanzi il Casellante e ammicca un segno d'intesa: - Se hai denari, ti faccio provare cos'è un treno.
La Madre non fa a tempo ad aprir bocca per dire di non avere soldi in tasca, tuttavia - se vorrà attendere pochi minuti - un salto a casa e torna col denaro, ma quanto ce ne vuole? che all'angolo di strada ove la ferrovia fende un'estrema fetta urbana compare l'Omino in tuba rasente i muri, gingilla il bastone, osserva cielo e dintorni inflessibile cerca-trova, vuole notizie d'un manifesto il quale cielo di silenzio e solitudine promette, nondimeno non se n'intravvede minima parte né altri attestano d'essere riusciti a vederlo, il che sommamente sorprende e lascia perplessi circa la serietà dell'iniziativa. Del resto i Direttori interrogati non hanno saputo fornire spiegazioni sufficienti e quando egli ha insistito lo hanno consigliato a recarsi là dond'è possibile spaziare il guardo non solo sugli oceani ma nei cieli per contemplarvi ciò che luce od è bello a vedere.
La Madre rompe l'intrusione e domanda apertamente donde consiste la sua venuta.
A ciò l'Omino emette un suo lamento di speranze deluse e tarpate ali. Senonché con repentina mutazione e impennata si libra in volo a larghe falcate per quanto le sue piccole gambe consentono, fischiando frattura il silenzio, accenna passi di danza, contesta il grigio del cielo ed ecco si appende a una vetta. Naviga fra nuvole bianche e screzi amaranto, rivendica ancora qualcosa, ma la sua voce è lontana, lo è sempre più. Egli stesso sparisce dietro il gobbo della luna e non v'è chi osi seguirlo o contrastarne la perdita.
- Bene, - dice l'Ex - un giorno o l'altro cammineremo su piste diverse.
Erano mesi bigi e lunghi di terrore, grida alte nelle strade e il richiamo delle ciliegie. "Oggi è tempo di ciliegie. Se vuoi venire a coglierle ti aspetto alle due precise", ma non veniva il ragazzo corso giù verso la caserma saccheggiata e i vagoni pieni di farina. Una carretta. Stava proprio lì, abbandonata in mezzo ai binari. A un tratto ronzìo d'aerei e tutti a correre per paura. Lui allora afferra per una stanga la carretta, la sospinge via, si potrebbe metterci il sacco di grano o masserizie coperte lenzuola. Prevale il grano, meglio sarebbe farina, ma non ne trova più e bisogna affrettarsi: i vagoni già semivuoti, i primi sono stati i più fortunati. Sceso buio, gli aerei si alternano a gettare bengala. Cadono lentamente e illustrano tutta la notte. Chiede un po' d'acqua, per l'arsura e il timore a scaricare le mine. Ma non esiste gocciolo d'acqua e urge finire, scaricare, finire presto, e ricaricare, e finire presto. Tutto pronto, si riparte. E' andata: i bengala, i razzi, le stelle cadenti seguitano a venir giù. "Presto, tutto è stato eseguito, andiamo ché non ci rompa più i cogliomberi questa furia di lanzi". E altro vociavano senza troppa serietà. Un modo come che sia di non darsi per vinti ascoltando il lamento delle madri che stanno dietro le persiane a guardare i figli e non osano un cenno perché non scoppi in singulti irrefrenabili. Soltanto uno alzò la mano per protestare, poi si capì ch'era la più strana protesta udita in quell'occasione.
- Non è giusto, tenente.
Brontolava sull'attenti, il viso fanciullesco punteggiato di lentiggini. -Dico che non è giusto.
Dopo si seppe cosa non era giusto, quando lo riportarono con l'addome squarciato da una granata e il tenente piangeva, lui non voleva mandarlo, la pattuglia già pronta ma per forza aveva voluto: non gli sembrava giusto essere risparmiato in nome di un'amicizia. Poi sui monti era caduta la neve e solo i caccia rimasero ad azzuffarsi nel cielo e i bombardieri a portare il rombo della loro minaccia.
- Bene, - conclude l'Ex - un giorno o l'altro cammineremo su piste diverse, avremo memorie più brillanti. Sarà il giorno del nostro Giudizio, quando ogni atto pesato in tutte le sue componenti non potrà nascondersi o fuorviarsi. Stabiliremo pure rapporti precisi, di consapevolezza e di moralità, né al diluvio riuscirà più lecito abbattere i limiti e degradare la specie umana. Ma oggi accontentiamoci del poco e della sofferenza. Della morte anche.
L'Infermiera Magra lo sfiora passando come una figura metacosmica senza il suono della sua presenza fisica. Vorrebbe riferirgli il corso della malattia e la guarigione prodigiosa, cantargli il miracolo, ma sa che non l'ascolta né appare disposto ad autenticare miracoli. Allora attraversa i corridoi lunghi, lucidi, chiude ad una ad una le finestre, abbrividisce dell'umido serotino e osserva la scritta luminosa che annuncia... Cosa annunci non riesce a capire distratta dal sibilo ripetuto dell'autoambulanza che sbuca attraverso l'uscita posteriore e abbordata la curva a velocità infila il viale dei pini.
- A quanto pare si conclude qualcosa nell'unico modo possibile di concludere: o morire o amare - dice la voce pacata dell'Ex alle sue spalle.
- Meglio scegliere il secondo - risponde un po' meravigliandosi. - E se l'alternativa esistesse soltanto per gli altri?
Si guarda le mani, le braccia, le gambe stecchite, il torace infossato di antico degente, guarito, miracolosamente guarito - così dicono - ma ancora chissà per quanto tempo prigioniero della sua convalescenza. Si appoggia al bastone, tossisce e scompare nell'ombra del corridoio dove non ancora hanno acceso le lampade.
AVRETE FORZA E SALUTE LEONINE CON... annuncia fuori la scritta sfolgorante, dominando le luci della città.
- A noi la terra si apriva sutta alli piedi ch'era uno di quelli tremuoti mai sentiti da sessant'anni a sta parte, ca quandu ci ccappanu nu ssai si esci vivu e hai voglia a preare tutti li santi, a chi tocca tocca, scampu nu esiste. Le case una frana di pietre, la montagna quasi che sia ricotta tanto tremolava tutta nella scorza e nelle midolla. Ma più faceva disgrazia vedere i bambini chiangere non avendoci nessuno a soccorrerli o accudirli, stavano in mezzo la strada a palme perte ch'era come dire non ci aveano né sapìanu cce fare. Sotto le macerie ne trovarono una tutta cartocciata, c'era stata cinquant'ore e non le parea rivedere il giorno e respirare l'aria, che poi respirò brevissima poi che si morìu dopo nn'ura forse l'avea saporata. E le mamme a scarfare col fiato i nati, la notte, senza coverte; uno di sette mesi ci lassau la vita ca nu si putìa durare tanto insoffribile diventava la ghiaccia posata sull'erva e sulli rami e per ogni loco e avvolgente li corpi de le persone che non ci avìanu scampu se non nell'abbracciarsi l'un l'altra. Però anche dormendo il ricordo della case distrutte e l'immagine di quella ruina mai ni lassava. Vedévamo sempre li nostri guai e la terribilità del verno che oltre al resto ci assaltava d'ogni banda con neve gelo pioggia e vento. La terra poi nu la smettìa d'impaurarci coi movimenti a quandu a quandu, ci svegliava di soprassalto nel poco del nostro sonno e la sentìamo ballare e smaniare questa terra puttana. Diciàmo nu valìa la pena rimanerci in una terra talmente puttana e ballerina. Così ce ne siamo venuti e siamo qua, non per fermarci, per andare avanti, ancora avanti, all'estero a cercarci la fatìa. Nu vulimu limòsine, vulimu guadagnarcelo lu pani.
I treni passano portando queste voci. Il Casellante alza la lanterna, non gli resta fra le dita che il vento fugace di quei vagoni. L'Aiuto cammina dietro di lui, ascolta il vento, segue la vecchia lanterna, tutto gli pare nella notte invecchiato, anche il cane che si trafela avanti-indietro. Tutto gli pare ed è in silenzio che gli pare, nonostante il vento. I treni passano come piume-pesci nell'acquario della notte, sebbene le voci siano molte - ma sommesse - intorno ai fatti di ieri e ad una ragione da darsi per domani. Poi non parlano più a causa di sonno e stanchezza, di fame anche. Assumono positure sghembe nel dormire. Russano e non vedono altri paesi scorrere fuori dai finestrini ora che hanno perduto i loro paesi. Né vedono le costellazioni salire nel mezzo del cielo e quindi andare lentamente all'occaso. Volano uccelli notturni nei boschi profondi e il loro grido perviene all'orecchio di là dal sonno come un allarme e una minaccia. Ma non mutano positura, continuano a sognare paesi bianchi e lunghe file di volti straniti, tutti identici, che a guardar meglio ognuno vi riconosce il proprio. E hanno paura. Come stanno le cose ormai si tratta soltanto di correre, che il treno corra e tocchi presto la stazione d'arrivo e i cieli ondeggino sopra di esso senza l'angoscia di altri fulmini.
Ma c'è pure chi si ferma a osservare la palude il ponte la strada il fiume la montagna immersa nella caligine lontana, chi si ferma per queste cose e altre ancora sebbene non abbia motivo di meravigliarsi (tutto visto e rivisto) perché lui è proprio il Viaggiatore, ma ha bisogno di consolarsi l'occhio su questo paesaggio. Nessuno in questo paesaggio ha mai veramente messo piede se non la sua anima per rinvenirvi una misteriosa concordanza, un battito interiore, frantumato al primo cenno di vento. Dice che il Figlio ormai se ne va, altri orizzonti, altre voci lo chiamano, altri itinerari. Bisogna d'una capsula ibernante anche lui Viaggiatore per quando-dovunque accadrà, onde attendere lì dentro l'immortalità, vedere se mai ancora oltre l'arco insicuro dei secoli sia la Bella Addormentata visibile, ascoltarne la silenziosa comunicazione: ecco, di questa vorrebbe parlare, ma non sa né può e sente di non poterlo più fare. Rimbombo lungo di gallerie lo sorprende e qualche lontano lucore e grido nottivago d'augello e ancora ancora ancora... Il Figlio sorride ma nulla. S'addice la solitudine alla sofferenza delle rinunce, gli occhi si appuntano verso lenti passaggi di monti, altri monti, paesi, altri paesi, ruscelli, altri ruscelli e, per quanto se ne possa sapere, di fatto di loro più niente si seppe perché ogni cosa ha la sorte che deve avere e tutto in se stesso assorbendosi si consuma e sparisce.
Ci pensano i Direttori qualmente convenga indirizzare l'opinione pubblica all'uso nastri adesivi o cieli violarancio a rendimento sicuro, onde il sorriso del Direttore n. 1 splende e rimbalza in cotale e tutto simile sorriso Direttore n. 2 dacché, deposta la pugna inter se e gonfiate le vele, ogni iniziativa programmaticamente convogliata riveste carattere assoluto d'indiscusso profitto, in guisa da stupefare i popoli e sbaragliare la concorrenza. Peraltro, statuito il disegno, si diportano in droghe, Veneri tenerelle e bacchiche delectationes cum plurimis cuiuslibet generis voluptatibus, siccome da loro si può. Di paripasso discutono, cingottano in varie forme e argomentano doversi ad ogni modo la Ragazza licenziare sapendola reattiva e a loro non più disposta, immersa in ricordanze strane e anelli non veduti che mai si vedranno per quanto lei vi ricami intorno e pretenda di serbare una quasi dimidiata verginità. Della quale non essendosi affatto accorti preferiscono evidenziare il ridicolo. Risibile infatti una tale pretesa che meno d'ognuno lei ha diritto d'avanzare. Si soffermano alquanto pensosi sulla cima-terrazza del grattacieluffici, scambiano l'occhio d'intesa, scrutano l'orizzonte vetusto e d'un riso ridono del pari consenziente e satollo.
Il fumo delle locomotive avvolge la tremebonda Madre, ristretta in sé a spiare se mai i treni s'arrestino e splendano nei fianchi possenti pulsando e ansimando d'infocati vapori, espellendo odori acri, sbuffi continui, concentrati mugli, non imputabili d'altra insensibilità se non d'una perenne fuga, insignificante agli occhi dei comuni viventi, non di lei Madre intenta ad angosciarsi e ad inventarsi pronta. Sulla banchina fa gesti, saluta, ascolta il disco dal bar, l'altoparlante che annuncia arrivi e partenze, poi di nuovo partenze ed arrivi; non corre, travalica con passo dignitoso il binario, accende in sé nuovi lidi e speranze, smoccola i grandi ceri verticali e solenni in attesa d'una camera ardente dove collocarsi e su di sé gemere e imprecare, indi placata accogliere il tempo senza battere palpebra, coordinare l'atto del mattino con quello della sera, dare alla vita senso non d'accatto e querimonia, bensì di volitiva e fiduciosa azione.
La tromba emette lungo cadenzato ritmo, sollecita invettive, stimola speranze, scende dalle colline lontane e marcia verso il mare. Nessuno avverte la presenza umana di lei Madre, la quale stende le braccia sopra il capo, aperte le dita, scuote i capelli, dissuggella i suoi misteri all'ondata della parola e invoca la tromba, suono e rarefazione in suono, i treni invoca, rombo e rarefazione in rombo, ché da decenni patisce questa lontananza all'estremità d'una terra aperta ai mari e più non può patirla, l'ansia l'accende di cieli rinnovati. Suoni la tromba il diesire della partenza, squilli da torri e merlature, dal grattacielo gialloverde il ben congegnato progetto, il segnale effimero di giorni più degni; abbia sosta lo sfrecciare dei treni per l'attimo bastevole al suo ufficio d'antesignana, alla sua portentosa ascesa, al grido trionfale che da tutti i finestrini, affacciandosi uno dopo l'altro, vorrà emettere, giubilo e gorgo di beatitudine immensurabile. Questo piace alla Madre. Scuote le palme, batte un tallone per terra, aspira il vento occidentale, piega le ginocchie e giace a maledire la terra, questa lontana terra, chiusa terra, dove non aria spira né albore s'indovina, neghittosa terra di pipe, patria di poco avventurosi figli. Qui d'ascese umane non arde fiammella, qui silenzio e mare solitario e campi deserti ed una vecchia signora città tutta in sé rattratta e come sorda e in lutto.
La Ragazza al solito non consente alla Madre, le si accosta di furto, la scuote alle spalle, le impone seguirla. Lei dibatte a terra il suo corpo, vecchio osso consunto, la sua nuda follìa, la smania d'andarsene, di essere sui treni anche lei viaggiatrice, cittadina di paese diverso, lontana, fuggiasca frenetica, rapinata dal vento dei convogli fino allo stremo della terra, all'ultima Tule, ma che sia altra terra, altro luogo, fascinosi alla sua sete, che sia...
Non è ancora tempo, - ha pazienza la Ragazza - andranno, certo poi andranno, insieme faranno viaggio. Sarà lungo viaggio, lieto viaggio, gettato ogni residuo alle spalle, non più sottoboschi, Direttori, nastri adesivi, indifferente qual è diventata, anzi gioiosa, sicura di poter ritrovare la voce dell'uomo che cantava, l'anello, il bambino.
Oh no! - inorridisce la Madre - non il bambino, quel lungo bambino grigio, rugoso, dalle lunghe braccia e lunghe gambe, così terribilmente grigio, che aveva visto dentro la cassa, aperta proprio per osservarlo mentre non si sarebbe dovuto, quel frutto immaturo ma lungo, così tremendamente allungato che sembrava un nato da giganti fornito d'una rotonda grossa testa. Ma più l'atterrivano le rughe che dalle palpebre chiuse si ramificavano per tutto il viso con fitto intrico di linee trasversali e verticali, il collo aggrinzito, da tacchino, e lo squallore della stanza e la stanza confinante, il cataletto con sopra quella vecchia in cui s'era specchiata e raggelata la sua furiosa vecchiaia.
La Ragazza annuisce, la prende per mano, s'incammina entro una metafisica inerte macchia nera, a tratti tuttavia azzurrina, dove il mite spaventoso decoro dell'ambiente l'ha altre volte sospinta e quasi inchiodata: il candelabro brunito, l'uccello del paradiso, il giradischi luminoso della sua stessa voce, dimensionato e oscuro nei silenzi, il disco un repentino barbaglio, il canto spettrale, angosciato... Chiusi gli occhi, lungo lo stipite l'uomo muove appena un dito, rimane inquadrato nel vano, grida che è tempo ormai, lo grida su una linea fluidissima, vissuta o soltanto sognata è perfettamente lo stesso. L'accelerato il diretto il rapido fanno vibrare passando tutta la casa con vibrazioni intense in proporzione della velocità, la casa sente le ossa, si ascolta vibrare ed è un'improvvisa ruina, una sensazione di ghiaccio e solitudine addosso alla Ragazza. Non c'è più tempo, la Madre sorride e ascolta i treni, scantona dietro casa a contemplare i binari lucidi sotto la luna crescente, afferra la lanterna del Casellante, l'agita a lungo con speranza di fermare qualcuno, ma non c'è proprio nessuno tranne il Casellante e l'Aiuto, che lasciano fare, non così il cane che le abbaia contro e reclama la sua parte con aria di voler operare nei termini d'un legittimo bisogno fisiologico che lo arresta a spigoli o alberi o Madre o Ragazza da troppo tempo immobili e pertanto facilmente equivocabili.
Si dà pure il caso di vedere ricomparire l'Ex-ragazzo, con lui l'Infermiera Magra: non insieme però, distanziati dello spazio di pochi giorni, anzi pochissimi, a suon di trombe d'argento e angioli dorati. Si sono mossi da un pezzo. Prima l'Ex, meglio qualificato da morbo più durevole e più attivo, solo in apparenza guarito, carte regolari quanto al resto, di lui positivamente valutabili ritmo cardiaco, colorito e defecazioni. Sottoposto a controllo medico quotidiano, adocchia l'insieme, ne trae ogni possibile deducibilità, s'arresta solo sul punto di percepire la preoccupazione dell'esito finale. Sa benissimo che sebbene tutto sembri aggiustarsi, ricomporsi, coordinarsi, ad un'analisi approfondita la realtà risulta abbastanza diversa. Fuor di metafora l'Ex si avvia all'epilogo. Ma proprio questo è il punto dove riemerge il simbolo erotico- sentimentale della diciassettenne a testa in giù che gli voleva mostrare come fosse brava a starei, a testa in giù contro la parete nel pigiama azzurro con abile capriola e acrobazìa. E lui in poltrona a contemplarla ma senza vero interesse, divertito da una parte, dall'altra urtato, che fare non sapendo, quando a trarlo d'impaccio lei gl'indicò il quadretto raffigurante un girotondo d'ombre attorno ad un albero nero e in alto un globo non meno nero, la luna cioè, su sfondo fino alla terra e alle ombre rosso. L'aveva dipinto lei e chiese se lo trovava bello. Aggiunse anche d'aver paura a vivere sola in quella casa dove la catenella dello scarico a volte sembrava qualcuno la tirasse perché lo scroscio d'acqua la sorprendeva nel cuore della notte e allora ficcava la testa sotto le coperte. Finì molto ovviamente che le si stese accanto sul sommié. Il giorno dopo lei insisteva per ripartire insieme con lui. Solo assai più tardi ebbe a pentirsi di averla rifiutata. Ma è un accessorio senza troppa importanza oggidì. Premono contingenze più gravi, fra tutte maxime questo distacco repentino dopo l'inaudita guarigione, peraltro fittizia se non mantenuta più durabilmente, tanto l'hanno flagellato l'infelice Ex i suoi malanni ritornati che lo spediscono senza remissione di sorta all'altro mondo salvo consolarlo posi mortem di giovare alla scienza supino sopra il marmo d'un'aula anatomica. Perciò di lui così sezionato, ovvero del suo corpo risulta inutile racconciare le membra per addivenire a una soddisfacente ricostruzione del tutto, ad una tale integrazione fisica da permettere d'infilarlo entro una capsula che attraverso ben dosato processo d'ibernazione lo affidi così tutto sano, questo obbediente strumento della scienza, alla gloria dei posteri per saecula saeculorum. Difatti gli riserbano tumulo di terra e soltanto la prece del passeggere pietoso.
A suon di trombe e angioli dorati lo segue l'Infermiera Magra, pochi giorni dopo, anzi pochissimi. Malazzata era, risaltava a prima vista. Negli ultimi tempi strabuzzava spesso gli occhi restando senza fiato. Un giorno chiede di vedere il mare, lei non nata sul mare. Il mare le piace, questa immensa pianura senza querce e senza quadrupedi. Dice: - Mettetemi in treno, ché vado al mare. Lì forse respiro meglio. Appena venti minuti di treno. O in un'auto.
Le manca il fiato, la osservano ai raggi, affermano non essere nulla. Naturalmente. Questo è il responso dei medici in genere quando del "nulla" sovra tutti esiste quello che non c'è più da fare. In compenso, date le circostanze, sorrisi e cioccolatini. Treno o auto non appaiono ammissibili nonostante le ininterrotte insistenze. Tanto si muore in un ritmo indifferente e vedere o no il mare non riveste alcuna importanza.
Però delira e domanda: - I treni che portano al mare non sono ancora in partenza?
Così trapassa. Le hanno praticato tutte le cure del caso tranne quella di portarla al mare. Forse non s'è fatto in tempo. Sono cose che accadono, di cui bisogna darsi pace. Poi i rumori della strada non giungono più sino alla finestra e tutti, medici inservienti infermiere, scendono allegramente a prendersi ciascuno il proprio svago.
Il Giovane-polizza, tornato al silenzio, insiste in chiave retrospettiva nel punto in cui si rinnova la paura di allora... quando? difficile dire, ma ciò conta: riconquistare la casa di sempre, dove lo sospinge desiderio e timore. Che possa di nuovo la donna ripetere i gesti furtivi, la bestia notturna, la madre di figli piccolini, e lui lì implacabile, in pugno la vecchia Beretta, lanciato oramai all'avventura, ma il timore dentro, compresso, paura, terrore di non trovarsi creatura viva di fronte, il mostro bensì, l'angue morto e sepolto all'ombra degli antichi castagni, la chimera o la fantasima o chi ti fissa dal fondo di fonde pupille e non ha volto né bocca né naso né denti ma solo occhi: questo vibrava terrore nel vivo dei muri e delle sue vene, voce strozzata in gola, memoria d'incubi da ragazzo e gocciolìo di rubinetti, sfriggere di fili elettrici idonei a corto circuito per soverchia umidità e impianto fallimentare. S'è posto in viaggio da tempo, ha salutato la Ragazza, la Madre, ha rivisto il Casellante, l'Aiuto, ha carezzato il cane, ha ringraziato e promesso, ha saggiato i treni, scrutato il cielo, chiesto lumi a varie agenzie, compulsati tutti gli orari e deciso alla fine che a partire va bene qualunque treno e qualsiasi ora. Frattanto il buio si stenebra nel lucore di stelle e satelliti, i volti si riaffacciano; ciononpertanto non cessa la paura come del maggiolino posato sulla siepe, del millepiedi, di gufi e civette. Continua in sogno la vecchia tiritera, ha visto il dromedario verde, gli uccelli bianchi della malanotte, i dinosauri dal passo solenne. Ha il coltello dalla parte del manico cioè la pistola, almeno in tale circostanza non durabile né d'augurabile durabilità: attende mentre lo sgocciolìo dei minuti produce un'ansia prolungata e il gesto sofferto, complicato d'innumeri implicanze, presenta il volto difficile d'un agguato dove non gli altri ma lui sia l'agguatatore, insidioso e per l'imboscata passibile di punizione. Certo lo inseguiranno, lo acciufferanno. Così come dallo schermo il cane lupo latrava feroce e più spaventosamente visibile sotto la luce intermittente e incrociata dei riflettori. Egli però sta al sicuro, attende decifrando rumori suoni fruscìi gorgoglìi, trattiene il respiro, ascolta il passo che incalza... Ma inutile ripetere quella lunga sofferenza, dato che in fondo ad altro non mira che ad un ritorno alla sua casa com'era. E' passato per combinazione ai piedi della Bella Addormentata portandone un segno dentro l'anima come altri che non conosce né immagina. Ravvisa in ogni sua parte, alla luce dell'occidente, una donna che standosi resupina ha la testa posata sul guanciale, la fronte ampia e prominente, il naso grande e bello e sciolte le chiome e da ciascuna banda profluenti siccome in dipinti d'altra età, il collo lungo e piacevole, ritondo e ben fatto il seno e rilevato in conveniente misura, e il resto della persona mollemente abbandonato in tutta la lunghezza e quasi confuso tra le nebule dell'orizzonte e le cime declinanti. Dai treni che passano-ripassano vederla è ancora possibile, indovinarne le deserte ore di silenzio, di attesa attonita. Ma qualcosa deve accadere, si aspetta, avverrà qualcosa, è proprio certo.
Non importa se gli occhi sono chiusi, al momento buono si spalancheranno. I vecchi lampioni gialli lungo il fiume, proprio in fondo dove l'acqua dolce si mesce con l'amara, testimonieranno il senso delle cose in note modeste da ascoltarsi dentro e da reperire nel frastuono della vita. Formula questi e simili pensieri il Giovane sapientemente oscillato sull'ortoclinoscopio dietro una lastra premuta contro la cassa toracica; una mano gli tende il bicchiere, ordina "bevi" nell'ombra rossa d'una sfera a centro sala diagnostica, rivoltato d'ogni parte dal suo nord al suo sud, all'est ed all'ovest (si leggono i punti cardinali in questo libro aperto del suo corpo), scende la bianca pozione a occupare ogni tubo e vi diffonde luminescenza, una pastosa candida insipidezza gli cola per le fauci e il palato. Qui senza neppure prendersi briga di laboriosi incartamenti burocratici potrebbe allogarsi in un contenitore ibernante dopo gli abbiano ricucita la lacerazione prodotta da calci e pugni quando, caduto per terra, aveva stretto la testa fra le braccia chiuse a tenaglia e a punte di gomito.
Cammina infine convinto di poter operare il recupero. Specie ora che ha sistemato tutto, onninamente a posto la coscienza e valutato il passaggio dei treni, avendo richiesto non uno ma tanti biglietti utili a riportarlo sulla strada maestra donde domina dall'alto il paese e procede. Schiude il portone con cautela meravigliato di quel facile rotare dopo tanti anni (la canzone è un'altra per la Ragazza nello stesso istante dal disco che riversa immagini fragorose di ben coltivato amore e volti-maschere ad ogni finestra, anche quelli definitivamente mummificati dei due Direttori), si domanda quale storia di rovine dovrà apparirgli, come di tutta la sua non lunga né troppo dolorosa vicenda, ma imbarazzante sempre pel fatto di doverla riassumere, potrà cogliere i sommi capi e con quale voce gli parleranno intorno, se con quella del padre o di Colomba o d'una sorella, se proprio sia vivere questo camminare e discorrere o soltanto sognare, muovere un braccio con ritmo diverso dall'altro, fumare la pipa testa all'ingiù, riflettendo i vecchi vetri il colore della luna o delle stoppie incendiate. Certo bisogna raccomandarsi molta prudenza giunti ai prodromi d'un rituale con fitto volo di farfalle presso gerani rossi e altissimi girasoli. Nulla si può desumere tuttavia di preciso stando all'incertezza dell'ora e a percezioni poco nitide, ma sembra pietre sparse non ve ne siano né in grandi cumuli, anzi ogni cosa disposta nell'ordine più perfetto che corrisponde, di là dal portone dischiuso, a un silenzio accogliente dal quale non c'è dubbio la casa debba sorgere intatta come quando la prima volta - ma già non ricorda - ed ecco dalle stanze interne la voce di Colomba lo esorta: - Entra. Ormai puoi entrare anche tu.

(4 -fine)



Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000