Il nostro dilemma per il Duemila
è chiaro:
o risolviamo
rapidamente
il problema
del deficit
pensionistico, oppure il Paese perderà
ancora terreno.
|
|
Un rallentamento americano che non arriva; una ripresa europea
che arriva con il contagocce; laumento dei prezzi del petrolio
che scatta allinsù; la crisi asiatica inaspettatamente
superata. Se cè una costante negli avvenimenti del
1999, questa è la continua sorpresa, il costante sconvolgimento
non sempre in senso negativo delle previsioni. Per
capire che cosa ci aspetta nel Duemila, è bene rendersi conto
in dettaglio di che cosa è successo. Una spiegazione convincente,
secondo noi, è contenuta nello schema che presentiamo.

Il rialzo azionario negli Stati Uniti, che da soli pesano per più
della metà della capitalizzazione borsistica mondiale, è
il punto di partenza di questo schema interpretativo. Per il modo
in cui è fatta la società americana, questo rialzo
ha provocato un aumento di consumi e di investimenti: gli americani,
per tradizione e per cultura, tendono a trasformare subito in acquisti
gli incrementi di ricchezza finanziaria personale. E le imprese
hanno aumentato gli investimenti, anche sullonda dellottimismo
che si è creato.
Le dimensioni del mercato americano stanno pertanto crescendo in
maniera impressionante. Una crescita del 3 per cento nel 1999 implica
6-700 mila miliardi in più di domanda; il che significa che
la domanda aggiuntiva del 99 della Repubblica Stellata è
pari almeno alla domanda complessiva di uneconomia come quella
australiana. Si può calcolare che le importazioni siano aumentate
di oltre 200 mila miliardi, per uneconomia che è già
prossima al massimo dei giri e le cui capacità produttive
sono pressoché sature. A beneficiare di questo polmone sono
stati soprattutto i Paesi asiatici colpiti dalla crisi del 1997-98,
che avevano molto bisogno di esportare. Le loro monete erano state
svalutate, i loro prezzi erano bassissimi, pertanto hanno incassato
e hanno ricominciato a pagare i loro debiti a breve che li avevano
gettati sul lastrico. La stessa cosa, con intensità minore,
è accaduta per i Paesi latino-americani. Il miglioramento
ha contribuito al rilancio, originato in parte da cause interne,
delleconomia giapponese.
Due focolai di tensione
in un sistema più vulnerabile
Le esportazioni a basso costo contribuiscono a tenere a freno linflazione
americana, ma ne alzano il deficit commerciale, ormai non troppo
lontano da un miliardo di dollari al giorno, domeniche escluse.
Il deficit è finanziato da afflussi di capitali, ansiosi
di andare a investirsi in quella terra dorata della crescita continua,
dove la disoccupazione è bassa, ma i rendimenti dei capitali
sono molto elevati. E così la Borsa ha continuato a salire,
gli strappi della crisi si sono ricuciti, e il circolo virtuoso
continua.
Si determinano, però, due focolai di tensione: il primo è
il deficit estero degli Stati Uniti, ormai di proporzioni allarmanti.
Anche se nessuna crisi appare imminente, è chiaro che non
potrà continuare a salire così. Il secondo è
la tensione inflazionistica che si diffonde nel mondo attraverso
gli aumenti di prezzo del petrolio e delle materie prime: secondo
noi, il mondo farà registrare uno 0,5-1 per cento in più,
il che, però, non ci pare una tragedia. Ma ce nè
anche un terzo, più generale: è la vulnerabilità
del sistema al possibile venir meno della tendenza rialzista, o,
quanto meno, a un ribasso improvviso di Wall Street, che si ripercuoterebbe
a valanga, trasformando il circolo virtuoso in disastroso.
LItalia
pensionata della storia?
E questa la situazione che sia la Federal Reserve sia la
Banca Centrale Europea hanno cercato di affrontare con una mossa
preventiva antinflazione, sperabilmente non di portata tale da danneggiare
le prospettive di crescita; e i governi europei si muovono nella
stessa direzione, con leggi finanziarie di cautissima riduzione
di imposte e di incentivazione alla crescita, e con riforme che
allargano i mercati. La prospettiva più ottimistica è
quella di un rallentamento della velocità di crescita americana
e di un contemporaneo aumento della crescita europea, in modo da
dare origine a un mondo più equilibrato, in cui anche il
Giappone trovi davvero la via dellespansione.
Al di là delle diatribe tecnico-politiche sulle pensioni
e sulla Finanziaria, le prospettive italiane in questo quadro mostrano
unaggravante notissima: il ritardo italiano. Il dibattito
politico ha identificato nella spesa pensionistica il principale
fattore di questo ritardo. E va anche detto che se negli anni 90
lItalia fosse cresciuta come gli altri Paesi delleuro,
oggi ci sarebbe un milione circa di occupati in più e quasi
non avremmo il problema dei giovani senza lavoro.
Lanalisi, purtroppo, ci sembra corretta. Le pensioni rappresentano
il punto di intreccio tra politica ed economia, con un risvolto
istituzionale (il Parlamento dovrebbe avere un ruolo maggiore, il
sindacato ha un ruolo eccessivo in questo dibattito). E il nostro
dilemma per il Duemila è chiaro: o risolviamo rapidamente
il problema del deficit pensionistico, oppure il Paese perderà
ancora terreno. E si appresterà a diventare un pensionato
della storia.
Quale ripresa nel Duemila
Un anno opaco ha concluso un decennio (insieme col secolo e col
millennio) con tratti talvolta addirittura drammatici (la svalutazione
del 92, il lungo purgatorio successivo), talvolta esaltanti
(la felice rincorsa allUnione monetaria). E tuttavia si è
parlato «di una certa piccola ripresa». Ma quali sono
le caratteristiche di questa ripresa alquanto evanescente e persino
difficilmente afferrabile? Questa: tutta la crescita è ancora
dovuta alla spinta (peraltro assai moderata) della produzione industriale,
che mostra una discreta variazione positiva da diversi mesi, pur
essendo partita da livelli bassi. Questa spinta pare associabile
soprattutto a una ripresa degli investimenti, legati anche al denaro
a buon prezzo (sebbene le ultime decisioni della Banca Centrale
Europea abbiano guastato un poco questo abbozzo di festa); forse
anche alle esportazioni, con il superamento della crisi asiatica
e con la maggiore disponibilità finanziaria dei Paesi esportatori
di petrolio, generalmente nostri buoni clienti. Si comincia a sentire
un venticello in qualche modo favorevole, mentre sono tuttora in
stand-by i consumi. Per quale motivo?
Pur essendoci un modestissimo incremento delle retribuzioni reali,
i redditi da capitale fisso in cui gli italiani hanno impiegato
i loro risparmi languono, e le plusvalenze sono assai scarse, data
la diminuzione sia dei corsi obbligazionari sia di molti dei valori
azionari del listino ufficiale di Milano.
Come nel 1997-98, la ripresa viene quindi innescata dalla partenza
della produzione industriale, che allora reagì positivamente
(anche se con un certo ritardo) al basso valore della lira e a misure
interne di stimolo, come gli incentivi fiscali al settore automobilistico.
Questa volta le basi della ripresa industriale sembrano un po
meno occasionali e un po più solide, anche se non necessariamente
più brillanti. Ci sono, infatti, quattro elementi che ci
fanno ben sperare:
1) il recupero italiano non è uno spunto isolato,
ma è tutta la produzione di Eurolandia che si sta muovendo.
A dirla tutta, dunque, è lEuropa che ci sta trascinando.
2) Il profilo dellindicatore di fiducia dei consumatori è
nuovamente in salita, dopo una pausa durata circa un anno, e si
può ragionevolmente pensare che la ripresa si diffonda anche
nei settori dei beni di consumo, sebbene sia abbastanza difficile
stimare lintensità di questo movimento.
3) I conti italiani con lestero mostrano un saldo di bilancia
commerciale in deterioramento. Ma ciò è dovuto, in
realtà, allaumento della bolletta petrolifera, che
maschera i risultati sicuramente discreti delle nostre esportazioni.
4) Infine, il motore delledilizia si sta scaldando, sotto
leffetto congiunto degli incentivi e dei bassi tassi di interesse.
Non ci sono veri e propri boom in vista, ma intanto gli investimenti
in costruzioni stanno crescendo, soprattutto grazie alle ristrutturazioni
e alle manutenzioni.
Allora: è tempo di congratulazioni? Certamente no. E
piuttosto tempo di auguri, ma auguri sommessi, quasi sottovoce,
perché se la pianta della ripresa italiana è cagionevole,
le analoghe piante dei vicini appaiono più robuste e più
verdi, soprattutto quelle spagnole e francesi, per non parlare dei
fenomeni irlandesi, danesi, finlandesi, che sono tutta la nostra
invidia. Al confronto, la parola declino si è
solidamente impiantata nel nostro dibattito economico.
|