Marzo 2000

TEMPI MODERNI

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Dalle idee alle riforme
Napoleone Colajanni
 
 

 

 

 

 

 

Senza una
rimeditazione della funzione dello Stato non potremo avere un sistema
finanziario
all’altezza della sfida mondiale.

 

Di riforme il Paese ha bisogno. Ci sarà pure una ragione se siamo sistematicamente alla coda della crescita in Europa, se la nostra percentuale di investimenti sul Pil è tra le più basse e, per passare alle istituzioni, se la nostra giustizia produce le drammatiche assurdità che stanno sotto gli occhi di tutti. Senza un cambiamento che vada in profondità non si cambiano strutture economiche inadeguate, come quelle che consentono di controllare la maggiore impresa d’Italia, per di più in un servizio delicatissimo come le telecomunicazioni, con un impegno personale di una decina di miliardi. Senza una rimeditazione della funzione dello Stato che rafforzi e riqualifichi ma non indebolisca il suo intervento, non potremo avere un sistema finanziario all’altezza della sfida mondiale o un livello adeguato di ricerca e di sviluppo, dove siamo tra gli ultimi.
Di riforme vere e non di quiz per insegnanti ha bisogno l’istruzione, dove nell’Ocse siamo superiori solo alla Turchia per la spesa in rapporto al reddito. Nelle finanze abbiamo bisogno di rivedere tutta l’imposizione sul reddito d’impresa e non di un federalismo fiscale che, inteso com’è, porterà ineluttabilmente ad un aumento della pressione tributaria.
Senza riforme non c’è sviluppo e senza sviluppo imprenditorialità e sindacati continueranno ad essere quello che sono, muovendosi tra corporativismo e massimalismo. Le stesse questioni del lavoro che non possono essere risolte con l’ascia del referendum potrebbero essere affrontate ben altrimenti nel quadro di una politica che puntasse decisamente allo sviluppo.
E se i processi durano fino a consentire a detenuti scarcerati di rimettersi immediatamente a delinquere per essere arrestati il giorno dopo ci sono certamente responsabilità dello Stato che non riesce ad aumentare il numero dei magistrati e responsabilità dei giudici. Anche qui ci sarà pure una ragione se la magistratura rischia sempre più di diventare un corpo chiuso e separato. Riformare significa introdurre principii nuovi, come potrebbe essere un’effettiva responsabilità del giudice, e aprire il chiuso del corpo all’ingresso di nuove forze.
Finora abbiamo avuto soltanto interventi al margine, non riforme. Il risanamento dei conti pubblici è un intervento al margine, una condizione necessaria. E per andare verso le riforme occorre liberarsi da pregiudizi, demagogie e tatticismi. L’applicazione reale del principio del giusto processo è una necessità del Paese, non una concessione agli avversari politici.

Il presidente del Consiglio ha ragione quando dice che le riforme «suscitano resistenze, mobilitano forze contrarie», e quindi occorre mobilitare le forze a favore. Ma per questo bisogna risolvere due questioni politiche. Bisogna sapere che uno schieramento riformatore per essere ampio deve essere fondato su un compromesso reale tra le anime del riformismo che sono molteplici, e per questo dev’essere realizzato su contenuti, non sulle frasette delle interviste o dei discorsi, e meno che mai sulla convergenza nell’opposizione agli avversari. E poi occorre avere una forza organizzata che dibatta, convinca, orienti, sappia andare contro corrente quando è necessario e che sappia ritrovarsi sul campo, non ad ascoltare Sting e ad applaudire i capi.
L’Italia ha bisogno di un partito riformista serio e in questo la funzione della battaglia delle idee è decisiva. C’è da augurarsi che quanti hanno qualcosa da dire sappiano dirla senza conformismi, tanto più che oggi nessuno chiede di andare a distribuire volantini.

   
   
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