Marzo 2000

IL MONDO RISCHIA, MA VA FORTE

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Un gran Duemila
Roberto Bersani
 
 

 

Il nostro dilemma per il Duemila
è chiaro:
o risolviamo
rapidamente
il problema
del deficit
pensionistico, oppure il Paese perderà
ancora terreno.

 

Un rallentamento americano che non arriva; una ripresa europea che arriva con il contagocce; l’aumento dei prezzi del petrolio che scatta all’insù; la crisi asiatica inaspettatamente superata. Se c’è una costante negli avvenimenti del 1999, questa è la continua sorpresa, il costante sconvolgimento – non sempre in senso negativo – delle previsioni. Per capire che cosa ci aspetta nel Duemila, è bene rendersi conto in dettaglio di che cosa è successo. Una spiegazione convincente, secondo noi, è contenuta nello schema che presentiamo.

Il rialzo azionario negli Stati Uniti, che da soli pesano per più della metà della capitalizzazione borsistica mondiale, è il punto di partenza di questo schema interpretativo. Per il modo in cui è fatta la società americana, questo rialzo ha provocato un aumento di consumi e di investimenti: gli americani, per tradizione e per cultura, tendono a trasformare subito in acquisti gli incrementi di ricchezza finanziaria personale. E le imprese hanno aumentato gli investimenti, anche sull’onda dell’ottimismo che si è creato.
Le dimensioni del mercato americano stanno pertanto crescendo in maniera impressionante. Una crescita del 3 per cento nel 1999 implica 6-700 mila miliardi in più di domanda; il che significa che la domanda aggiuntiva del ‘99 della Repubblica Stellata è pari almeno alla domanda complessiva di un’economia come quella australiana. Si può calcolare che le importazioni siano aumentate di oltre 200 mila miliardi, per un’economia che è già prossima al massimo dei giri e le cui capacità produttive sono pressoché sature. A beneficiare di questo polmone sono stati soprattutto i Paesi asiatici colpiti dalla crisi del 1997-98, che avevano molto bisogno di esportare. Le loro monete erano state svalutate, i loro prezzi erano bassissimi, pertanto hanno incassato e hanno ricominciato a pagare i loro debiti a breve che li avevano gettati sul lastrico. La stessa cosa, con intensità minore, è accaduta per i Paesi latino-americani. Il miglioramento ha contribuito al rilancio, originato in parte da cause interne, dell’economia giapponese.

Due focolai di tensione
in un sistema più vulnerabile

Le esportazioni a basso costo contribuiscono a tenere a freno l’inflazione americana, ma ne alzano il deficit commerciale, ormai non troppo lontano da un miliardo di dollari al giorno, domeniche escluse. Il deficit è finanziato da afflussi di capitali, ansiosi di andare a investirsi in quella terra dorata della crescita continua, dove la disoccupazione è bassa, ma i rendimenti dei capitali sono molto elevati. E così la Borsa ha continuato a salire, gli strappi della crisi si sono ricuciti, e il circolo virtuoso continua.
Si determinano, però, due focolai di tensione: il primo è il deficit estero degli Stati Uniti, ormai di proporzioni allarmanti. Anche se nessuna crisi appare imminente, è chiaro che non potrà continuare a salire così. Il secondo è la tensione inflazionistica che si diffonde nel mondo attraverso gli aumenti di prezzo del petrolio e delle materie prime: secondo noi, il mondo farà registrare uno 0,5-1 per cento in più, il che, però, non ci pare una tragedia. Ma ce n’è anche un terzo, più generale: è la vulnerabilità del sistema al possibile venir meno della tendenza rialzista, o, quanto meno, a un ribasso improvviso di Wall Street, che si ripercuoterebbe a valanga, trasformando il circolo virtuoso in disastroso.

L’Italia
pensionata della storia?

E’ questa la situazione che sia la Federal Reserve sia la Banca Centrale Europea hanno cercato di affrontare con una mossa preventiva antinflazione, sperabilmente non di portata tale da danneggiare le prospettive di crescita; e i governi europei si muovono nella stessa direzione, con leggi finanziarie di cautissima riduzione di imposte e di incentivazione alla crescita, e con riforme che allargano i mercati. La prospettiva più ottimistica è quella di un rallentamento della velocità di crescita americana e di un contemporaneo aumento della crescita europea, in modo da dare origine a un mondo più equilibrato, in cui anche il Giappone trovi davvero la via dell’espansione.
Al di là delle diatribe tecnico-politiche sulle pensioni e sulla Finanziaria, le prospettive italiane in questo quadro mostrano un’aggravante notissima: il ritardo italiano. Il dibattito politico ha identificato nella spesa pensionistica il principale fattore di questo ritardo. E va anche detto che se negli anni ‘90 l’Italia fosse cresciuta come gli altri Paesi dell’euro, oggi ci sarebbe un milione circa di occupati in più e quasi non avremmo il problema dei giovani senza lavoro.
L’analisi, purtroppo, ci sembra corretta. Le pensioni rappresentano il punto di intreccio tra politica ed economia, con un risvolto istituzionale (il Parlamento dovrebbe avere un ruolo maggiore, il sindacato ha un ruolo eccessivo in questo dibattito). E il nostro dilemma per il Duemila è chiaro: o risolviamo rapidamente il problema del deficit pensionistico, oppure il Paese perderà ancora terreno. E si appresterà a diventare un pensionato della storia.

Quale ripresa nel Duemila

Un anno opaco ha concluso un decennio (insieme col secolo e col millennio) con tratti talvolta addirittura drammatici (la svalutazione del ‘92, il lungo purgatorio successivo), talvolta esaltanti (la felice rincorsa all’Unione monetaria). E tuttavia si è parlato «di una certa piccola ripresa». Ma quali sono le caratteristiche di questa ripresa alquanto evanescente e persino difficilmente afferrabile? Questa: tutta la crescita è ancora dovuta alla spinta (peraltro assai moderata) della produzione industriale, che mostra una discreta variazione positiva da diversi mesi, pur essendo partita da livelli bassi. Questa spinta pare associabile soprattutto a una ripresa degli investimenti, legati anche al denaro a buon prezzo (sebbene le ultime decisioni della Banca Centrale Europea abbiano guastato un poco questo abbozzo di festa); forse anche alle esportazioni, con il superamento della crisi asiatica e con la maggiore disponibilità finanziaria dei Paesi esportatori di petrolio, generalmente nostri buoni clienti. Si comincia a sentire un venticello in qualche modo favorevole, mentre sono tuttora in stand-by i consumi. Per quale motivo?
Pur essendoci un modestissimo incremento delle retribuzioni reali, i redditi da capitale fisso in cui gli italiani hanno impiegato i loro risparmi languono, e le plusvalenze sono assai scarse, data la diminuzione sia dei corsi obbligazionari sia di molti dei valori azionari del listino ufficiale di Milano.
Come nel 1997-98, la ripresa viene quindi innescata dalla partenza della produzione industriale, che allora reagì positivamente (anche se con un certo ritardo) al basso valore della lira e a misure interne di stimolo, come gli incentivi fiscali al settore automobilistico.
Questa volta le basi della ripresa industriale sembrano un po’ meno occasionali e un po’ più solide, anche se non necessariamente più brillanti. Ci sono, infatti, quattro elementi che ci fanno ben sperare:
1) il recupero italiano non è uno spunto “isolato”, ma è tutta la produzione di Eurolandia che si sta muovendo. A dirla tutta, dunque, è l’Europa che ci sta trascinando.
2) Il profilo dell’indicatore di fiducia dei consumatori è nuovamente in salita, dopo una pausa durata circa un anno, e si può ragionevolmente pensare che la ripresa si diffonda anche nei settori dei beni di consumo, sebbene sia abbastanza difficile stimare l’intensità di questo movimento.
3) I conti italiani con l’estero mostrano un saldo di bilancia commerciale in deterioramento. Ma ciò è dovuto, in realtà, all’aumento della bolletta petrolifera, che maschera i risultati sicuramente discreti delle nostre esportazioni.
4) Infine, il motore dell’edilizia si sta scaldando, sotto l’effetto congiunto degli incentivi e dei bassi tassi di interesse. Non ci sono veri e propri boom in vista, ma intanto gli investimenti in costruzioni stanno crescendo, soprattutto grazie alle ristrutturazioni e alle manutenzioni.

Allora: è tempo di congratulazioni? Certamente no. E’ piuttosto tempo di auguri, ma auguri sommessi, quasi sottovoce, perché se la pianta della ripresa italiana è cagionevole, le analoghe piante dei vicini appaiono più robuste e più verdi, soprattutto quelle spagnole e francesi, per non parlare dei fenomeni irlandesi, danesi, finlandesi, che sono tutta la nostra invidia. Al confronto, la parola “declino” si è solidamente impiantata nel nostro dibattito economico.

   
   
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