La Ragazza stacca
il ricevitore. Voce lagnosa della Madre: ormai ha settantacinque anni.
- Settantaquattro - corregge la Ragazza.
- No, settantacinque. Ormai purtroppo settantacinque.
- Settantaquattro - insiste la Ragazza.
- Settantacinque più che settantaquattro ormai - si lamenta
la voce all'altro capo del filo affannandosi a spiegare che il settantaquattresimo
anno agli sgoccioli può ben dirsi settantacinque purtroppo.
Età adatta per mendicare la pietà altrui, qui il senso
della telefonata: la Ragazza se ne stizzisce ma tace, ascolta con
borbottìo di partecipazione, il massimo che possa fare anche
se altro vorrebbe fare e dire ma proprio non può perché
ogni volta quella lagna la respinge contro la sua volontà.
Neppure i Direttori hanno rispetto per le vecchie madri. Non c'è
bisogno glielo riveli lei, lo sa perfettamente la Ragazza, non hanno
rispetto per nessuno, neanche per se stessi quanto a dignità,
ma di loro non si può fare a meno visto che, pur non avendo
facoltà di fermare i treni, possiedono in compenso molte altre
facoltà, anzitutto quella di riempire ogni luogo della loro
presenza diretta o indiretta. Almeno - la Madre ne è molto
contrariata - le avessero fatto vedere ciò che promettevano
e quotidianamente promettono con formule nuove. A una vecchia settantacinquenne
non si dovrebbe negare nulla ma alla constatazione dei fatti i signori
Direttori non la pensano così. E anche le figlie forse.
La Ragazza depone bruscamente l'apparecchio, che dopo qualche istante
prende a trillare. Lei non si muove, gira solo gli occhi intorno sopra
le cose, mute sempre fintanto una segreta vibrazione sentimentale
non dia loro la parola e susciti dialoghi tempestosi o teneri o trepidi
o di tutto un miscuglio. Poi sembra attenta al ticchettìo fremebondo
segnalante dalla parete il ruinare del tempo sebbene intrepido lo
squillo del telefono continui a farsi udire risonando di stanza in
stanza per tutte le stanze nelle quali lei si attarda a chiusura ufficio
sperando in quella solitudine poter procedere a un recupero di cui
imprevedibilmente torna a fluirle il desiderio. Perciò bisogna
zittire quel trillo inverecondo oltre il quale il lamentìo
della Madre attente una possibilità d'esprimersi dato che discorrere
di certe cose è più facile senza guardarsi in faccia,
come dietro la grata d'un confessionale, al buio senza vedersi. Non
esistono vie d'uscita tranne l'accettazione del trillo con tutte le
conseguenze eventuali o la fuga fuori dalle stanze, fuori anche dalla
propria abitazione per non ritrovarsi di fronte al silenzio della
Madre carico di rancore e compassione. Preme le orecchie nello sforzo
di non udire, si dirige verso la porta, infila le scale rapida fino
al pianterreno e difesa dalla sua decisione. Le strade per lo meno
non hanno volto, non occhi che fissino a lungo, lunghe strade piene
di mille volti, centinaia d'occhi ad ogni passo ma non sono quel volto
né quegli occhi i quali per essere così familiari e
così cari finiscono col diventare insopportabili. Bere il fremito
delle strade, il cielo disteso e tagliato in lunghe strisce frammezzo
i palazzi e le chiese, una danza di scimmie, un crocidare di pappagalli,
enormi insegne luminose, più di tutte enorme quella che chiama
a raccolta attorno a un colore violarancio in cui splende perentoria
promessa di silenzio e solitudine. Non questa deve leggere: ne conosce
da un pezzo l'insidia nei densi sottoboschi della coscienza dove le
ginocchia affondano in terra soffice e i nastri adesivi di colpo strappati
riducono tutto a brandelli. Di questo non più memoria dunque
per ritrovare sulle dita il segno d'un anello dolcemente infilato
e d'una carezza che percorre le membra: ma di lui soltanto silenzio
e di sé solitudine, sulla piccola cassa nell'obitorio accettati
uno e l'altra come condizione definitiva, invece non può non
può. I treni le piombano contro il cuore insieme col grido
della Madre che alza le mani e se le porta alla bocca terrorizzata
in quella corsa folle verso le rotaie.
Ecco a un tratto si delinea la vita, non parte ma tutta fino alla
fine, minutamente costruita in ogni particolare - ammesso ci siano
particolari e non piuttosto una grossolana ripetizione di atti giornalieri
senza sfumature e varianti - sì da non lasciare neppure uno
spiraglio a svolgimenti non scontati. Sai ormai il tuo destino di
viaggiatore commerciale lanciato in viaggi privi d'avventura. Te lo
rivela il Figlio lungo disteso, proprio lungo che occupa intero il
sedile, che quando si scuote e si leva ogni volta ha qualcosa da esporre,
è lui a interpretare quanto accade nel mondo e tu ehm! uhm!
mugugni soltanto, seccato, ti rincresce parlare, lo sfuggi se puoi.
Oh sì, la tua tagliente ironia disfatta! Di questo passo si
arriva alle crisi o alle conversioni. Non tornerà più
ad essere il Viaggiatore di prima con iniziale maiuscola e gran voglia
di reggere alti come bandiere i suoi ideali. Consumata proprio fino
all'osso l'ironia d'un tempo? Risponde: navighiamo nel benessere e
nel consumo, cioè nel consumo per mantenere il benessere, senza
di che navigheremo nel nulla. Siamo entrati in un periodo per così
dire diverso, nel senso che adesso tocca ai tecnici, agli specialisti,
non più agli eroi, anche se ci vogliono. Morto l'ultimo eroe
romantico ne nascono altri, ma lontano di qui. Uomini in divisa puntano
il dito contro il suo petto nudo, godono a toccare i fiori rossi sbocciati
dalle pallottole, garantiscono che è proprio morto ma soprattutto
che è proprio lui. Tiene gli occhi sbarrati e un sorriso bianco
dentro la barba. Essere morti e avere quel sorriso sembra assurdo,
un cattivo scherzo, basterebbe scuoterlo... Invece sorriso di pietra,
occhi di pietra... Sventagliate raffiche implacabili, battete le boscaglie,
devastatele, raccogliete messe di cadaveri e sangue: questi gli ordini,
lo sappiamo bene.
Il Viaggiatore contempla la documentazione fotografica nella luce
rossigna filtrante dal corridoio, riguarda gli occhi il sorriso la
barba: potrebbe non essere, eppure sicuramente è. Questa morte
ha già assunto proporzioni gigantesche, per cui non possiamo
più sottrarcene.
Al mattino si studia di ricomporsi abbastanza per ogni eventualità
e per il decoro opportuno dinanzi al Figlio, ristabilendo un rapporto
concreto ed efficiente con la minutaglia quotidiana. Annoda la cravatta
e ravvia i capelli, in verità non molti; gli si profilano intanto
scadenze immediate di conti personali. Così ondeggia fra ironia
e memoria e anche emozioni subitanee che cerca collocare entro una
prospettiva plausibile.
Il Figlio fa una smorfia, si stropiccia gli occhi, glieli pianta addosso
interrogativi.
E' bene non stupirsi più di questi figli, delle loro idee,
dei loro duri giudizi. E' bene accontentarsi di quel supremo dolore
al momento in cui si strapperanno a noi.
La mosca, staccatasi dal vetro, piomba sul portacenere Volate piussù,
la corsa nera della mosca sulla tovaglia rossa, sulla mano, di nuovo
fino al Volate dunque piussù. Oh, una mosca davvero impertinente.
Ma lui non ha visto né vede mosca. Ode almeno il ronzìo?
di questa mosca la quale si permette confidenze inopportune. Contare
mosche non è un divertimento. Quante poi? se afferma non essercene
nemmeno una. Eppure la mosca sicuramente c'era, l'ha vista il Direttore
n... Oh, quale numero lo designerà? Tutti uguali in sostanza,
e la neve scende lenta e bianca sulla terra e sull'inverno. La mosca
non può essere altro che nera né può correre
sulla neve... Quasi impossibile coordinare i pensieri, il sonno prende
il sopravvento. Tuttavia la Ragazza si sforza di mettere un po' d'ordine,
capire quest'altra immagine che dice - non dice e baluginando come
susseguirsi di vuoti e di pieni si definisce in un'assenza. Proprio
così, non c'è più la sua voce né il suo
sguardo né spiaggia né mare né le risa che svaniscono
in lontananza. Non esiste più nulla di quanto accaduto né
quanto accadrà accade ora sicché ci si trova nettamente
delimitati in breve spazio cognito.
- Fra un anno, - chiede - chissà come saremo fra un anno?
Seduta a terra, immobile, nei suoi occhi non passa neanche un sospiro:
tutto accettato comunque e ad ogni costo. La Madre però si
domanda se sarà possibile che scorra intero un anno in questa
città nuda sotto cielo biancogrigio, dove la primavera rimane
pura ipotesi e strade color tortora si slanciano a raggiera a inseguire
i treni in fuga sul bassopiano, irraggiungibili sempre. Anche ad appostarli
con astuzia non si ottiene niente. Ci ha provato tante volte e ora
conserva i quaderni fitti di segni a ricordo d'ogni laborioso tentativo.
Dei treni non si ha mai certezza di seguirli nel senso giusto perché
sfrecciano non si sa da che parte e tu sbatti le palpebre senza riuscire
a fissare un'immagine esatta. Affidarsi ai Direttori non serve, forse
meglio al Casellante e all'Aiuto, checché se ne dica ovvero
nonostante certi apprezzamenti poco lusinghieri circa la loro correttezza.
Sedetevi sulle ruote dei nostri treni e vedrete il mondo.
- Cominciamo col notare l'imbecillità di questa scritta - osserva
il Viaggiatore, di passaggio.
- Senonché a noi ci piace - fa il Casellante.
- A noi ci piace sul serio - rincalza l'Aiuto.
- Possibile essere giunti a questo grado d'idiozia?
- A noi ci piace.
- Piace cosa?
- A noi ci piace tutto, quindi anche la scritta.
- Benissimo! Pienamente intregrati nell'idiozia!
- A noi ci piace perché i treni ci danno da mangiare. Se non
ci fossero i treni con la loro solida struttura d'acciaio (non dobbiamo
ignorarla e solo così possiamo renderci conto della loro importanza),
certamente noi saremmo alla fame, e poi è chiaro che quando
uno ci vive dentro a una cosa ci si affeziona. A noi ci piace e giustamente,
anche lei dovrebbe convincersene e anche a lei gli dovrebbe piacere.
Il Viaggiatore: - Non ci tengo. Ho altri problemi io ora che il Figlio
è cresciuto e mi guarda ironico. Perché quella dei figli
sembra proprio una strana faccenda inventata apposta allo scopo di
farci sentire vecchi.
- Oh, è una faccenda piuttosto triste. Non possiamo fare niente
per lei?
- Potete conversarne con me. La conversazione contiene una sua parte
di virtù catartica. La psicanalisi in fondo è basata
su una specie di conversazione o confessione. Ma dovreste tenere il
treno fermo qui per un'altra mezz'ora.
- Non si può. Noi almeno non lo possiamo.
- Allora vedete che tutto è inutile nonostante la buona volontà?
- Siamo spaventosamente condizionati - ammicca il Figlio affacciandosi
al finestrino e sventolando la mano ai due già lontani dalla
corsa del treno che scuotono la testa e ripetono: - A noi in fin dei
conti ci piace così.
Capita che gli viene accanto la Madre strisciando fra gli eucalipti
della strada ferrata dove questa divaga in ampia curva, poi si raccoglie
nella strettoia del terrapieno e ascolta il fischio volenteroso di
vecchie locomotive in manovra. Capita ma risulta identica al silenzio
questa presenza della Madre accanto ai due, i quali guardano l'orologio
e l'uno comunica all'altro: - E' tardi, bisogna andare -, sebbene
in sostanza non sappiano esattamente dove andare.
A un tratto questa Madre cosa vuole che domanda: - L'avete visto il
bambino? Era un gran bel bambino.
- Non come narravano dunque? Una specie di mostro - dice l'Aiuto.
- No, no! Come potete formulare un'ipotesi simile? Un bambino bellissimo!
Dovevate vederlo nella sua cassettina. Sembrava dormisse e da un momento
all'altro le sue palpebre dovessero sollevarsi. E' stato un peccato
non averlo visto!
- Davvero peccato! - conviene il Casellante e l'aria gli vibra negli
occhi, gli accende un lampo all'angolo della bocca.
- Adesso si tratta di riprendere il filo, - prosegue la Madre - perché
quando muore un bambino poi è questione di riattaccare al punto
giusto, non lasciarsi fuorviare da qualche distrazione o dallo spettacolo
che ogni giorno ci offre la gente e anche la natura. Perché
anche la natura ne fa di certi scherzi, come acqua di fiume a livello
oltre quattro metri per le vie. E lui, povero bimbo, stava lì
e non ce la faceva più a galleggiare nel suo sacco che si svuotava.
Dell'episodio le è rimasta una traccia scura dentro l'anima,
un precipizio di tempi, secoli forse d'esistenza ancestrale, la linea
ossessiva che la riporta ai treni, anche lei in fuga, riconosciuta
e riconoscibile per l'ansia negli occhi. Ma l'angolo della strada
vuoto, la maschera calata fino al naso, viso metà nero metà
bianco non importa quello che sia, basta il disco nero a sprigionare
l'urlo della bestia e poi ritrovare il silenzio dell'adolescenza o
di prima, proprio sull'inizio di questa lunga storia che è
la vita. Ciò non cambia nulla pur se semplifica le cose nel
loro ordine e predispone ad un'integrale indifferenza: questa peraltro
della Ragazza è l'estrema difesa e vorrebbe confondersi sui
marciapiedi nel ritmo degli altri. Ma asserragliata in sé ascolta
e compiange l'ostinata follia della Madre. Non cedere bisogna, ora
l'anello ha una collocazione visibile e perfino solidità nel
sogno fluito inaspettatamente da quella attesa grigia dietro i vetri:
segnale verde, segnale rosso, il colpo secco degli scambi, la u che
sale a campanile dalla gola dell'uomo appostato sotto la pensilina
a vendere una merce carica di vocali e di sibilanti. Lo sa benissimo,
lo sanno tutti cosa gli tocca attendersi a un certo punto della vita
quando in realtà non si attende più nulla e le voci
passano da una stanza all'altra senza più echi. Si tocca il
polpaccio, ancora una volta aggomitolata vi lascia scorrere sopra
le dita. Lungo lo stipite la minaccia e l'ultimo cenno di lui che
s'allontana. Andare così una volta per sempre sul fischio delle
locomotive, mutare il silenzio di dentro con quello delle pianure
dai confini perduti oltre l'orizzonte, mettere accanto a sé
in cammino la propria paura con l'astuzia di farle perdere le tracce
strada facendo: neppure questo, anzi questo tanto meno possibile.
Ossequio sempre all'Autorità, essere pronti - carte alla mano
- a documentare la propria opera in ufficio, dedizione cioè
al lavoro. I fatti del sottobosco non contano, appartengono all'altra
faccia (tutti i Direttori hanno almeno due facce, ma c'è chi
arriva ad averne fino una dozzina), obnubilati da cortine fitte di
smog e dagl'inviti a prender posto sulle ruote per girare il mondo.
E gli omini muniti di tuba e bastone, quelli in bianco e nero che
camminano alla Charlot e si tolgono la tuba cento volte per ringraziare
e gesticolano come pupazzi meccanici ma con ingenuità sì
patetica da strappar tenerezza, sono generalmente disposti a obbedire
al richiamo di sedersi sulle ruote. Poi succede che proprio essi salgono
su un treno che per essersi imbattuto in una mandria cogliona di bufali
li fa approfare sull'altra sponda.
- Non è giusto - commenta il Viaggiatore.
- Non è giusto, ma è reale - dice il Figlio. - Ciò
che è reale finisce un giorno o l'altro col diventare anche
giusto.
- Certo, - ammette - certo. E pensa: oggi è tutto più
difficile. Meglio tacere e osservare la Bella Addormentata quando
il treno le passa davanti.
Il Giovane-polizza è fermo a contemplare la casa dalla strada,
chiuso il portone, sopra scritto - nero su giallo brillante - VENDESI
TELEFONARE 474890. Il cane (o i cani?) ha (hanno) cessato d'abbaiare,
le luci intermittenti, la gamba in trappola, correre, precipitare,
quanti saranno non sa ma due già troppi per le sue forze. Eppure
nessuno più lo insegue né latrato lo spaura né
rovi lo straziano. E' solo una grande ala densa d'ombra passata su
lui insieme col pianto di Colomba. Piange all'angolo della tavola
dove nessuno bada a lei, ai suoi pesanti decenni di quasi centenaria
mentre al pronipote maggiore si festeggiano i diciassette compiuti
e si ride che non ce l'abbia fatta con unico soffio a spegnere tutte
le candeline. Quante mai per lei ce ne vorrebbero e quanti soffi ripetuti
se pure ne fosse capace e la lingua non aderisse al palato come corpo
estraneo. La sorte finale pare sia questa: d'attendere contro il muro
del corridoio sulla barella, avvolta in scialli neri fintanto non
le sia preparato il letto del suo silenzioso trapasso. Avrebbe voluto
ridere dietro le pareti della casa, ancora come rideva la bisavola
di cui portava il nome, ed ora ch'è vuota e cadente tutta la
casa si sarebbe sfasciata al suo riso. Invece ordineranno una cassa
bianca e v'introdurranno confetti bianchi, omaggio alla sua perfetta
verginità. E i treni si annunciano fin lì coi loro fischi
la notte quando dall'uno all'altro canto del cielo non rimbalza nemmeno
un emisfero lunare e il discorso ambiguo dei medici non dà
avvìo a interventi risolutivi. Bisogna faticarsi tutto, anche
e specialmente la morte.
Orbene, guardando la casa si capisce che tutto questo è passato.
Non ne vuole sapere proprio nessuno di questa casa. Demolire dunque
e contentarsi di ritrovare ogni antica presenza attraverso la spada
borbonica, il castello fiorito recante i vasetti inchiostro-sabbia,
la lucerna ad olio verniciata verde...
Dei signori Direttori il n. 1 si accende una sigaretta, il n. 2 fa
inchini e sorride. Hanno dalla loro la produzione la quale urge consumare,
la quale per essere consumata necessita d'intensi bombardamenti pubblicitari.
Il n. 1 agita nervoso la sigaretta, con discorso molto dettagliato
spiega il modo corretto di collocare gli striscioni intorno ai tronchi
d'albero o ai pali e quale percorso dovranno seguire gli elicotteri
per un lancio coordinato di volantini.
Il n. 2 insiste sui gabinetti: - La gente al giorno d'oggi legge di
tutto e nei luoghi più impensati. Hai mai riflettuto quanto
si legge nei gabinetti e come la pubblicità ivi affissa faccia
maggiore presa? Statistiche alla mano è dimostrato...
- Qui non si tratta solo di gabinetti - interrompe il n. 1. - Ad ogni
modo è bene che la gente li frequenti e vi si applichi a letture
divertenti, diciamo pure rilassative.
- All'uopo - suggerisce il 2 - potremmo creare un tipo di carta igienica
con strips a fumetti e inserzioni pubblicitarie. Non dovrebbe mancare
l'invito Prima Leggi Poi Provami.
E' una giornata così piena di luce, così disinvoltamente
rumorosa ed eccitante che i Direttori in gran forma affrontano un'analisi
approfondita sulla programmazione per il prossimo biennio. Ma il 2
inaspettatamente si ottunde che qualcuno da qualche parte qualche
volta deve avergli accennato non esistere futuro e neanche passato,
soltanto presente.
Per la Ragazza nella camera non c'era niente peggio di quella incertezza
dei rischi: molti e misteriosi, e potevano piombare tutti insieme
come uno scroscio formidabile. Lo spaventoso decoro dei mobili, il
loro silenzio, l'attesa del mare visibile dalla finestra soltanto
in ore limpidissime, la voce mutevole dei pini segnavano un tempo
inconoscibile, universale, entro cui riusciva assurdo inserire il
proprio tempo privato, il minuscolo scatto dei secondi sull'orologio
da tenere al polso o da infilare nella catena. La Ragazza non cedeva
ai nastri adesivi, al terriccio del sottobosco - almeno dentro al
suo animo dove nessun Direttore poteva penetrare - sebbene più
nulla le importasse, solo l'anello continuava ad avere un senso, la
canzone luttuosa ripetuta ogni volta sul lieve fruscìo del
giradischi, lo sguardo incantato della Madre. A questo si riduce infine
la vita: fra le sue pene aver raggiunto la consolazione suprema di
non poter sperare nulla. Così sta di nuovo davanti ai due,
senza perplessità, senza offeso pudore, senza memorie, senza
progetti, senza il dolore del suo grembo dilacerato.
Tanto che l'Infermiera Magra non passa a medicarla quanto a dirle
"coraggio" per via del bambino, lungamente soffermandosi
sulla soglia, un braccio alto in cenno di saluto, visibile appena,
una caligine coagulata fra i suoi occhi e quella figura che parla
sottovoce, pronuncia un ciao, dà consigli, non la conosce molto
ma certo di lei si prende cura come l'altro, l'irrequieto ammalato
che cammina giorno e notte attraverso i corridoi eludendo ogni vigilanza
e dicono stesse per morire, senonché era successo il miracolo,
e lo chiamano Ex-ragazzo (perché poi un nome che non è
un nome, per quanto chi può dire quale sia d'ognuno il nome
appropriato, quello che veramente lo distingua?). In quella nebbia
in cui si muove qualcuno c'è appunto l'Infermiera Magra che
un nome anche lei sembra non averlo ma risulta sicuramente individuabile.
Basta del resto ch'ella mostri l'acutezza diafana delle sue dita dalle
unghie biancostriate o scuota la testa come per un fastidio dentro
la cuffia e subito, anche in quella nebbia degli occhi, la si riconosce,
anche se lei parli poco o pochissimo, come vuole il regolamento.
L'Ex al contrario è divenuto loquace e, quasi non rammemorandosi
dei rischi passati o rammemorandosene tanto che basti a dare maggiore
vigorìa al suo desiderio di sopravvivere, va con più
d'uno cianciando del sognato amore con l'Infermiera Magra, il quale
volgeva al drammatico causa morte imminente e non prevista concorrenza
d'un Polizza-numero sconosciuto. Ma ora, esaminata l'Infermiera a
sangue freddo e constatatane la magrezza estrema, non molto dissimile
dalla sua, disdicevole in special modo a donna che non fosse da usare
per manichino ossia manico di scopa, grandemente rammaricato della
passione trascorsa, tutt'i possibili diversivi - per quanto compatisce
il luogo - cerca procacciarsi. In conseguenza corre rischio di farsi
espellere dall'ospedale, sebbene non sicuramente guarito, e quindi
di scomparire da quell'orizzonte entro cui egli stesso s'è
abituato a vedersi. Perciò bisogna che si moderi e si attenga
a più rigorosa osservanza del regolamento.
Una sera s'affaccia a una finestra del secondo piano, donde allo sguardo
è concesso spaziare su cumuli di mattoni forati e su un ciuffo
di pini, e scorge attraverso le impalcature di fronte o meglio nello
spacco aperto fra un muro e l'altro un'iscrizione luminosa che scorre
sopra il cornicione più alto del quartiere e non si legge bene
per la distanza ma sembra accennare a un cielo di silenzio e di solitudine,
cosa che a lui non piace del tutto, anzi gl'infonde malinconia. La
sera per giunta si colora di graffiature rossastre su quelli che sono
i suoi confini visibili e allora ecco riaffiorare fischi di treni
come un'infanzia e l'urto del fiume dove entra nel mare e le barche
immobili sotto l'ombra dei ponti. Questo è il momento per riacquistare
serietà e quiete, momento per le grandi ricapitolazioni: quasi
sempre ricapitolazioni di errori. Tutto sbagliato, dall'alfa all'omega,
proprio perché si è sbagliato in principio. Bisognava
andare via da quella città, fare scelte più intelligenti.
Cioè bisognava sapere andar via, saper fare ecc. Se dunque
non si è saputo vuol dire che non si era capaci di sapere.
In altri termini bisogna convincersi della propria nativa mediocrità.
Giunti a questo punto ogni cosa quadra a capello, né più
né meno come volevasi dimostrare. Perciò è lecito
consolarsi e rasserenarsi: non s'è trattato di errori. Una
volta accettata la propria misura - conquista non facile, cui si perviene
dopo larghe esperienze e quando si è lasciata la gioventù
da un pezzo alle spalle - tutto si chiarisce e si placa. Così
conclude l'Ex e si sporge dalla finestra al fine di provare se volendo
sarebbe almeno capace di fare un bel salto. Troppo basso, appena due
piani. Si rischia di non rimanerci sul colpo.
Intanto piove. Il Viaggiatore sfoglia i giornali, pensa la Terra deserta
che vola nello spazio, addosso i colori del giudizio universale. Quello
che è avvenuto, la immane deflagrazione, lo scopriranno i navigatori
sbarcati da altri pianeti dopo secoli. Procederanno con reverenza
o con spregiudicata fame di conoscere su questo corpo desolato lungo
resti di strade e ponti, fra tralicci d'acciaio e silenzi sovrumani.
Ritroveranno qualche ferro contorto, ultimo residuo di treni, aerei,
automobili e altre macchine ammazzauomini e constateranno come le
magnifiche sorti e progressive si siano realizzate con visibile definitivo
giovamento per le razze terrestri.
Il mondo per ora si potrebbe osservarlo attraverso una lente pop,
la caramella sul bastoncino, succhiata e posta davanti all'occhio,
la più meravigliosa e imprevedibile lente da 10 lire, affinché
si deformi e dissolva questo mondo o passi su di esso l'ala bianca
della pace. Dopotutto si tratta d'una caramella, giochetto da bambini,
dolcetto scusabile... Difatti non esiste pausa se dopo acqua d'Arno
anche a Lisbona si affoga nel fango; se in cima alla collina 85 giace
qualche centinaio di corpi che pare non possano più muovere
nemmeno un mignolo; se Mc Bird ha contratto abitudini molto pendolari
con giusto il tempo per impacchettare e spedire nuovi reggimenti che
finito col napalm danno mano ai lanciafiamme; se le pecore sembrano
diventate tutte nere e c'è chi sostiene un colore vale l'altro,
tutti insieme non valgono proprio la pena o è bene saper saltellare
con disinvoltura dall'uno all'altro come quando si giocava a campana
e ce n'era sempre uno più bravo a reggersi su una gamba sola,
che è noto ai quattro venti quanta strada ha fatto da allora,
lui puntellatissimo da ogni parte; se a Cipro ogni tanto si scompone
e ripropone la pace; se camminiamo su rasoio tanto affilato che finiremo
col tagliarci piedi gambe e a dir poco i testicoli; se mugolìi
dolorosi e fremiti sdegnati e tenebrosi incubi e solennissimi epicedi,
non altro i giorni futuri c'impromettono. Il tutto senza ausilio di
lente o surrogato, visibile a occhio nudo tutte le sacrosante ore
dapperognidove di questa arrembata cavalcatura che si chiama ancora
Terra.
- Almeno qualche svago ci vuole! - esclama il Casellante camminando
all'indietro e poi in avanti per simulare le manovre d'una locomotiva.
Emette pure il fischio della locomotiva, si guarda attorno se ci sono
molti viaggiatori in partenza.
L'Aiuto, accanto a lui, grida: - Paaanini!... Caaffèee!...
- E vorrebbe darglielo un morso a questi panini se ci fossero. Naturalmente
non ci sono, lo scherzo ha soltanto lo scopo di richiamare l'attenzione
della Madre, la quale infatti si presenta a chiedere un biglietto,
che non le dovrebbe essere negato stante la situazione e il desiderio
ardente. Poco dopo il viaggio ha inizio sopra le spalle del Casellante
in funzione di cuccetta II classe, sei posti + puzza piedi.
- In vero uno scherzo di cattivo gusto - biasima la Ragazza.
- Per dare un po' di movimento, un po' di movimento qualche volta
è necessario - scusa l'Aiuto. Si mette a correre attraverso
i binari e grida: - Movimiento! movimiento in questa porca vita!
La Ragazza vorrebbe invitare la Madre a scendere dalle spalle del
Casellante ma forse è male togliere le illusioni agli altri
solo perché noi le abbiamo perdute. Ecco, essere albero o luce
di stelle o volo di rondini o respiro di mare o sogno di bambino.
Più facile essere albero e urto di vento tra le sue foglie.
Mettetele una benda sopra gli occhi, fatele alzare le braccia, più
alto il destro, più basso il sinistro (o viceversa, a piacere)
e sullo sfondo verdarancioviolazzurro di questo mirabile tramonto
la forma, sia pure molto stilizzata, d'un albero sarà così
evidente che il cane dell'Aiuto vi si strofinerà contro e alzerà
la zampa...
Il solito occhio laggiù in fondo del vecchio semaforo segna
rosso e non si va più avanti. Fermo tutto, bloccato. Da quanto
tempo? L'Aiuto, accoccolato fra i binari, riesce a tirare fuori ancora
la sua voce roca per ripetere: - Movimiento, senores! movimiento in
questa porca vita!
Così le strade umide della sera: cineree in antri di portoni
e su muri sommersi da nafta e acqua, un odore acuto di nebbia ritrovato
qui per caso - quanti anni addietro? - passeggiando con il Figlio
nella sera d'autunno, ultima d'uno stare insieme e prima d'una lunga
lontananza estensibile anche a tutta la vita. Onde d'umidità
scendono per via della Sapienza accanto all'Orto Botanico, al Museo
Archeologico, alle Segreterie Universitarie, e portano il passo di
rare persone, rifluiscono verso altre strade, quelle movimentate del
centro, cariche di gente e automezzi, si addensano in velo che sale
a involgere il campanile, i pinnacoli della cattedrale, i cornicioni
più alti e diffonde una sua lattescenza agli orli delle case,
auscultando il Viaggiatore quella crescita mirabile del Figlio, ancora
una o due ore al suo fianco ma già proteso ad altra vita, altri
tempi, a risonanze insondabili.
Tanto per tenersi in linea propone: - Prendiamo un caffè, o
un tè.
Il treno non ha più senso, il ponte gli rinfaccia la lunga
assenza gettandogli addosso le assordanti sue giunture d'acciaio,
ma non ha più senso, non hanno più senso gli alti camini
della fornace intravisti sì e no, sì e no, sì
e no, fra un pino e l'altro. Non si alza neppure a guardare se per
caso sull'estremo margine del visibile si stenda addormentata come
sempre la Bella e il seno le si sollevi in un rosso incipiente respiro
d'aurora. Bisognerebbe fermarsi un poco, ricapitolare, ma non c'è
tempo adesso, domani forse o dopodomani, adesso c'è questa
incalzante litanìa di ruote che ti spinge sempre più
lontano, sempre più lontano e a stento riesci a dire amen.
- Ecco, - bisbigliano - ordineremo anche per lei una magnifica capsula
dove potrà trasformarsi in meraviglioso cadavere, pardon, corpo
surgelato e attendere in tutto riposo e serenità assoluta il
giorno della resurrezione.
Questo bisbigliano i suoi compagni di viaggio, dei quali non distingue
bene i volti a causa dell'oscurità ma sono due, sembra, seduti
uno da una parte, l'altro dall'altra ai suoi fianchi, gentilissimi.
Gli hanno offerto da fumare e una bottiglia di birra, il caffè
anche, se lo gradiva, ma non l'ha voluto un secondo caffè,
vorrebbe piuttosto dormire. Non può tuttavia, incuriosito dalla
signora elegante che non parla, seduta all'angolo di fronte dello
scompartimento, fuma soltanto, le gambe accavallate con molta discrezione,
e la punta di fuoco della sigaretta a ogni boccata rivela il viso
bello e severo, a volte un'occhiata fuggevole pare vada a cadere su
di lui.
- Sicuro, - conferma - una capsula oggigiorno risponde a un'esigenza
imprescindibile. Bisognerà avviarsi a produrne su larga scala.
Oltre tutto si potranno combattere guerre con maggiore tranquillità.
Perché la prospettiva di sistemarsi dentro la capsula e così
consegnarsi a una vita futura annulla in sostanza la morte e diffonde
un rilassante senso di soddisfazione. Tutto sta a non farsi macellare
troppo le membra al fine di consegnarle abbastanza intatte al becchino.
Si capisce che un problema siffatto quale la necessità di conservarsi
interi si presenta di non facile soluzione, considerati i mezzi bellici
e le falcidie stradali. Ma domani i cervelli elettronici sapranno
risolvere brillantemente anche questo problema.
Ciò risponde o crede o immagina al bisbiglio dei compagni,
come parlando fra due rive, eco sopra il fiume, battito lontano di
ali, volano le parole, segnano un confine labile nell'aria, parole
sole ole le e, ricominciando daccapo, urtando contro il silenzio della
signora elegante, occhio di fuoco della sigaretta, disco rosso fermi
tutti, il treno sbuffa, lancia un fischio lungo lamentoso, dalla campagna
altro fischio lungolamento, la vita davvero tanto breve, e l'amore
ohimè così fuggevole arcobaleno fra cielo e terra. Ha
occhi grandi la signora, bionda forse, potrebbe essere anche bruna,
non comporta differenza dopotutto stando ai risultati, sempre identici
(quali poi?), comunque tace, spegne la sigaretta nel portacenere metallico,
abbassa una tendina ma i suoi occhi - grandi occhi profondi - restano
aperti, arriverà pure il momento di questi grandi occhi, lei
guarda sempre bene in faccia tutti al momento giusto, ma è
tardi, è tempo di dormire. Quasi non ci sia altro da fare e
di lui nella notte che sprofonda e nel giorno che di nuovo scaturirà
dal suo grembo... ma non è il caso: nulla porta di buono questo
troppo pensare. Tutto, beninteso, ridotto entro dimensioni facilmente
accettabili. Ma lei, così silenziosa, consente a un suo o altrui
piano? Programmato da sempre, incontrollabile né soggetto a
modifiche. Ottimamente. Bisbiglio dell'uno e dell'altro, dell'altro
e dell'uno oltre il suo capo piegato a destra sul poggiaguancia.
Dicono: - E' chiaro, bisogna decelerare i tempi.
Dicono: - Bisogna.
Dicono: - E' chiaro.
Dicono: - E' urgente.
Dice: - E allora?
Ma non si decide
a parlare la signora elegante, elegantissima anzi, salvo che il suo
sguardo, al riverbero d'una stazione, splende più tagliente,
forse. Dunque, riassumendo, il Figlio cresciuto, lasciato a un'altra
latitudine della vita, attento ad altre voci, altri silenzi, cupole
mirabilmente ascensionali, studio di campanili, balconi, torri, palazzi
cinquecenteschi, facciate ricche di volute, dicromìa, policromìa
di marmi, accensione di pinnacoli sotto il sole, e l'ultimo, proprio
ultimo per lui Viaggiatore, orizzonte, deluse a voi le palme tende,
o Bella Addormentata, ponte della sua giovinezza, intermezzo d'attesa,
sa che ricordo non altro di tanta speme oggi gli resta, non accesso
probabile a porti di quiete, anzi tempeste onde mari oceani verdi
raggi fuga di meduse stelle ricci delfini, ciò tenta ricostruire
e rompe la sintassi infiammata dei pensieri, l'ordine intollerabile
della sua vita, l'affanno dei vocaboli, il lessico che a lidi naviga
impervi né si ravvisa faro punta o promontorio cui approdare
indenni dall'incredibile fatica dei propri sogni-dormiveglia-ricordi-tortura-crollare
di castelli. Soltanto le mura tacite della casa rifugio a tanta crudeltà.
Il più banale contrattempo ferroviario facilita attraverso
sparse borgate la visione del mare, (il male intorno pullula e dentro
alla corsa del treno), lontano le sue candide spume, (difesa impossibile
dal), mare malconcio sotto lo scilocco, (imperversa il male a questa
vita), disperso il paesaggio civile di cipressi e d'olivi e colli,
in cambio questo ammucchiarsi polveroso di viti su zolle rosse e case
di calce "da cui uscivano al sole come numeri / dalla faccia
d'un dado". Ecco lo riprende il suo tarlo, apre il giornale,
legge del trapianto d'un cuore, allora è proprio vero: le magnifiche
sorti ecc., mare fra corruschi palazzi, motel, fiamme d'altiforni,
il Sud si muove, progredisce, quadrilatero dell'industrializzazione,
cinque, sei, n lati, ascenderanno vertiginosamente i "sudici",
lo conclamano le gazzette, i discorsi dei ministri. Evviva! W! Mare
sempre più perduto dietro fabbriche, lampeggia, tremola; s'interna
il direttissimo verso la penisola della penisola, pupilla, dulcis,
carissima tellus. Chi oserà più parlare di segregazione
topografica?
Sorridono i compagni di viaggio, sostengono di non aver notato una
signora elegantissima né vista scendere. Del resto poco importa,
un giorno o l'altro la si incontrerà...
A voce alta dice: - Ma quanto ai redditi, la fossa fra Nord e Sud
continua a scavarsi con progressionegeometrica.
- Eh, - sospira uno - quaggiù, figuratevi, neanche nevica!
Scrive il Figlio: "Fa un freddo cane, vento e non nevica. Vedi
che non siamo solo noi terra di pippe".
TERRA di PIPE e MEMORIE CONTROVENTO. A mo' di poeti antichi i Direttori
n. 1 e 2 comandano di tirar le funi alle campane per festeggiare la
realizzazione più recente su ordine d'un'agenzia turistica.
Per la circostanza fumano grosse pipe di terracotta alle quali alternano
pipe marca britannica e francese. Le parole galleggiano nell'ufficio
sopra vapore azzurrogrigio, che si sfiocca in spire delicate, in gambi
filiformi d'aerei fiori. Le pipe fanno buon lavoro, circa il mal tolletto
non monta cennarne. Trattasi alla fin fine questioni personali o,
meglio ancora, di dettaglio.
- A questa volta conviene inscenare un satiro che si sghiribizzi in
piantar PIPE - manifesta l'1.
- E tosto - manifesta il 2 - ne curi la ricolta nonché la dispensa
a quanti n'aggiano uopo e vaghezza.
- Per le MEMORIE anticipiamo affondo finale che tutte le confessi
e collochi a una distanza subcosmica o
all'evenienza subcomica.
- Si tratta pur sempre di reiterare le forme.
- E di procrastinare il già in altro contenuto e conforme.
- Le stesse regole e il rispetto della legge.
- Prego, la si scriva con L maiuscola.
- Ma chi se ne lotte?
- Certo, chi se ne fotte?
- Proviamo dunque con cavie ottima risonanza.
- Proviamo.
- Campanelliano e interplanetiamo.
- Ponghiamo che così fosse.
- S'intrattenga la cavia in buio cortile.
- Consoliamola di MEMORIE CONTROVENTO.
- Prego, cominciare da TERRA di PIPE.
- Come s'ha da fa'?
- Siffattamente e con spirito caritatis.
- Motivo di vergogna?
- La vergogna non concima la TERRA e dall'inconcimato non sbocciano
PIPE.
- Bene, cogliamo non sbocciate PIPE in questa inconcimata TERRA.
- Benissimo! "Sudicia" TERRA, non avrai le mie PIPE.
- Avrai ossa senza colpa ad alto prezzo.
- E polpe?
- Non di polpe ghirlandano il suolo, ma di pompe e di fiamme ferali.
- Benedetti sian tutti i mortali.
- Da cavalli e da morti il terren.
- E di PIPE vendendo dovizie, insacchiamo immense divizie.
Didascalia.-
Dissolvenza di PIPE, quasi cornucopie riversanti monete e banconote,
con graduale prevalere di quest'ultime. In
Saturnicolor, manco a dirlo.
Bianco e nero, chiaroscuro netto a sottolineare la condizione del
Giovane-polizza, messo lì davanti a cosa e fatti, sempre con
l'anima dentro questi fatti e cose. Tant'è vero che appena
si muove sente dolersi un giro lento di vite, il cuore sbatte nella
gabbia d'ossa, grida, latra. Vorrebbe parlargli nelle notti insonni
o nelle albe sfiorate dai primi rumori in cucina. Il terrapieno sempre
al suo sito, salita difficile dopo quella grandine di pugni sul capo,
la nuca per precisione, dato che ai primi colpi s'è buttato
giù a correre a testa bassa, non capisce perché, cosa
vogliano da lui un'altra volta, ma non c'è luogo a parole.
Scompaiono quando pensa già di crollare, rimanere bocconi come
ha visto nei film, viso grondante sangue e sudore, forse un fischio
è il segnale per l'attacco definitivo o la fuga. Dipende da
quanto hanno deciso o da quanto potrà intervenire d'uomini
e circostanze. 0 che si siano accorti dell'errore, se d'errore è
lecito parlare. Si nascondono più in là, dietro gli
alberi, non molti, pochi direbbe tre quattro forse, bastanti comunque
a farlo fuori da non tirarci nemmeno un breve fiato interlocutorio.
Una grossa vigliaccata, veri figli di vacche. Quando si dice l'è
maiala, ma questo non lo dice: un frammentino che fuoriesce da un
buio di voci, anno 196.... nella caserma piena di studenti in panni
militari. Proprio appena suonato il silenzio, il grido rompe prepotente
attraverso tutta la camerata: "L'è maiala!". Ebbene
è così, ma non cambia nulla, forse un briciolo di rassegnazione.
Meglio correre che cercar di capire. Si sono messi d'accordo e sussurrano
chissà quali ordini e micidiali intenzioni oltre la cupa slunata
sera che scende a balzelloni dalle nuvole e travalica i tempi consueti
inarcandosi da questo a quell'orlo di strada. Quando ha schiuso il
portone non c'era nessuno né quando la porta e richiusala con
ogni cura, tutte le imposte ad una ad una e persiane e battenti tentati
per provarne la perfetta tenuta, né quando nella casa così
ermetica, tuttavia tacitamente permeabile ai fruscìi del giardino,
della gaggia soprattutto contro la parete meridiana, ha acceso la
lampada e preso il giornale non tanto per leggere quanto concedersi
l'impressione di nulla attendere -ché proprio nulla è
possibile accada - né di buttare il tempo; d'ogni atto misura
eventuali conseguenze e studia assommarle tutte in una specie di controllo-ricognizione
ché niente sia stato trascurato ed eviti magari per una sola
inezia di rinvenirsi negligente quasicché non sia ammissibile
che un colpo fortuito spazzi tutto e conferisca ad atti innocenti
colpevolezza o assurdità. Peraltro non può ignorare
l'impossibilità di compiere un gesto, il più semplice,
tesa la mano al piccolo bottone, bastano appena due dita, tocco lievissimo,
fruscìo più intenso della gaggìa ma meno durevole,
simile a veste o passo sulla soglia, quel tanto basterà (futuro
immensurabile!) a sprigionare dalla scatola voce o musica o altro
che sia, se non fosse, poiché non si muove, a inchiodarlo,
nemmeno il mignolo può di tutta una mano o d'un piede, il silenzio
grande d'ogni camera, d'ogni porta, d'ogni scala, d'ogni albero, d'ogni
finestra, d'ogni lume, d'ogni tubatura, d'ogni profondità.
Non si può pensare abbia paura, un tremito impercettibile del
labbro inferiore, una certa tensione forse, un brivido ma non è
detto che un brivido attraversa la schiena; freddo piuttosto, così
vasta la casa, così disabitata, umido cola agli angoli dove
s'innestano alla volta, bianche e nude le volte, bianche e nude o
chiazzate le pareti, altissime, a perpendicolo sul cortile, sul giardino,
mura d'un castello qualcuno ha sottolineato osservandole, dunque non
èil caso di chiedersi se mai abbia timore, soltanto un sordo
rosichìo allo stomaco, fame forse, per quanto il freddo sia
inevitabile in stanze così ampie e vuote, se mai abbia ma non
ha dubbi, non c'è motivo quando ci si mette con ragionata volontarietà
ad abitare dove nessuno più vive e voce passo respiro hanno
un'eco profonda immediata, assodato questo e accolto per vero in tutte
le sue implicanze e derivazioni, allora si fa luce nell'animo il segno
d'un'attesa, qualcosa avverrà, il movimento d'un ombra, d'una
presenza indescrivibile, perché ora la casa non esprime sospiri,
fiato di rami, gridìo di passeri ma solo il volto ambiguo della
sera, piombata ad un tratto; interrompe la lettura e quell'ansia gli
galoppa dentro la gola, lo strozza, pulsando rapide e, più
che rapide, impetuose le arterie dal collo verso le tempie. Neanche
quel gesto può compiere di portarsi le dita alle tempie per
dire... Del resto più non direbbe né verbo né
ansia a se stesso se, ancora ripetendosi goccia su goccia sopra una
lamiera, secco tintinnio sguscia, si sgomitola dalla cavità
bruna delle zone vuote senza che con esattezza si possa determinare
da quale periferia della casa provenga o eventualmente s'immagini
possibile, assimilabile a un ordine già anticamente costituito
e pertanto non passibile di facili evoluzioni. Rinvia in questo modo
qualsiasi decisione, persegue ed ottiene un'attesa imprecisabile essendo
abbastanza chiaro e sufficiente l'intento di fingersi qualcosa di
là da ogni limite e dalle strutture stesse del tempo, ma non
dal buio impenetrabile nella fila di stanze donde, lontanissimo ma
sempre più certo, fruscìo o ombra o piede ripete lenta
cadenza e gioco di tesori sepolti chissà in quale buco anfratto
nascondiglio impensato sottoscala nella muraglia. Vengano a prenderlo
dunque ciò che credono poter trovare, lui attende nell'ultima
camera, giornale ancora fra mani, immobile, lo scatto irreparabile
della serratura, lo scatto ora della sua mano a spegnere la luce,
due scatti, tre fino a cinque. Il cuore soltanto ha una voce, urta
contro la gabbia, ma non latra, stride sommesso. Vengono avanti piedi
che non fanno rumore, ma li percepisci per un battito lieve dell'aria,
un sommuoversi misterioso dell'oscurità. Ascoltare e immergersi.
Perdersi nello stridere delle ossa. Da quan..., del misterioso cammi...,
magari raccogliere arance sarebbe più dolce e spiare i nespoli
in fiore ma giorno non passerà ch'egli non voglia ricordare
per quel tanto di augurabile che i giorni contengono. Le difficoltà
interiori non tolgono consistenza al passo incoercibile. Il buio cammina
con esso che invade le variegate mattonelle del pavimento, sosta nel
salone presso al tavolo di noce immenso, e le dita cercano uno spiraglio.
Ad ogni buon conto poteva in qualche modo garantirsi: assicurazione
sulla vita già il premio annuale pagato, polizza 530261; non
questo solo, ma afferrare dal comodino la pistola, con l'impegno d'un'azione
tempestiva. Cammina dritto sicuro, come di casa quello lì dentro,
dall'altra parte che non scruta ma annusa il buio, sente le sue larghe
narici aspirare e avanti, un venire avanti che d'un serpe rassembra
la marcia o drago o chimera feroce, di soprassalto il sangue contro
la parete del cranio, tintinna agli orecchi, il suo sonito incalza,
valica la costanza dell'attesa. Non più attesa ma spasimo,
gancio inesorabile a cui è appiccata l'anima, vipistrelli solcano
i tempi lunghi e inverosimili, schiacciano sui vetri ambigua protesta,
ascoltano, ascolta. Nasconde riso lontano la notte. Non può
più sostenere il peso dell'ombra, curvo, onerato, attento allo
stridìre del tarlo nei penetrali lignei donde affiora un barbaglio,
forse di tanto aspettare appena un lumo-fantasma. Invece il passo
sicuro, felpa morbida, lungo avanti avanzare del mostro che viene,
non ha occhi né mani ed è tanto più mostro, ha
occhi ed ha mani ed è tanto più mostro: il silenzio
divide, taglia, frantuma, distrugge. Avanza, non produce parola né
gemito né suono umano: solo un cupo affannare, ma fuori, di
vecchio trabiccolo in riparazione quel tanto, s'intende, che l'officina
permette ai confini del fallimento, col muro contiguo alla casa. Non
può neppure un sospiro che già la mano gli fugge ad
afferrare, afferrarsi ché null'altro ci sarebbe, anzi c'è
da tentare. Così, quando meno s'aspetta, uno scatto ed è
l'utimo grido forse ma nella strozza. Illuminazione improvvisa nella
sala dove d'un balzo si trova, stringe - gli occhi fiammanti gioia
per l'avventura che corre - la vecchia Beretta anteguerra che è
prima guerra mondiale, dunque balza da dietro la porta nella luce,
naufragando l'incanto dell'avventura nel volto perso, la bocca distorta
che grida perdono, la donna per i suoi figli, invoca per i figli non
farlo, non sa lui smarrito cosa dire a questa donna, lo guarda, la
fissa, perdòno forse... S'inginocchia la donna nell'antica
casa di Colomba.
- Uccidimi, - dice - puoi pure uccidermi, ma la porta era aperta,
sono entrata perché la porta era aperta, che io possa morire.
Morire è un'ossuta parola, e lui pronto a cavarne un senso.
Ma bisogna indagare, sapere, pur mancando testimoni che confermino
o neghino.
Negano se mai. E gli danno addosso nascosti dietro il filare d'alberi,
sbucati senza cerimonie con pugni e calci di ferro.
Così c'è stata la storia dell'ospedale, l'Infermiera
Magra, l'Ex-ragazzo, soprattutto l'Infermiera. L'Ex sta alla finestra,
analizza gli slogan. Sono quelli della nostra età e tanto basta.
Anche se è Natale e l'odore dei treni gremiti dal Nord si diffonde
fino al cuore della città. Su cui arriva il Figlio e saluta
lontano, passato sul ponte presso alle fornaci e alle montagne addormentate
con anima di neve. In futuro non quello, altro paesaggio altri canti
altri ritorni, inutile dire.
I due Direttori, chiusi nello stesso raccoglimento, affermano:
- Qui ne occorre una di quelle speciali, se vogliamo che sotto gli
occhi della popolazione attiva risplendano ogni giorno una speranza
e uno stimolo, una persuasione nient'affatto occulta.
- Tutto si fa per l'Uomo - dice il n. l.
- Per l'Uomo a un certo livello - precisa il n. 2.
- Certamente. Per l'Uomo a dimensione umana. Il miserevole, il pazzesco,
l'abnorme, insomma il subumano o il disumano non ci riguardano.
- Certamente. Siamo d'accordo sotto tutte le latitudini.
- Siamo d'accordo a qualunque longitudine.
- Siamo stati d'accordo nei secoli.
- E nei secoli dei secoli.
- Così sia.
- Secondo la nostra volontà.
- Cioè quella dei nostri interessi.
- Per guadagnarci il nostro pane quotidiano.
- Ed anche il companatico, comechessia.
- Amen.
- Secondo detta la sacra scrittura
- ... dei nostri contratti.
- Secondo la legge della giusta mercede...
- ... per noi e per i nostri figli.
- Per i nostri figli e soprattutto per noi.
- Così sia.
I bambini intanto scrivono la letterina di Natale con molta cura e
lustro d'argento. Camminano sulla neve, che non cade mai in questa
terra di pipe. Il Figlio è balzato giù dal treno agitando
a lungo la mano. E subito esclama: - Sono cominciati i Natali della
mia vita.
Il Viaggiatore deve modificare la prospettiva ogni volta che s'incontra
col Figlio. Ma rinuncia ad approfondire per timore di scoprirsi troppo
più vecchio.
Narra il ragazzo: - Ho attraversato numerosi ponti durante il viaggio.
Uno specialmente ricordo, non lungo ma tutto rimbombante d'acciaio.
Scavalca un fiume e si scorge il mare dove il fiume va a gettarsi
accompagnato da una fila di fanali gialli. Dalla parte opposta la
montagna appare viola. Qualcuno mi ha detto che somiglia a una donna
dormiente, ma io non l'ho vista perché era molto buio.
- Sì, - dice il Viaggiatore - sono veramente cominciati i Natali
della tua vita.
La barca ha una dimensione notturna, va secondo corrente senza peso,
senza neppure ombra, tanto è confusa con aria e con acqua.
Forzare il blocco è quasi tirare a compiere un miracolo. Poi
nel mare nessuno la ode né scorge, nessuno pensa a inseguirla.
Distanza e silenzio contano per raggranellarsi una vita. Sicché
il rombo frenetico della motovedetta è un'incredibile bufera.
Le unghie non possono che uncinare i remi e tentare tutta la più
tesa disperazione. Ma la parola conclusiva la pronuncia la mitragliera
da bordo della vedetta e spazza a varie riprese lo spicchio di mare
su cui galleggia la barca ormai senza più forza di remi, sola
con la grande ombra della sua immobilità.
Nella vita del Viaggiatore esiste anche questo episodio, lui scivolato
sotto la chiglia, aggrappato ad essa oscillante per la maretta prodotta
dal motoscafo, i polmoni gli scoppiano ma resiste fintanto il motoscafo
giunge a poche braccia e circumnaviga la barca. Voci concitato-militaresche,
poi un fascio luminoso investe i corpi esanimi dentro la scialuppa,
ordine secco, sventagliata finale che perfora il legno, l'acqua comincia
immediatamente a gorgogliare attraverso i buchi, fra breve sarà
talmente cresciuta da portarsi a fondo quella bara marina. La traiettoria
dei proiettili lo ha sfiorato risparmiandolo, può udire il
motore allontanarsi e finalmente mettere fuori la testa, lungo profondissimo
respiro mentre la barca piano piano affonda, il mare scioglie già
braccia e gambe dei morti, fluttuano e non sanno decidere una nuova
positura, lui solo di quattro che erano nuove braccia e gambe con
ritmo consapevole, parsimonioso, verso l'approdo dove non si corra
rischio d'incontrare sentinelle. Il mare è notte liquida e
lontananza. Non importa, bisogna salvarsi per lavorare a un mondo
più giusto. Ma anche morire come i suoi compagni significa
contribuire a un mondo più giusto: quello di domani. Un giorno
sempre di là da venire! Alza la testa sulle onde via via più
frequenti e più alte, la luna aguzza le punte del suo primo
quarto e sta lì vecchietta del cielo a cullarsi nella sua imponderabile
esistenza. Lei lo richiama alla realtà delle cose, cioè
al sentimento della morte degli altri tre. Ora piange, lacrime e mare
hanno sapore identico, quasi si abbandonerebbe se non si profilasse
sotto l'albescenza lunare la donna che dorme alla montagna e attende
come se qualcosa ci fosse da attendere e forse allora c'era veramente,
ché erano giorni di furore e di speranza.
L'anno finisce, un altro ne comincia. E' tornato il Figlio, saluta,
presto di nuovo riparte, viaggiatore anche lui, altre strade però,
altri treni lo portano ma la sostanza è pur quella, a bene
guardare, di male nel cuore, ammucchiarsi d'uomini e fatti a costruire
lentamente il passato. La notte grida la sua tempesta di fuochi artificiali,
treni partono verso il nord, treni partono verso sud, splendono le
stazioni, volano nella notte. Non c'è tempo di fermarsi, bisogna
correre, dal finito all'infinito, superare i grigi confini della Terra,
ascoltare il canto delle sirene. Non mettere cera nelle orecchie né
farsi legare all'albero maestro, anzi ascoltare e operare: in piena
libertà e nelle migliori condizioni fisiche.
Il Viaggiatore sa di porgere questo augurio per vincere le magre possibilità
di vita, vincolati come sembrano quasi tutti agli atti minuti d'ogni
giorno.
La Madre non vuol saperne. S'arrampica sul cornicione, domanda:
- Cosa significa questa notte?
- E' la notte degli spari - rispondono.
- Non sarebbe tempo di smetterla?
- Sarebbe ma non si può.
- Non si vuole, questo accade, non si vuole. Ci sono troppi interessi.
- Andiamo dunque dentro la notte degli spari - invita il Casellante.
- Ci divertiremo anche noi.
- Anche noi - echeggia l'Aiuto.
Tira il cane per guinzaglio sgridandolo in tono violento, poi via
via più modulato.
- Sempre così - commenta il Casellante. - Ti dai a buggerare
la gente con flauti verbali. Sempre così.
- Non io solo ma tutti - ribatte l'Aiuto - e alla fine ci troviamo
ad anfanare nel deserto.
- Di desertico fiore una speranza - grida la Madre - da rifiorire
ogni giorno con acque novilunari ed aprire pertugi e cornamuse.
Dappoiché i treni non attendono né le stazioni possono
sempre arrestarli ed anche i Direttori rifiutano di farlo, infingardi
e malvoglienti quali sono. Così di nostra vita scema la stima
man mano si procede e i figli ci spingono con crescente violenza.
La Ragazza, so bene, mi ascolta e non m'intende e amara sorride e
nulla fa buon pro.
- Non esistono più dubbi - dice il Casellante.
- Credevamo di salvarla - aggiunge l'Aiuto.
- Credevamo.
Il cane abbaia e non risolve neanche lui con quell'abbaiare. Non morde
ma spaventa la Madre vagando e inseguendola alla luna presso la strada
ferrata.
Poi solleva una mano, l'Ex, poggia sulla spalla del compagno, stantuffa
locomotiva qual è, alza i piedi con ritmo, ginocchia, gambe-angolo
retto, stropicciano corrono i piedi a-più-non-posso-a-più-non-posso-a-più-non-posso
sui binari dell'infanzia. Questo accade e ride, e non altro accade,
e questo ancora e sempre ride. Ha veduto i morti nell'obitorio, sopra
il cataletto la vecchia: vecchissima era e gialla, calze bianche di
cotone trapunto, le caviglie legate affinché non divaricassero,
un fazzoletto le passa sottomento annodato in cima alla testa, nondimeno
già da una parte la bocca mostra i denti, tirati i muscoli
facciali e rigidi come talvolta succedeva se la si contrariava o alimentava
in sé un pensiero recondito, ma non più indosso quelle
nere gonne, quegli immensi scialli neri sotto i quali l'aveva vista
entrare. Sul tavolo invece la cassettina non ancora chiusa ma il coperchio
preparato daccanto per sigillo e silenzio di chi non ha avuto neppure
tempo di parlare (se non si vuole ammettere come suo certo discorso
sulla cui provenienza permangono seri dubbi); i chiodi anch'essi pronti
e odore molle di talco appena appena putrescente danno un senso brusco
di epilogo così prossimo al prologo da confondervisi e impedire
ogni passaggio e sfumatura.
Intanto è Natale e Capodanno. Venuto l'inverno non si possono
ignorare le festività più solenni, occasioni queste
quasi sempre malinconiche per il Giovane-polizza che, avendo esaminato
ben bene dall'esterno la casa, vi è rientrato a chiamare Colomba
e gli altri per l'ultima volta ma non sortisce effetto tranne quello
dopo lungo faticoso gridare di smuovere dai cardini d'un vecchio quaderno
1827 la voce del pastore Nardo, "da Napoletano" fra gl'Interlocutori,
che ciarla d'un suo itinerario fino a Betlemme: "Ddrìzzate
pe la via della Torre vecchia, lassa la Torre a mano manca, trase
pe dintu alle macchie, passa lo vuosco deli montanare, piglia la via
de miezzu, tira dritto allo naso, arriva allo portone delle case janche,
po' lassa la via de miezzu, tuorce le gambe a mano dritta, trasi pe
dintu allu tesiertu, vota de ccà, gira de llà, e spunta
de ccà... e che saccio io? Io tutto aggio fatto, tutto aggio
tenuto a mente ca aggio na bona memoria. Aggio fatto tutto e se' sbregato
e pe bona fortuna so' arrevato".
Un viaggio interminabile dunque, pieno di bosco di torri e case bianche
e di stelle alte sopra il deserto e vento e pioggia e ogni variazione
atmosferica e foglie verdi rosse ragginose ruvide lisce accartocciate
fragili autunnali invernali foglie strappate travolte scopate dalla
grande ramazza dell'aria e pianure e seni di mare e monti e fiumi
precipiti o lenti e valli, obnubilamento d'intelletto in sonno o follìa
o brancicare sotto povero cielo, non da cometa la nostra notte allumata,
ma buio d'inferno e scorrere blu di cavalli a criniere disciolte e
ghibli e ricerca inutile d'un punto ove incontrarsi uomini con l'amore
l'uno all'altro negli occhi. Se allora l'interminabile viaggio non
è terminato e per adesso non termina - domani no certo, dopodomani
forse - cammina cammina, se spiagge rami grotte ruscelli hanno perduto
senso e non si arriva mai, i treni sono fermi a tutte le stazioni
ma nesuno può salirvi. Vuoti i treni, la Madre li guarda e
non osa neppure toccarli col dito sulla cornice inossidabile dei finestrini
ora che sono sì prossimi, anzi sostiene ch'è tutto un
imbroglio perché le avevano detto che non possono arrestarsi,
debbono correre sempre, e lei desiderava tanto fermarli per salirvi
su ma non così, non così, ch'è proprio una disgraziatissima
razza quella dei Direttori, dicono e non dicono, quanto al fare adesso
invece... ma non da loro dipende, anzi da loro, però in maniera
tutta inversa rispetto al desiderato e sognato, perché non
per lei compiacere bensì beffarsene perciò hanno abbassato
i segnali e i treni si sono subitamente bloccati. Si capisce. Ma non
basta un giorno, le cose s'intendono in più giorni e certamente
ne sono trascorsi abbastanza. Tanti che i morti già si decompongono
nelle bare.
Il Viaggiatore ritiene di poter ascrivere a suo discarico che non
per sollazzo ma con animo partecipe e dolorante segue la cronaca delle
patrie ed esterne vicende, a volte giudicandosi anche con molta severità
per la sua inazione. Soverchiato dagli scrupoli quotidiani, tuttavia
conosce il meglio ed al peggior s'appiglia, scombiccherando le stampe
dell'usata bava cogitativa in segni e commenti a mo' che fa la lumaca
sui muri Ma non importa: leggere che cuori nuovi o meglio altri cuori
pulsano in altri corpi lo rassicura che nonostante tutto si va avanti.
Solo dovrebbe finire la vecchia storia del vecchio Me Bird: sembra
non voglia mollare seduto nella barchetta del suo prestigio. Follemente
beccheggia ma dirompe sempre le onde. Almeno per ora. Capita a proposito
la venuta dei Re Magi. Cavalcano pronti a deporre le corone in atto
d'obbedienza, con umile dignità e gesti ieratici, perfino i
cavalli e i cammelli. E il moro indiscutibilmente integrato, allora.
Altri non cavalcano né depongono. Fuggono dinnanzi ai colonnelli
ma speranzosi di nuova cometa che li guidi ad oriente sulla via del
ritorno. I lupi ululano che nell'avanzare proposte bisogna mostrarsi
ragionevoli e sinceramente disposti a discutere intorno a un tavolo
perché dietro le parole ci stanno i fatti, e le parole non
si sa fino a qual punto, chi può dire? Intanto guadagnano tempo
ed è bene che molti, moltissimi, quanti più possibile
degli altri muoiano. Così il discorso diventa più chiaro,
anzi meglio un fitto monologo. Però i lupi risparmiano le farfalle.
Fanno tanta tenerezza, poverine. E gatti e canarini eventualmente.
Gli uomini no.
Ormai si è capito come stanno le cose. La Ragazza trangugia
whisky appollaiata sul piano, contorta e disforme. Nessuno danza a
quella musica del disco nero-luttuoso, la voce lontana, già
arcaica, granulosa, troppo intelligibile la sua cupa minaccia d'ogni
volta. Accosciati qua e là per la stanza masticano silenzio
e negligenza, ostentano una dignità disincantata.
- Non bisogna turbare il decoro - esclama a un tratto la Ragazza.
- Il decoro è tutto nella vita. Nella vita che è niente,
naturalmente.
Le parole non trovano eco, tutti continuano a masticarsi in solitudine
il silenzio, sebbene qualcuno si appoggi all'altro e dovrebbero avere
l'aria di amarsi molto. E' stabilito che alle parole non vale la pena
dare eccessivo peso. Si ingoia whisky pertanto e ci si aggomitola
quanto più possibile, anche a ritmo serrato.
Ma la Madre non tollera o meglio la sua inquietudine di vecchia data
trasferisce silenzio e immobilità in autentica negazione di
valori, non ha grande importanza tutto ciò per lei, ma vuole
sentirsi a posto e doverosamente cerca coordinazione fra suono e gesti
possibili. In fondo potrebbe anche passar sopra, non giova pensarlo
e interviene con veemenza caparbia e traslucide ragioni. Accusa l'età,
il subordinante crollo degli anni. Sennò, vivaddio, impinguerebbe
i suoi grami cespiti e coltiverebbe rose e tulipani in giardini d'inverno.
Scaglionati contro le pareti non le prestano retta, del che avverte
l'ingiustizia mentre un'accoglienza festosa sarebbe di suo gusto e
sostanzialmente innocua, senza compromettere alcuno.
- Certe finezze sfuggono ai più - commenta a voce alta e nel
moto del disco coglie il senso del transeunte. -Non è pazza,
- osservano - o almeno non abbastanza.
Si tratta sempre del resto d'una nozione relativa in quanto fissare
concetti assoluti è del tutto inopportuno e impossibile. Ma
il mare sembra se lo siano dimenticato. Sta laggiù, bianco
mare tempestoso a cui si scende da rocce basse e case rinverdite alla
stagione, pozzo nell'angolo d'ombra con carrucola lamentosa per antico
cigolìo. Conversare nelle vecchie case e ritrovare Colomba.
Vorrebbe tentarlo ancora il Giovane in quella musica che la ragazza
gli offre. Perché il suo sguardo va oltre la spalla di lei
a cercare il tavolo lungo rettangolare, i volti che c'erano intorno,
ad ogni lato, il vino e l'acqua nei grandi boccali, i grandi piatti
di verdura, i piatti mezzani, le portate abbondanti di fritture, il
pane a forma di grosse ciambelle, quel senso di benessere contadino,
assommato nella fiamma del focolare e nella vasta cucina, tutto questo
non più recuperabile proprio ora che meglio saprebbe goderne,
tutto questo, tutto quello, non più non più. La Ragazza
parla. Ma quando ha conosciuto questa ragazza? ma dove? come mai in
questa festa? trovarsi a ballare, per dire che cosa, per fare? Certo,
per fare. Bisogna dopotutto, in sì giovane età. La Ragazza,
spogliarla. Ha già avuto un figlio, morto ma un figlio, dunque...
Si rimprovera il ragionare incivile, mormora alla fine: - Lei fuma?
La Ragazza sorride, gli offre un sigaro, ne accende uno per sé
dicendo: - Anch'io fumo sigari.
- Non le pare una curiosa disgrazia? Trovarsi sempre in prima linea
e non poter mai salire su uno di quei meravigliosi vagoni che attraversando
le nostre città vanno verso altri luoghi e altri tempi per
ignorare questi luoghi e questi tempi così neghittosi e insipidi
o così tremebondi e caotici?
Questo la Madre. Pronunciata la domanda, siede e osserva immaginari
contatori fuori uso, scatole coniche, cavatappi placcati d'argento
da trattare con precauzione, non si sa mai perciocché i conti
non si regolano sempre tutti in una volta.
Il sigaro fete di sigaro specie quand'è ridotto al mozzone.
Pertinace tuttavia la Ragazza lo innesta a uno spillo e continua a
dilatare nuvolette azzurraneilate, che s'incrociano con sbuffi di
nere locomotive in passaggio al casello per via di manovra. Nei quadri-comando
delle cabine i pulsanti danno di quando in quando un segnale, i treni
transitano simili a fantasmi senza colore né suono imbattendosi
nelle locomotive nere e manovriere.
- Ebbene, - fa la Ragazza - il sigaro me gusta e posso in ogni circostanza
rimettermi alla generosità
degli amici.
- Ci sono qua io - si offre il Giovane.
- Già, in definitiva la mia situazione giova all'intervento
di qualcuno, per il quale bisogna nutrire sempre massima stima e profondo
rispetto. Comunque resta difficile stabilire un punto sicuro di riferimento.
- L'amore difatti è un'ardua conquista.
- Pressocché impossibile. Se n'è accorto? -Non vorrei
accorgermene.
- Errore di chi non riesce ad adattarsi.
- Ma non credo solo nello spirare degli zefiri, credo anche nel ritorno
alla ragione. -Abbastanza ingenuo; l'enunciazione in se stessa risulta
quanto meno fuori uso.
- Perciò preferisco diluire la densa pena della vita in un
recupero di Colomba.
- Ostinatamente sentimentale, dunque.
- Una donna d'oltre un secolo fa, ma anche più prossima volendo,
se furono due a portare lo stesso nome.
Entro il vano-finestra scorrono nuvole basse di fumo, oscurano il
piatto lunare, si sciolgono spinte dal vento dell'ovest, tremano le
ossa della casa al passaggio dell'ultimo direttissimo notturno. La
Madre accorre a spalancare finestre, a respirare odore di treno con
narici dilatate, immerge le mani in una nuvola di fumo, ascolta in
sé l'eco di quella corsa e continua il cammino fuori della
casa fino al semaforo che la guarda ora col suo occhio verde ora con
l'occhio rosso. Reggendo la lanterna le si para innanzi il Casellante
e ammicca un segno d'intesa: - Se hai denari, ti faccio provare cos'è
un treno.
La Madre non fa a tempo ad aprir bocca per dire di non avere soldi
in tasca, tuttavia - se vorrà attendere pochi minuti - un salto
a casa e torna col denaro, ma quanto ce ne vuole? che all'angolo di
strada ove la ferrovia fende un'estrema fetta urbana compare l'Omino
in tuba rasente i muri, gingilla il bastone, osserva cielo e dintorni
inflessibile cerca-trova, vuole notizie d'un manifesto il quale cielo
di silenzio e solitudine promette, nondimeno non se n'intravvede minima
parte né altri attestano d'essere riusciti a vederlo, il che
sommamente sorprende e lascia perplessi circa la serietà dell'iniziativa.
Del resto i Direttori interrogati non hanno saputo fornire spiegazioni
sufficienti e quando egli ha insistito lo hanno consigliato a recarsi
là dond'è possibile spaziare il guardo non solo sugli
oceani ma nei cieli per contemplarvi ciò che luce od è
bello a vedere.
La Madre rompe l'intrusione e domanda apertamente donde consiste la
sua venuta.
A ciò l'Omino emette un suo lamento di speranze deluse e tarpate
ali. Senonché con repentina mutazione e impennata si libra
in volo a larghe falcate per quanto le sue piccole gambe consentono,
fischiando frattura il silenzio, accenna passi di danza, contesta
il grigio del cielo ed ecco si appende a una vetta. Naviga fra nuvole
bianche e screzi amaranto, rivendica ancora qualcosa, ma la sua voce
è lontana, lo è sempre più. Egli stesso sparisce
dietro il gobbo della luna e non v'è chi osi seguirlo o contrastarne
la perdita.
- Bene, - dice l'Ex - un giorno o l'altro cammineremo su piste diverse.
Erano mesi bigi e lunghi di terrore, grida alte nelle strade e il
richiamo delle ciliegie. "Oggi è tempo di ciliegie. Se
vuoi venire a coglierle ti aspetto alle due precise", ma non
veniva il ragazzo corso giù verso la caserma saccheggiata e
i vagoni pieni di farina. Una carretta. Stava proprio lì, abbandonata
in mezzo ai binari. A un tratto ronzìo d'aerei e tutti a correre
per paura. Lui allora afferra per una stanga la carretta, la sospinge
via, si potrebbe metterci il sacco di grano o masserizie coperte lenzuola.
Prevale il grano, meglio sarebbe farina, ma non ne trova più
e bisogna affrettarsi: i vagoni già semivuoti, i primi sono
stati i più fortunati. Sceso buio, gli aerei si alternano a
gettare bengala. Cadono lentamente e illustrano tutta la notte. Chiede
un po' d'acqua, per l'arsura e il timore a scaricare le mine. Ma non
esiste gocciolo d'acqua e urge finire, scaricare, finire presto, e
ricaricare, e finire presto. Tutto pronto, si riparte. E' andata:
i bengala, i razzi, le stelle cadenti seguitano a venir giù.
"Presto, tutto è stato eseguito, andiamo ché non
ci rompa più i cogliomberi questa furia di lanzi". E altro
vociavano senza troppa serietà. Un modo come che sia di non
darsi per vinti ascoltando il lamento delle madri che stanno dietro
le persiane a guardare i figli e non osano un cenno perché
non scoppi in singulti irrefrenabili. Soltanto uno alzò la
mano per protestare, poi si capì ch'era la più strana
protesta udita in quell'occasione.
- Non è giusto, tenente.
Brontolava sull'attenti, il viso fanciullesco punteggiato di lentiggini.
-Dico che non è giusto.
Dopo si seppe cosa non era giusto, quando lo riportarono con l'addome
squarciato da una granata e il tenente piangeva, lui non voleva mandarlo,
la pattuglia già pronta ma per forza aveva voluto: non gli
sembrava giusto essere risparmiato in nome di un'amicizia. Poi sui
monti era caduta la neve e solo i caccia rimasero ad azzuffarsi nel
cielo e i bombardieri a portare il rombo della loro minaccia.
- Bene, - conclude l'Ex - un giorno o l'altro cammineremo su piste
diverse, avremo memorie più brillanti. Sarà il giorno
del nostro Giudizio, quando ogni atto pesato in tutte le sue componenti
non potrà nascondersi o fuorviarsi. Stabiliremo pure rapporti
precisi, di consapevolezza e di moralità, né al diluvio
riuscirà più lecito abbattere i limiti e degradare la
specie umana. Ma oggi accontentiamoci del poco e della sofferenza.
Della morte anche.
L'Infermiera Magra lo sfiora passando come una figura metacosmica
senza il suono della sua presenza fisica. Vorrebbe riferirgli il corso
della malattia e la guarigione prodigiosa, cantargli il miracolo,
ma sa che non l'ascolta né appare disposto ad autenticare miracoli.
Allora attraversa i corridoi lunghi, lucidi, chiude ad una ad una
le finestre, abbrividisce dell'umido serotino e osserva la scritta
luminosa che annuncia... Cosa annunci non riesce a capire distratta
dal sibilo ripetuto dell'autoambulanza che sbuca attraverso l'uscita
posteriore e abbordata la curva a velocità infila il viale
dei pini.
- A quanto pare si conclude qualcosa nell'unico modo possibile di
concludere: o morire o amare - dice la voce pacata dell'Ex alle sue
spalle.
- Meglio scegliere il secondo - risponde un po' meravigliandosi. -
E se l'alternativa esistesse soltanto per gli altri?
Si guarda le mani, le braccia, le gambe stecchite, il torace infossato
di antico degente, guarito, miracolosamente guarito - così
dicono - ma ancora chissà per quanto tempo prigioniero della
sua convalescenza. Si appoggia al bastone, tossisce e scompare nell'ombra
del corridoio dove non ancora hanno acceso le lampade.
AVRETE FORZA E SALUTE LEONINE CON... annuncia fuori la scritta sfolgorante,
dominando le luci della città.
- A noi la terra si apriva sutta alli piedi ch'era uno di quelli tremuoti
mai sentiti da sessant'anni a sta parte, ca quandu ci ccappanu nu
ssai si esci vivu e hai voglia a preare tutti li santi, a chi tocca
tocca, scampu nu esiste. Le case una frana di pietre, la montagna
quasi che sia ricotta tanto tremolava tutta nella scorza e nelle midolla.
Ma più faceva disgrazia vedere i bambini chiangere non avendoci
nessuno a soccorrerli o accudirli, stavano in mezzo la strada a palme
perte ch'era come dire non ci aveano né sapìanu cce
fare. Sotto le macerie ne trovarono una tutta cartocciata, c'era stata
cinquant'ore e non le parea rivedere il giorno e respirare l'aria,
che poi respirò brevissima poi che si morìu dopo nn'ura
forse l'avea saporata. E le mamme a scarfare col fiato i nati, la
notte, senza coverte; uno di sette mesi ci lassau la vita ca nu si
putìa durare tanto insoffribile diventava la ghiaccia posata
sull'erva e sulli rami e per ogni loco e avvolgente li corpi de le
persone che non ci avìanu scampu se non nell'abbracciarsi l'un
l'altra. Però anche dormendo il ricordo della case distrutte
e l'immagine di quella ruina mai ni lassava. Vedévamo sempre
li nostri guai e la terribilità del verno che oltre al resto
ci assaltava d'ogni banda con neve gelo pioggia e vento. La terra
poi nu la smettìa d'impaurarci coi movimenti a quandu a quandu,
ci svegliava di soprassalto nel poco del nostro sonno e la sentìamo
ballare e smaniare questa terra puttana. Diciàmo nu valìa
la pena rimanerci in una terra talmente puttana e ballerina. Così
ce ne siamo venuti e siamo qua, non per fermarci, per andare avanti,
ancora avanti, all'estero a cercarci la fatìa. Nu vulimu limòsine,
vulimu guadagnarcelo lu pani.
I treni passano portando queste voci. Il Casellante alza la lanterna,
non gli resta fra le dita che il vento fugace di quei vagoni. L'Aiuto
cammina dietro di lui, ascolta il vento, segue la vecchia lanterna,
tutto gli pare nella notte invecchiato, anche il cane che si trafela
avanti-indietro. Tutto gli pare ed è in silenzio che gli pare,
nonostante il vento. I treni passano come piume-pesci nell'acquario
della notte, sebbene le voci siano molte - ma sommesse - intorno ai
fatti di ieri e ad una ragione da darsi per domani. Poi non parlano
più a causa di sonno e stanchezza, di fame anche. Assumono
positure sghembe nel dormire. Russano e non vedono altri paesi scorrere
fuori dai finestrini ora che hanno perduto i loro paesi. Né
vedono le costellazioni salire nel mezzo del cielo e quindi andare
lentamente all'occaso. Volano uccelli notturni nei boschi profondi
e il loro grido perviene all'orecchio di là dal sonno come
un allarme e una minaccia. Ma non mutano positura, continuano a sognare
paesi bianchi e lunghe file di volti straniti, tutti identici, che
a guardar meglio ognuno vi riconosce il proprio. E hanno paura. Come
stanno le cose ormai si tratta soltanto di correre, che il treno corra
e tocchi presto la stazione d'arrivo e i cieli ondeggino sopra di
esso senza l'angoscia di altri fulmini.
Ma c'è pure chi si ferma a osservare la palude il ponte la
strada il fiume la montagna immersa nella caligine lontana, chi si
ferma per queste cose e altre ancora sebbene non abbia motivo di meravigliarsi
(tutto visto e rivisto) perché lui è proprio il Viaggiatore,
ma ha bisogno di consolarsi l'occhio su questo paesaggio. Nessuno
in questo paesaggio ha mai veramente messo piede se non la sua anima
per rinvenirvi una misteriosa concordanza, un battito interiore, frantumato
al primo cenno di vento. Dice che il Figlio ormai se ne va, altri
orizzonti, altre voci lo chiamano, altri itinerari. Bisogna d'una
capsula ibernante anche lui Viaggiatore per quando-dovunque accadrà,
onde attendere lì dentro l'immortalità, vedere se mai
ancora oltre l'arco insicuro dei secoli sia la Bella Addormentata
visibile, ascoltarne la silenziosa comunicazione: ecco, di questa
vorrebbe parlare, ma non sa né può e sente di non poterlo
più fare. Rimbombo lungo di gallerie lo sorprende e qualche
lontano lucore e grido nottivago d'augello e ancora ancora ancora...
Il Figlio sorride ma nulla. S'addice la solitudine alla sofferenza
delle rinunce, gli occhi si appuntano verso lenti passaggi di monti,
altri monti, paesi, altri paesi, ruscelli, altri ruscelli e, per quanto
se ne possa sapere, di fatto di loro più niente si seppe perché
ogni cosa ha la sorte che deve avere e tutto in se stesso assorbendosi
si consuma e sparisce.
Ci pensano i Direttori qualmente convenga indirizzare l'opinione pubblica
all'uso nastri adesivi o cieli violarancio a rendimento sicuro, onde
il sorriso del Direttore n. 1 splende e rimbalza in cotale e tutto
simile sorriso Direttore n. 2 dacché, deposta la pugna inter
se e gonfiate le vele, ogni iniziativa programmaticamente convogliata
riveste carattere assoluto d'indiscusso profitto, in guisa da stupefare
i popoli e sbaragliare la concorrenza. Peraltro, statuito il disegno,
si diportano in droghe, Veneri tenerelle e bacchiche delectationes
cum plurimis cuiuslibet generis voluptatibus, siccome da loro si può.
Di paripasso discutono, cingottano in varie forme e argomentano doversi
ad ogni modo la Ragazza licenziare sapendola reattiva e a loro non
più disposta, immersa in ricordanze strane e anelli non veduti
che mai si vedranno per quanto lei vi ricami intorno e pretenda di
serbare una quasi dimidiata verginità. Della quale non essendosi
affatto accorti preferiscono evidenziare il ridicolo. Risibile infatti
una tale pretesa che meno d'ognuno lei ha diritto d'avanzare. Si soffermano
alquanto pensosi sulla cima-terrazza del grattacieluffici, scambiano
l'occhio d'intesa, scrutano l'orizzonte vetusto e d'un riso ridono
del pari consenziente e satollo.
Il fumo delle locomotive avvolge la tremebonda Madre, ristretta in
sé a spiare se mai i treni s'arrestino e splendano nei fianchi
possenti pulsando e ansimando d'infocati vapori, espellendo odori
acri, sbuffi continui, concentrati mugli, non imputabili d'altra insensibilità
se non d'una perenne fuga, insignificante agli occhi dei comuni viventi,
non di lei Madre intenta ad angosciarsi e ad inventarsi pronta. Sulla
banchina fa gesti, saluta, ascolta il disco dal bar, l'altoparlante
che annuncia arrivi e partenze, poi di nuovo partenze ed arrivi; non
corre, travalica con passo dignitoso il binario, accende in sé
nuovi lidi e speranze, smoccola i grandi ceri verticali e solenni
in attesa d'una camera ardente dove collocarsi e su di sé gemere
e imprecare, indi placata accogliere il tempo senza battere palpebra,
coordinare l'atto del mattino con quello della sera, dare alla vita
senso non d'accatto e querimonia, bensì di volitiva e fiduciosa
azione.
La tromba emette lungo cadenzato ritmo, sollecita invettive, stimola
speranze, scende dalle colline lontane e marcia verso il mare. Nessuno
avverte la presenza umana di lei Madre, la quale stende le braccia
sopra il capo, aperte le dita, scuote i capelli, dissuggella i suoi
misteri all'ondata della parola e invoca la tromba, suono e rarefazione
in suono, i treni invoca, rombo e rarefazione in rombo, ché
da decenni patisce questa lontananza all'estremità d'una terra
aperta ai mari e più non può patirla, l'ansia l'accende
di cieli rinnovati. Suoni la tromba il diesire della partenza, squilli
da torri e merlature, dal grattacielo gialloverde il ben congegnato
progetto, il segnale effimero di giorni più degni; abbia sosta
lo sfrecciare dei treni per l'attimo bastevole al suo ufficio d'antesignana,
alla sua portentosa ascesa, al grido trionfale che da tutti i finestrini,
affacciandosi uno dopo l'altro, vorrà emettere, giubilo e gorgo
di beatitudine immensurabile. Questo piace alla Madre. Scuote le palme,
batte un tallone per terra, aspira il vento occidentale, piega le
ginocchie e giace a maledire la terra, questa lontana terra, chiusa
terra, dove non aria spira né albore s'indovina, neghittosa
terra di pipe, patria di poco avventurosi figli. Qui d'ascese umane
non arde fiammella, qui silenzio e mare solitario e campi deserti
ed una vecchia signora città tutta in sé rattratta e
come sorda e in lutto.
La Ragazza al solito non consente alla Madre, le si accosta di furto,
la scuote alle spalle, le impone seguirla. Lei dibatte a terra il
suo corpo, vecchio osso consunto, la sua nuda follìa, la smania
d'andarsene, di essere sui treni anche lei viaggiatrice, cittadina
di paese diverso, lontana, fuggiasca frenetica, rapinata dal vento
dei convogli fino allo stremo della terra, all'ultima Tule, ma che
sia altra terra, altro luogo, fascinosi alla sua sete, che sia...
Non è ancora tempo, - ha pazienza la Ragazza - andranno, certo
poi andranno, insieme faranno viaggio. Sarà lungo viaggio,
lieto viaggio, gettato ogni residuo alle spalle, non più sottoboschi,
Direttori, nastri adesivi, indifferente qual è diventata, anzi
gioiosa, sicura di poter ritrovare la voce dell'uomo che cantava,
l'anello, il bambino.
Oh no! - inorridisce la Madre - non il bambino, quel lungo bambino
grigio, rugoso, dalle lunghe braccia e lunghe gambe, così terribilmente
grigio, che aveva visto dentro la cassa, aperta proprio per osservarlo
mentre non si sarebbe dovuto, quel frutto immaturo ma lungo, così
tremendamente allungato che sembrava un nato da giganti fornito d'una
rotonda grossa testa. Ma più l'atterrivano le rughe che dalle
palpebre chiuse si ramificavano per tutto il viso con fitto intrico
di linee trasversali e verticali, il collo aggrinzito, da tacchino,
e lo squallore della stanza e la stanza confinante, il cataletto con
sopra quella vecchia in cui s'era specchiata e raggelata la sua furiosa
vecchiaia.
La Ragazza annuisce, la prende per mano, s'incammina entro una metafisica
inerte macchia nera, a tratti tuttavia azzurrina, dove il mite spaventoso
decoro dell'ambiente l'ha altre volte sospinta e quasi inchiodata:
il candelabro brunito, l'uccello del paradiso, il giradischi luminoso
della sua stessa voce, dimensionato e oscuro nei silenzi, il disco
un repentino barbaglio, il canto spettrale, angosciato... Chiusi gli
occhi, lungo lo stipite l'uomo muove appena un dito, rimane inquadrato
nel vano, grida che è tempo ormai, lo grida su una linea fluidissima,
vissuta o soltanto sognata è perfettamente lo stesso. L'accelerato
il diretto il rapido fanno vibrare passando tutta la casa con vibrazioni
intense in proporzione della velocità, la casa sente le ossa,
si ascolta vibrare ed è un'improvvisa ruina, una sensazione
di ghiaccio e solitudine addosso alla Ragazza. Non c'è più
tempo, la Madre sorride e ascolta i treni, scantona dietro casa a
contemplare i binari lucidi sotto la luna crescente, afferra la lanterna
del Casellante, l'agita a lungo con speranza di fermare qualcuno,
ma non c'è proprio nessuno tranne il Casellante e l'Aiuto,
che lasciano fare, non così il cane che le abbaia contro e
reclama la sua parte con aria di voler operare nei termini d'un legittimo
bisogno fisiologico che lo arresta a spigoli o alberi o Madre o Ragazza
da troppo tempo immobili e pertanto facilmente equivocabili.
Si dà pure il caso di vedere ricomparire l'Ex-ragazzo, con
lui l'Infermiera Magra: non insieme però, distanziati dello
spazio di pochi giorni, anzi pochissimi, a suon di trombe d'argento
e angioli dorati. Si sono mossi da un pezzo. Prima l'Ex, meglio qualificato
da morbo più durevole e più attivo, solo in apparenza
guarito, carte regolari quanto al resto, di lui positivamente valutabili
ritmo cardiaco, colorito e defecazioni. Sottoposto a controllo medico
quotidiano, adocchia l'insieme, ne trae ogni possibile deducibilità,
s'arresta solo sul punto di percepire la preoccupazione dell'esito
finale. Sa benissimo che sebbene tutto sembri aggiustarsi, ricomporsi,
coordinarsi, ad un'analisi approfondita la realtà risulta abbastanza
diversa. Fuor di metafora l'Ex si avvia all'epilogo. Ma proprio questo
è il punto dove riemerge il simbolo erotico- sentimentale della
diciassettenne a testa in giù che gli voleva mostrare come
fosse brava a starei, a testa in giù contro la parete nel pigiama
azzurro con abile capriola e acrobazìa. E lui in poltrona a
contemplarla ma senza vero interesse, divertito da una parte, dall'altra
urtato, che fare non sapendo, quando a trarlo d'impaccio lei gl'indicò
il quadretto raffigurante un girotondo d'ombre attorno ad un albero
nero e in alto un globo non meno nero, la luna cioè, su sfondo
fino alla terra e alle ombre rosso. L'aveva dipinto lei e chiese se
lo trovava bello. Aggiunse anche d'aver paura a vivere sola in quella
casa dove la catenella dello scarico a volte sembrava qualcuno la
tirasse perché lo scroscio d'acqua la sorprendeva nel cuore
della notte e allora ficcava la testa sotto le coperte. Finì
molto ovviamente che le si stese accanto sul sommié. Il giorno
dopo lei insisteva per ripartire insieme con lui. Solo assai più
tardi ebbe a pentirsi di averla rifiutata. Ma è un accessorio
senza troppa importanza oggidì. Premono contingenze più
gravi, fra tutte maxime questo distacco repentino dopo l'inaudita
guarigione, peraltro fittizia se non mantenuta più durabilmente,
tanto l'hanno flagellato l'infelice Ex i suoi malanni ritornati che
lo spediscono senza remissione di sorta all'altro mondo salvo consolarlo
posi mortem di giovare alla scienza supino sopra il marmo d'un'aula
anatomica. Perciò di lui così sezionato, ovvero del
suo corpo risulta inutile racconciare le membra per addivenire a una
soddisfacente ricostruzione del tutto, ad una tale integrazione fisica
da permettere d'infilarlo entro una capsula che attraverso ben dosato
processo d'ibernazione lo affidi così tutto sano, questo obbediente
strumento della scienza, alla gloria dei posteri per saecula saeculorum.
Difatti gli riserbano tumulo di terra e soltanto la prece del passeggere
pietoso.
A suon di trombe e angioli dorati lo segue l'Infermiera Magra, pochi
giorni dopo, anzi pochissimi. Malazzata era, risaltava a prima vista.
Negli ultimi tempi strabuzzava spesso gli occhi restando senza fiato.
Un giorno chiede di vedere il mare, lei non nata sul mare. Il mare
le piace, questa immensa pianura senza querce e senza quadrupedi.
Dice: - Mettetemi in treno, ché vado al mare. Lì forse
respiro meglio. Appena venti minuti di treno. O in un'auto.
Le manca il fiato, la osservano ai raggi, affermano non essere nulla.
Naturalmente. Questo è il responso dei medici in genere quando
del "nulla" sovra tutti esiste quello che non c'è
più da fare. In compenso, date le circostanze, sorrisi e cioccolatini.
Treno o auto non appaiono ammissibili nonostante le ininterrotte insistenze.
Tanto si muore in un ritmo indifferente e vedere o no il mare non
riveste alcuna importanza.
Però delira e domanda: - I treni che portano al mare non sono
ancora in partenza?
Così trapassa. Le hanno praticato tutte le cure del caso tranne
quella di portarla al mare. Forse non s'è fatto in tempo. Sono
cose che accadono, di cui bisogna darsi pace. Poi i rumori della strada
non giungono più sino alla finestra e tutti, medici inservienti
infermiere, scendono allegramente a prendersi ciascuno il proprio
svago.
Il Giovane-polizza, tornato al silenzio, insiste in chiave retrospettiva
nel punto in cui si rinnova la paura di allora... quando? difficile
dire, ma ciò conta: riconquistare la casa di sempre, dove lo
sospinge desiderio e timore. Che possa di nuovo la donna ripetere
i gesti furtivi, la bestia notturna, la madre di figli piccolini,
e lui lì implacabile, in pugno la vecchia Beretta, lanciato
oramai all'avventura, ma il timore dentro, compresso, paura, terrore
di non trovarsi creatura viva di fronte, il mostro bensì, l'angue
morto e sepolto all'ombra degli antichi castagni, la chimera o la
fantasima o chi ti fissa dal fondo di fonde pupille e non ha volto
né bocca né naso né denti ma solo occhi: questo
vibrava terrore nel vivo dei muri e delle sue vene, voce strozzata
in gola, memoria d'incubi da ragazzo e gocciolìo di rubinetti,
sfriggere di fili elettrici idonei a corto circuito per soverchia
umidità e impianto fallimentare. S'è posto in viaggio
da tempo, ha salutato la Ragazza, la Madre, ha rivisto il Casellante,
l'Aiuto, ha carezzato il cane, ha ringraziato e promesso, ha saggiato
i treni, scrutato il cielo, chiesto lumi a varie agenzie, compulsati
tutti gli orari e deciso alla fine che a partire va bene qualunque
treno e qualsiasi ora. Frattanto il buio si stenebra nel lucore di
stelle e satelliti, i volti si riaffacciano; ciononpertanto non cessa
la paura come del maggiolino posato sulla siepe, del millepiedi, di
gufi e civette. Continua in sogno la vecchia tiritera, ha visto il
dromedario verde, gli uccelli bianchi della malanotte, i dinosauri
dal passo solenne. Ha il coltello dalla parte del manico cioè
la pistola, almeno in tale circostanza non durabile né d'augurabile
durabilità: attende mentre lo sgocciolìo dei minuti
produce un'ansia prolungata e il gesto sofferto, complicato d'innumeri
implicanze, presenta il volto difficile d'un agguato dove non gli
altri ma lui sia l'agguatatore, insidioso e per l'imboscata passibile
di punizione. Certo lo inseguiranno, lo acciufferanno. Così
come dallo schermo il cane lupo latrava feroce e più spaventosamente
visibile sotto la luce intermittente e incrociata dei riflettori.
Egli però sta al sicuro, attende decifrando rumori suoni fruscìi
gorgoglìi, trattiene il respiro, ascolta il passo che incalza...
Ma inutile ripetere quella lunga sofferenza, dato che in fondo ad
altro non mira che ad un ritorno alla sua casa com'era. E' passato
per combinazione ai piedi della Bella Addormentata portandone un segno
dentro l'anima come altri che non conosce né immagina. Ravvisa
in ogni sua parte, alla luce dell'occidente, una donna che standosi
resupina ha la testa posata sul guanciale, la fronte ampia e prominente,
il naso grande e bello e sciolte le chiome e da ciascuna banda profluenti
siccome in dipinti d'altra età, il collo lungo e piacevole,
ritondo e ben fatto il seno e rilevato in conveniente misura, e il
resto della persona mollemente abbandonato in tutta la lunghezza e
quasi confuso tra le nebule dell'orizzonte e le cime declinanti. Dai
treni che passano-ripassano vederla è ancora possibile, indovinarne
le deserte ore di silenzio, di attesa attonita. Ma qualcosa deve accadere,
si aspetta, avverrà qualcosa, è proprio certo.
Non importa se gli occhi sono chiusi, al momento buono si spalancheranno.
I vecchi lampioni gialli lungo il fiume, proprio in fondo dove l'acqua
dolce si mesce con l'amara, testimonieranno il senso delle cose in
note modeste da ascoltarsi dentro e da reperire nel frastuono della
vita. Formula questi e simili pensieri il Giovane sapientemente oscillato
sull'ortoclinoscopio dietro una lastra premuta contro la cassa toracica;
una mano gli tende il bicchiere, ordina "bevi" nell'ombra
rossa d'una sfera a centro sala diagnostica, rivoltato d'ogni parte
dal suo nord al suo sud, all'est ed all'ovest (si leggono i punti
cardinali in questo libro aperto del suo corpo), scende la bianca
pozione a occupare ogni tubo e vi diffonde luminescenza, una pastosa
candida insipidezza gli cola per le fauci e il palato. Qui senza neppure
prendersi briga di laboriosi incartamenti burocratici potrebbe allogarsi
in un contenitore ibernante dopo gli abbiano ricucita la lacerazione
prodotta da calci e pugni quando, caduto per terra, aveva stretto
la testa fra le braccia chiuse a tenaglia e a punte di gomito.
Cammina infine convinto di poter operare il recupero. Specie ora che
ha sistemato tutto, onninamente a posto la coscienza e valutato il
passaggio dei treni, avendo richiesto non uno ma tanti biglietti utili
a riportarlo sulla strada maestra donde domina dall'alto il paese
e procede. Schiude il portone con cautela meravigliato di quel facile
rotare dopo tanti anni (la canzone è un'altra per la Ragazza
nello stesso istante dal disco che riversa immagini fragorose di ben
coltivato amore e volti-maschere ad ogni finestra, anche quelli definitivamente
mummificati dei due Direttori), si domanda quale storia di rovine
dovrà apparirgli, come di tutta la sua non lunga né
troppo dolorosa vicenda, ma imbarazzante sempre pel fatto di doverla
riassumere, potrà cogliere i sommi capi e con quale voce gli
parleranno intorno, se con quella del padre o di Colomba o d'una sorella,
se proprio sia vivere questo camminare e discorrere o soltanto sognare,
muovere un braccio con ritmo diverso dall'altro, fumare la pipa testa
all'ingiù, riflettendo i vecchi vetri il colore della luna
o delle stoppie incendiate. Certo bisogna raccomandarsi molta prudenza
giunti ai prodromi d'un rituale con fitto volo di farfalle presso
gerani rossi e altissimi girasoli. Nulla si può desumere tuttavia
di preciso stando all'incertezza dell'ora e a percezioni poco nitide,
ma sembra pietre sparse non ve ne siano né in grandi cumuli,
anzi ogni cosa disposta nell'ordine più perfetto che corrisponde,
di là dal portone dischiuso, a un silenzio accogliente dal
quale non c'è dubbio la casa debba sorgere intatta come quando
la prima volta - ma già non ricorda - ed ecco dalle stanze
interne la voce di Colomba lo esorta: - Entra. Ormai puoi entrare
anche tu.
(4 -fine)