Marzo 2000

GRUPPI SUI QUALI NON TRAMONTA MAI IL SOLE

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Chi potrà fermarli?
Alfredo Recanatesi  
 
 

 

 

La corsa al gigantismo ha già di per sé qualcosa di sconcertante. L’assunto è che con il mercato globale si formano imprese di grandezza adeguata alla sua dimensione, le quali, in concorrenza tra di loro, riescono a produrre beni e servizi a prezzi sempre più contenuti, con vantaggio per i consumatori. Questo assunto è corretto, e tutti possono già avvertirne i benefìci, fino a quando non giunge alle estreme conseguenze verso le quali sembra inesorabilmente avviato.

E’ patetico che qualcuno in Europa continui
a preoccuparsi del dominio che i serial televisivi di cultura e stampo americani hanno nei palinsesti delle nostre
televisioni.
 

Se il mercato globale spinge le aziende a concentrarsi per avere più forza finanziaria, più capacità di innovazione, più consistenti economie di scala con le quali prevalere sui concorrenti; e se questi sono costretti a reagire concentrandosi a loro volta in gruppi finanziari e produttivi sempre più grandi, il processo che con velocità crescente si è innescato da qualche anno a questa parte, negli Stati Uniti prima, e poi anche nel resto del mondo, tende inevitabilmente ad unificare ogni attività in una sola azienda “globale”. Quando saranno in due a spartirsi il mondo nella produzione di qualche bene o servizio, infatti, ogni ulteriore passo sulla via dell’innovazione richiederà investimenti tanto consistenti da poter essere affrontati solo unendo le loro forze, e quindi con un loro accordo di alleanza, se non proprio con una loro fusione.
Ma lo sconcerto non può che moltiplicarsi quando il processo investe la multimedialità. E’ patetico che qualcuno in Europa continui a preoccuparsi del dominio che i serial televisivi di cultura e stampo americani hanno nei palinsesti delle nostre televisioni. L’asperrima lotta per mettere proprie bandiere sugli sconfinati territori che la rete di Internet può coprire ha aspetti fin d’ora ben più preoccupanti. Prima che nelle leggi dell’economia, la sua logica trova sostegno nella psicologia delle masse. E’ infatti la lotta per attrarre ciascuno di noi, con portali sempre più sofisticati e accattivanti, in questo Paese delle meraviglie telematico – per il quale ci regalano l’accesso e i servizi e-mail, e ci regaleranno anche la connessione telefonica e poi, per chi ancora non lo avesse, anche il computer – per poi condurci per mano là dove a qualcuno converrà maggiormente che andiamo per cliccare ciò che ad arte, e allo scopo, ci verrà offerto.
La fusione tra Time Warner e America Online aggiunge a tutto questo l’informazione. Se già ai tempi della Guerra del Golfo fu avvertito il problema che tutto il mondo poteva essere informato solo attraverso gli occhi americani della CNN, ora quel problema rischia di estendersi a ben altri e più determinanti campi dell’informazione. Per tempestività e costi, l’informazione via Internet si imporrà sempre più, non solo raggiungendo direttamente il computer degli utenti finali, ma anche rifornendo radio, televisioni, giornali, che non potranno non venirne condizionati. La nascita di questi giganti che incorporano providers, Internet, agenzie di stampa, giornali, telegiornali, prospetta una riduzione progressiva della pluralità delle fonti di informazione e della specificità che i media hanno in funzione della loro tradizione, della loro cultura, della loro inclinazione politica.
Questi processi non possono essere fermati. Per molti altri aspetti, quand’anche fosse possibile, non sarebbe neppure opportuno farlo. E tuttavia è difficile poter accettare che essi finiscano per invadere tanto pesantemente le soggettività personali e nazionali. Sarebbe difficile accettarli, anche se l’Europa e l’Italia non registrassero l’abissale ritardo che segnano rispetto all’impetuoso dinamismo degli Stati Uniti.
E’ difficile accettare la sempre più evidente asimmetria che si va determinando tra aziende che attingono la dimensione per conquistare mercati ampi quanto l’intero mondo con insediamenti sui quali «non tramonta mai il sole», e poteri politici, ordinamenti, organismi di controllo rimasti alle dimensioni nazionali di cent’anni fa, e spesso anche più frazionate.
Anche se Bill Gates qualche fastidio dall’antitrust l’ha avuto, è facile prevedere che queste aziende globali, sempre più concentrate, finiranno per perdere ogni connotazione nazionale, diventare aziende del mondo, e insediarsi nei Paesi e con gli ordinamenti per loro più convenienti.
Presto o tardi anche il ferreo ordinamento americano dovrà fare i conti con il potere acquisito dai giganti della multimedialità, o addirittura della virtualità. E forse quello sarà il momento in cui cadranno gli ostacoli alla costituzione di un qualche potere politico, anch’esso globale, che possa cominciare a riequilibrare quello che vanno assumendo i grandi gruppi in genere, e quelli della comunicazione, dell’informazione e della multimedialità in particolare.

   
   
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