Marzo 2000

EURO DUEMILA

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Più poteri
alla Banca europea
Paolo Savona
 
 

 

 

 

 

 

L’avere forzato
la convergenza di economie diverse ha creato e mantenuto condizioni
di depressione
dell’attività
economica in vaste aree di Eurolandia, Italia compresa.

 

L’euro ha compiuto il suo primo anno di vita. I primi vagiti non sono stati promettenti, e i secondi sono stati addirittura preoccupanti. I governi e i banchieri centrali non hanno certo peccato di prudenza continuando ad esaltare la nuova moneta e a ripetere che l’euro era una valuta forte, proprio mentre continuava a deprezzarsi, commettendo un errore abbastanza consueto tra i primi, ma non tra i secondi: quello di ritenere che le dichiarazioni possano sostituire la realtà. Essi si possono consolare affermando che gli esperti non sono stati da meno, avendo sostenuto, ancora a fine anno, che l’euro sarebbe tornato in breve tempo al suo valore iniziale e forse lo avrebbe anche superato. Invece, dopo aver registrato una perdita prossima al 15 per cento, l’euro si è messo a oscillare attorno al valore di un dollaro.
La spiegazione che viene ripetuta è che ciò dipende dalla bassa crescita di Eurolandia e quando questa eguaglierà quella degli Stati Uniti l’euro si riprenderà e tornerà al suo valore originario di 1,16 volte il dollaro. Il problema, cioè, giace fuori e non dentro l’euro. Sotto accusa sono ancora il mercato del lavoro e i bilanci pubblici, questi ultimi dal lato della troppa spesa (soprattutto pensionistica) e da quello dell’eccessiva pressione fiscale. Questi due fattori concorrono certamente a spiegare la debolezza dell’euro, ma il terreno di coltura della sua crescita conta altrettanto.
L’avere infatti forzato la convergenza di economie diverse – e, quindi, divergenti – attraverso la rincorsa al rispetto dei cinque parametri di Maastricht ha creato e mantenuto condizioni di depressione dell’attività economica in vaste aree di Eurolandia, Italia compresa. L’avere inoltre creato un’anomalia istituzionale come la Banca Centrale europea di Francoforte, dotata di poteri parziali, senza un riferimento politico forte e vincolata a seguire una teoria dell’inflazione (che tale resta), invece che adattarsi alla realtà delle cose (come fa il “governatore” americano Greenspan) trasforma il problema in un fatto interno alla gestione dell’euro.

Il mancato riconoscimento di questa insufficienza istituzionale, testimonianza di miopia politica dell’Europa, ha creato le condizioni per il deprezzamento della nuova moneta e i mercati internazionali – grandi fiutatori e sfruttatori di debolezze – l’hanno puntualmente registrato. Se insieme alla soluzione del problema pensionistico e dell’eccessiva pressione fiscale, si ponesse mano anche al miglioramento dell’istituzione monetaria europea e si correggesse la sua politica, soprattutto l’atteggiamento sconsiderato in materia di cambio estero, l’idea dell’euro come elemento di riequilibrio del disordine monetario internazionale (perché di disordine si tratta) riprenderebbe vigore ed emergerebbe la validità della tesi di coloro i quali hanno sempre raccomandato prudenza nell’avvio dell’importante esperimento politico: perché fare male ciò che può essere fatto bene?
L’obiettivo è alla portata dell’Europa, ma come insegna la storia monetaria del mondo, occorre passare attraverso la comprensione di quali siano i veri aspetti del problema. Da questa condizione siamo ancora molto lontani.

   
   
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