Nella piccola Silicon Valley
milanese
si moltiplicano
i lavori in Rete, mentre, per la prima volta nella storia delle
imprese italiane, lUniversità
si rivela incubatrice di imprese.
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Nei soli Stati Uniti, allinizio del secolo, esistevano almeno
duemila imprese che fabbricavano automobili e autocarri. Oggi sono
rimaste in meno delle dita di una mano e, nellintero arco
della loro esistenza, non hanno prodotto utili straordinari. Negli
ultimi ventanni, sempre negli Stati Uniti, sono fallite ben
129 compagnie aeree e, fino a tutto il 92, il totale algebrico
degli utili prodotti in questo settore dallinizio della storia
dellaviazione era pari a zero. Da queste cifre si ricava una
morale: non è affatto detto che i settori a più alta
espansione siano i più redditizi. E si spiega così
la battuta di Warren Buffet, designato investitore del secolo
da un referendum tra gli operatori di Wall Street, a proposito del
boom di Internet: «Se fossi stato presente al primo volo dei
fratelli Wright avrei abbattuto laereo. Per il bene degli
investitori...».
Queste parole di un finanziere di enorme successo sono una doccia
fredda nei giorni dellapparente follia dei mercati, ben descritta
da alcuni esempi americani (senza dunque tener conto della corsa
del nuovo mercato italiano, dove di Internet molto si parla, ma,
con leccezione di Tiscali, poco o niente si vede). Basti pensare
che una nuova società, la Syara System, è stata acquistata
per 4,3 miliardi di dollari prima di fare un dollaro di fatturato;
che un marchio, Business.Com, registrato per 70 dollari un paio
di anni fa, è stato rivenduto per 7,5 milioni di dollari;
che Buy.Com, lazienda che si vanta di vendere ai prezzi più
bassi del mondo, costantemente in perdita (secondo The Economist,
«è tecnicamente impossibile che consegua un profitto»),
è andata in Borsa a peso doro.
Cè del metodo in questa follia? E visto che di follia
probabilmente si tratta, vuol dire che Internet sarà un fallimento?
Proprio no. Basti pensare che, negli stessi giorni in cui Buffet
faceva il commento che abbiamo riportato, Ford e General Motors
annunciavano di trasferire le proprie operazioni di acquisto su
Internet, scegliendo rispettivamente come partner Oracle,
leader nei database, e Commerce One, una software house
in rapidissima crescita. Per Ford si tratta di far correre su Internet
80 miliardi di dollari di affari in componentistica e semilavorati,
coinvolgendo oltre trentamila fornitori; la casa di Detroit intende
consigliare (non obbligare, si sottolinea) il suo indotto ad operare
soltanto attraverso il suo portale. Il giro daffari, in tal
caso, potrebbe salire ancora molto, poiché Oracle
prevede di attrarre altri produttori automobilistici e di raggiungere
i 200 miliardi di dollari. La strategia di General Motors, invece,
è di costruire subito un circuito, il Global Trading
Web, dotato di proprio software, che si proponga come network
mondiale di commercio elettronico business-to-business.
Lingresso sulla scena dei colossi americani segna un salto
di qualità della new economy. E richiama il caustico
commento di Lou Gerstner, numero uno della Ibm: il frenetico agitarsi
di migliaia di piccole imprese informatiche (le cosiddette imprese
dot.com, dalla designazione dei loro siti) ricorda quello
delle lucciole prima del temporale. Non è in alcun modo paragonabile
alla rivoluzione che verrà quando le grandi imprese utilizzeranno
davvero la forza di Internet, prima di tutto per trasformare se
stesse.
Sempre nello stesso torno di tempo, ad Harvard, il presidente e
numero due di Microsoft, Steve Ballmer, in un incontro dellindustria
americana sugli scenari del commercio ha dichiarato: «La nostra
strategia? Mettiamo una sera del 2005. Sono a casa, guardo una partita
alla tv. Quando vedo una bella presa di Tiger Woods, dico al mio
amico David: ehi, hai visto che roba?». Piccola pausa, e poi:
«Tutto normale, salvo che il mio amico David sta a Oakmont,
a centinaia di chilometri da me. Posso comunicare con lui cliccando
su un angolo dello schermo, continuando a guardare la partita».
Tra pochi anni, insomma, Internet potrà essere raggiunta
in mille modi: televisori, personal computer, telefonini e appositi
software che creeranno unofferta personalizzata di servizi
oggi pressoché impensabile.
Mentre lopinione pubblica guarda agli aspetti più
clamorosi della febbre da Internet (il boom di Borsa, appunto),
la Grande Rete raggiunge letà adulta. Fino a questo
momento ha significato soprattutto accumulo di informazioni, ed
è stata un mezzo di comunicazione, via posta elettronica
e chat lines. Lingresso delle grandi imprese industriali e
le nuove strategie di Microsoft cambiano radicalmente lo scenario:
in futuro sarà multimedialità, personalizzazione e
collegamento di comunità, con lobiettivo principale
del commercio elettronico.
Per spingere la gente a comprare via Internet, infatti, occorre
personalizzare lofferta, stabilire criteri precisi per migliorare
il rapporto tra visite elettroniche e acquisti, esaltare le potenzialità
dei vari negozi elettronici, tutti aspetti finora sviluppati
da protagonisti piccoli/medi o da pionieri, tipo Yahoo!,
sganciati dalle logiche del grande business. I grandi gruppi hanno
finora evitato un settore minato, dove un conto è aprire
un sito, una sorta di bandiera aziendale, ben altro è impegnarsi
nel commercio, che rischia di cannibalizzare reparti analoghi dellimpresa.
Ford e General Motors lo hanno fatto sotto la pressione di organizzazioni
di dealers che stavano occupando spazi vitali nella
vendita di automobili sulla Grande Rete; e lo stesso accadrà
in altri settori.
Quanto sta avvenendo sul mercato americano è destinato a
ripetersi, con varianti, anche in Italia. Dallestate scorsa
landamento dei contatti sui principali motori di ricerca
mostra un incremento sensibile, a dimostrazione che clientela privata
e famiglie stanno superando lutenza affari. Nella piccola
Silicon Valley milanese si moltiplicano i lavori in Rete, mentre,
per la prima volta nella storia delle imprese italiane, lUniversità
si rivela incubatrice di imprese. Provengono infatti dallUniversi-tà
i pionieri di Etno.team (dove è presente Soros) e di I.net
(partecipata da British Telecom) o la Cineca di Bologna, consorzio
di 14 atenei italiani che ha varato Nextra.
Bocconi, Politecnico e Mediobanca, intanto, hanno creato un fondo
venture capital, e vi sono numerose iniziative analoghe.
Qualche società comincia ad affrontare lestero: è
il caso di Vitaminica, sito attivo nella vendita di musica in rete,
che ha avviato una massiccia campagna pubblicitaria sui principali
mercati mondiali. Qualcosa si muove, insomma, anche se finora con
minore aggressività di quella desiderabile. Comunque, è
venuto il momento di agire. Non basta lamentare lassenza di
titoli da offrire a una clientela affamata di aziende Internet.
Perché le banche non mandano qualche talent scout nelle software
houses di Israele, per esempio? Troppo facile limitarsi a replicare,
nei vari fondi, i consigli di Merril Lynch o di Goldman Sachs...
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