Marzo 2000

POLITICA MERIDIONALISTICA

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Rimorte illusioni
Roberto Cassinelli
 
 

 

 

 

 

 

Di fronte a tutto questo, è rimorta
la speranza del Sud
di vedere scalfita
la distanza ormai
siderale che lo
separa dal resto
del Paese.
Speranza ancora una volta sinonimo
di illusione.

 

“Sviluppo Italia” è nata il 9 gennaio 1999, come somma di due società in una superholding che avrebbe dovuto affrontare i problemi del Mezzogiorno d’Italia con una moderna ingegneria finanziaria in grado di incentivare lavoro e occupazione, alla maniera di quanto si è verificato, ad esempio, in Spagna e in Irlanda, aree europee che stanno registrando livelli di sviluppo delle rispettive aree depresse da noi semplicemente impensabili. Dopo un lungo periodo di impudico silenzio, durante il quale sembrava essere perfino proibito pronunciare i nomi propri delle latitudini meridionali, con “Sviluppo Italia” ci si proponeva di realizzare il massimo di fantasia creativa e il massimo di strategia operativa per disancorare il Sud e i meridionali dal loro fuso orario, per portarli dapprima in Italia e subito dopo in Europa.
Meno di un anno dopo, il bilancio di fantasia e di strategia ha confuso le idee di quanti si interessano ancora (sparsi e dispersi superstiti) al problema meridionale. Questi, infatti, sono i dati dell’attività della società pubblica:

– accordo con il Thtidc Torch High Technology Industry Development Center per la realizzazione di parchi scientifici in Cina;
– investimento nel parco marino “Le navi”, di Cattolica, gestito dalla genovese famiglia Costa, per la promozione del turismo sulla riviera adriatica;
– stanziamento di 80 miliardi alla “Granarolo Felsinea”, che ha sede a Bologna e produce latte in tutto il Nord;
– finanziamento a favore dello stabilimento “Aia” di San Martino Buonalbergo, in quel di Verona, 77 miliardi per potenziare gli allevamenti di polli;
– stanziamento di 476 miliardi per collaborazione col Centro di biotecnologie avanzate di Genova, che fino a questo momento ha dato in cambio una conferenza stampa che si terrà presumibilmente nel prossimo mese di maggio;
– finanziamento di un’indagine intitolata “Zenit 2000”, che consisterà «nel chiedere che cosa c’è dietro l’angolo» a venti superesperti, fra i quali il giudice Giancarlo Caselli e la regista Lina Wertmüller;
– intervento nel capitale della Synthesis, ex Olivetti Synthesis, settore arredamenti per uffici, radicata sostanzialmente nelle regioni del Nord;
– 14 miliardi per un “intervento di potenziamento” della “Nuova Campari SpA”, settore macellazione delle carni, ubicata a San Martino in Rio, provincia di Reggio Emilia.

E’ stato dunque inventato il Mezzogiorno padano? Oppure, a nostra insaputa, l’Italia si è capovolta? Per il Sud tradizionale, infatti, “Sviluppo Italia” ha messo in moto una geniale macchina da guerra in grado di cancellare una volta per tutte gli annosi problemi che assillano quella terra: 36 miliardi (ma destinati alla Legacoop, che meridionale proprio non è) perché si rilevi un impianto di carpenteria metallica in Sardegna; da 60 a 70 miliardi perché la Sicilia diventi la capitale del golf, con una quindicina di campi che migliaia di famiglie potranno frequentare per darsi un tono e per dare un nome alla loro fame; un miliardo e mezzo per la creazione di due (proprio così: due!) posti di lavoro alla “Cuni Oasis” di Avellino, conigli da seme per inseminazione artificiale; cinque miliardi per cinque dipendenti della “Dili Protection” di Bovino, in provincia di Foggia, produzione di speculum vaginale monouso. I meridionali possono dormire sonni tranquilli: i problemi dell’occupazione sono risolutamente avviati a soluzione.

Di “Sviluppo Italia” facevano parte otto diversi enti: Itainvest, Ribs, Ig, Insud, Spi, Finagra, Ipi ed Enisud. Poi c’è stata l’indecifrabile defezione di Enisud, vagamente smentita in questi ultimi tempi. Infine, si sono registrate varie latitanze, sia pure intermittenti: quella di Confindustria prima delle altre, forse perché un minimo, ma proprio minimo di pudore deve conservarlo ancora.

Parole per una storia

«Meridionale, io sentivo che i miei conterranei, sempre delusi per la mancata attuazione delle promesse che erano state loro fatte, avrebbero particolarmente apprezzato la novità che si presentava con un nome, “Cassa”, il quale attestava da solo che questa volta c’erano i “denari”. De Gasperi, che si rendeva conto dello sforzo che nelle condizioni di allora lo Stato si apprestava a compiere, ebbe la preoccupazione che il nome attirasse troppe “cupidigie”, e incaricò Vanoni, perché aveva studiato con me il progetto, di trovare uno meno sonante. Gli disubbidimmo».
(Donato Menichella, Concretezza, 16 agosto 1964)

«E’ presto ora dire in quale forma ed in quale misura i lavoratori porteranno questo contributo. Io non lo so ancora.
Sarà un contributo sotto forma di una modesta percentuale sui salari, sotto forma di un lavoro supplementare che si farà per aiutare lo sviluppo economico della Nazione? Nell’uno o nell’altro modo i lavoratori sono pronti ad accollarsi questo sacrificio».
(Giuseppe Di Vittorio, Conferenza CGIL, 18-20 febbraio 1950)
«L’immagine del Mezzogiorno che più porto dentro di me è quella di una maestra elementare di Nuoro, Margherita Sanna, che incontrai in una delle nostre ricorrenti peregrinazioni nell’isola. Ricordo il fervore con cui descriveva, quasi come una novella Grazia Deledda, le donne sarde vestite di nero che facevano a piedi tre o quattro chilometri al giorno per andare a raccogliere l’acqua sui greti dei fiumi. La Cassa ha portato l’acqua nelle case dei sardi e, forse, questo ha rappresentato uno strumento di consenso per la classe politica dominante. Che dovevamo fare, lasciare il Mezzogiorno a secco?».
(Gabriele Pescatore, Corriere della Sera, 11 settembre 1995)

«A una sfida coronata da successo – il recupero della stabilità monetaria, il riequilibrio dei conti pubblici, la riconquista della credibilità internazionale, la partecipazione alla creazione della moneta unica europea – segue ora una sfida, ancor più ambiziosa, ancor più vitale, ancor più difficile: tradurre pienamente in atto le potenzialità di sviluppo che il Paese possiede...».
(Carlo Azeglio Ciampi, Camera dei Deputati, 1° ottobre 1998)

Chi invece sembra averlo perso quasi del tutto è il presidente di “Sviluppo Italia”, il quale, dopo essersi detto «orgoglioso e sereno per il lavoro svolto», altrettanto orgogliosamente e serenamente ha sostenuto: «Abbiamo fatto quello che ci veniva chiesto». Chiesto da chi? Mistero della fede! Intanto, mentre l’ineffabile superburocrate rinunciava al proprio pensiero, facendo soltanto quel che gli veniva chiesto (o imposto?), il Sud perdeva 62 mila posti di lavoro. Quando finalmente se ne è accorto, il ministro del Tesoro deve aver suggerito di non chiedere più nulla al megapresidente, pena la tabula rasa del lavoro nel Mezzogiorno. E tanto per discolparsi, lo ha ridimensionato, ferma restando la struttura pesante di “Sviluppo Italia”: 700 dipendenti, fra cui 160 dirigenti (primato mondiale: uno ogni quattro impiegati, con stipendi da 200 milioni l’anno).

E’ un tema, quello dell’etica in economia e in politica, che non sfiora più, se non marginalmente, l’intelligenza pubblica, se quel che accade si incentra su attività come quelle svolte finora da questo carrozzone, e se è vero, com’è vero, che sta invece a cuore ai vescovi (come si è visto a Napoli, alla 43ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani) e al Papa, che ha lanciato un appello ai politici perché si occupino seriamente dei problemi del Sud; e, soprattutto, al Governatore della Banca d’Italia, Fazio, il quale è tornato sull’argomento, illustrando la sua soluzione per l’economia italiana: rilanciare la crescita economica e combattere l’esclusione dei giovani dalla società, per riunire le “due Italie”; attrezzare il Paese alle sfide della globalizzazione, per attrarre nuovi investimenti e creare lavoro attraverso regole più adeguate; tagliare la spesa pubblica in un arco di cinque-dieci anni, per consentire un abbassamento della pressione del fisco sulle imprese e sulle famiglie; contrastare la corruzione, perché «anche l’etica degli affari è un’esigenza del mercato»; investire sulla scuola e sulla ricerca, per potenziare appieno le potenzialità del Paese.
Per il Governatore, l’Italia «si trova in una delicatissima fase di transizione», e dunque «in un momento storico»: la globalizzazione dell’economia e l’invecchiamento della popolazione accentuano i problemi dei nuovi «esclusi», che sono soprattutto «giovani e meridionali». E se il Pontefice parla di «sussidiarietà», Fazio ricorre al concetto di «solidarietà strategica» tra proprietà e lavoratori. Anche alla disoccupazione, che ha raggiunto un primato europeo, serve una «terza via». Sostiene Fazio: la flessibilità non va ricercata soltanto nella temporalità del rapporto di impiego. Perché se è vero che il posto fisso non esiste più, è altrettanto vero che servono soluzioni intermedie che rendano più flessibili i costi e nello stesso tempo meno instabili le forme di occupazione. Come? «Nella solidarietà strategica si genera di fatto una compartecipazione dei lavoratori sia al capitale che alle sorti dell’impresa».
E’ il risvolto laico del principio cristiano espresso da Giovanni Paolo II, il quale, sottolineato che nel Mezzogiorno vive il 36 per cento della popolazione italiana, ma con un reddito pro capite del 45 per cento più basso rispetto al resto del Paese, ha sostenuto la necessità di «appoggiare ed incoraggiare quei progetti di finanza etica, di micro-credito e di commercio equo e solidale che sono alla portata di tutti e possiedono una positiva valenza anche pedagogica nella direzione della responsabilità globale». Unica soluzione, questa, perché i più deboli non continuino a pagare per primi.
E chi sono, oggi, i più deboli in Italia? I poveri, coloro che emblematizzano la nuova povertà, vivendo una condizione di inumanità che attende la guarigione da un’intelligente e tenace azione di giustizia. Vediamo le cifre (dati Istat, gli ultimi disponibili, 1988) di questa antica piaga:
– in Italia le famiglie povere sono due milioni 558 mila, pari all’11,8 per cento del totale; ovvero, sette milioni 423 mila persone, pari al 13 per cento della popolazione;
– le più povere sono le famiglie con oltre cinque componenti: l’incidenza a livello nazionale è del 22,7 per cento, ma al Sud sale al 34 per cento. Nelle famiglie con un figlio l’incidenza di povertà è del 13,9 per cento. Nelle famiglie con tre o più figli minori è del 27,2 per cento, ma al Sud diventa del 37,8 per cento;
– su cento famiglie povere, circa 65 risiedono nel Sud continentale e nelle Isole. Al Sud è povero il 23,2 per cento dei nuclei familiari: cinque milioni e 32 mila persone. Rispetto all’anno precedente, la situazione è peggiorata anche al Centro, dove si contano circa 314 mila famiglie povere;
– i più poveri sono i componenti delle 950 mila famiglie (4,4 per cento del totale) che vivono sulla “linea di povertà assoluta” fissata, per una famiglia di due persone, in circa 994 mila lire mensili, così ripartite; al Nord 1,6 per cento; al Centro 2,2 per cento; al Sud 9,7 per cento.

E di fronte a tutto questo, è rimorta la speranza del Sud di vedere scalfita la distanza ormai siderale che lo separa dal resto del Paese. Speranza ancora una volta sinonimo di illusione. E per dirla con Dahrendorf, «le illusioni» altro non sono che «le speranze che non si colorano di realtà». Una citazione suggestiva, che vale la pena di richiamare, perché crediamo riassuma con molta efficacia lo stato d’animo del Mezzogiorno del Duemila.

   
   
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