Marzo 2000

(S)PARLANDO DI “AZIENDA ITALIA”

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Apocalittici confronti
Italo Franceschi
 
 

 

 

 

 

 

Le nuove tecnologie offrono al Paese la possibilità di fare uno straordinario balzo in avanti, analogo a quello compiuto
nel dopoguerra.

 

L’affermazione è stata attribuita all’avvocato Agnelli: «Finora “Azienda Italia” è stata una metafora, un luogo comune. Perché non proviamo a tradurla in pratica? A fissare per il Paese quei parametri di raffronto con i concorrenti che usiamo nelle imprese?». In realtà, sappiamo bene che da un confronto del genere il Paese esce malconcio. Siamo sotto la media europea per infrastrutture e per formazione di nuove imprese. Siamo terzultimi per sistema finanziario, per capitale umano e per tecnologia. Siamo penultimi per mercato del lavoro. Siamo ultimi per il ruolo distorsivo dello Stato. In estrema analisi: siamo ultimi nell’indice generale dei Paesi dell’euro, in tempi in cui con la moneta unica non possiamo più contare sulle furbesche svalutazioni che in passato sono state usate per far calare la febbre, non per guarire la malattia.
Di qui, la necessità di rimedi urgenti, ma non effimeri, strumentali, di breve durata. Le aree prioritarie di intervento riguardano la flessibilità del lavoro, la struttura e il livello del costo del lavoro, il fisco, la pubblica amministrazione, le infrastrutture, i trasporti, la politica della concorrenza e le liberalizzazioni, in particolare nell’energia e nei servizi pubblici locali, gli investimenti in ricerca e innovazione, la formazione del capitale umano. Il problema non è da quale parte cominciare, è nel dover cominciare subito, mettendo mano a una rivoluzione copernicana del “Sistema Italia”, perché cessi di essere “allarme Italia”.
Quali sono le cause di fondo della situazione attuale? Ne prendiamo in esame le più eclatanti.

Costo del lavoro. Su cento lire di stipendio, le nostre imprese ne pagano 143 per gli operai e 138 per gli impiegati. Un operaio ne riceve in busta paga 73 e un impiegato 69. L’incidenza dei contributi per azienda e dipendenti è in Italia il 60 per cento della retribuzione netta; in Germania il 52; in Spagna il 42; in Gran Bretagna il 22 per cento.

Fisco. Il prelievo fiscale-contributivo è in Italia il 47 per cento del Prodotto interno lordo: tra i più alti del mondo. Di soli adempimenti fiscali le imprese spendono l’8 per cento delle imposte e contributi versati. E’ questa una delle ragioni fondamentali che dissuadono dal fare impresa.

Pubblica amministrazione. I soli adempimenti amministrativi costano alle imprese italiane 23 mila miliardi all’anno, pari all’1,2 per cento del Prodotto interno lordo. I costi per retribuire consulenti esterni in grado di interpretare le innumerevoli e complicatissime norme costituiscono ben il 52 per cento. Secondo un recente Rapporto dell’Unione economica e monetaria, per registrare una società in Italia sono necessarie sedici settimane; in Francia, la metà, otto; in Irlanda quattro; in Gran Bretagna solo una.

Infrastrutture. L’Italia spende in opere pubbliche l’1,4 per cento del Prodotto interno lordo: meno della metà della media europea. Negli ultimi dieci anni gli investimenti sono diminuiti del 45 per cento.

Trasporti. Il trasferimento delle merci avviene per il 65 per cento con l’autotrasporto. Italia e Grecia sono gli ultimi Paesi europei in cui sopravvivono tariffe regolamentate. In Francia, dove le tariffe sono state liberalizzate dieci anni fa, i prezzi sono diminuiti del 20 per cento. Un camionista dipendente tedesco o olandese guadagna più del collega italiano, ma il costo per l’impresa è del 25 per cento inferiore. Le esportazioni su strada, per esempio, da Milano alla Danimarca con aziende nazionali costano il 33 per cento più di quanto, sulla rotta di ritorno, Danimarca-Milano, costano con un’azienda straniera. Le tariffe dell’autotrasporto nazionale sono superiori del 15 per cento rispetto a tutti gli altri Paesi dell’euro. Risultato: un costo in più, per la distribuzione, dal 6 al 10 per cento.

Energia elettrica. I costi giungono a superare del 45 per cento la media europea. In alcuni settori, come quelli della chimica e della siderurgia, il costo dell’energia supera del 60 per cento quello del lavoro. La situazione è aggravata da tasse e sovrattasse di vario tipo. Ma anche senza imposte e balzelli il costo dell’elettricità in Italia supera del 25 per cento quello europeo. In Spagna e in Gran Bretagna, con la completa liberalizzazione del mercato, l’elettricità costa rispettivamente il 21 e il 15 per cento meno che nel nostro Paese. In Germania, a liberalizzazione avviata, costa già il 10 per cento in meno.

Computer e Internet. Il 3 per cento degli italiani possiede un personal computer, contro il 30 per cento degli americani. Alla fine del ‘99 i siti Internet da noi erano circa 600 mila; negli Stati Uniti 25,2 milioni; in Canada 2,6; in Gran Bretagna 2,2; in Germania 2,1; in Giappone 1,8; in Francia oltre un milione.

Scuola. Nel nostro Paese, il 62 per cento della popolazione ha soltanto il diploma di scuola media inferiore; in Francia il 40 per cento; in Germania il 19 per cento. I fondi per l’istruzione primaria e secondaria sono in Italia superiori alla media europea, ma vengono spesi soprattutto per gli stipendi degli insegnanti. Situazione opposta per l’Università, dove i fondi sono inferiori alla media europea. Il tasso di abbandono degli studi nell’Università in Italia è altissimo: il 36 per cento

Di fronte a un paesaggio che diventa sempre più pericolosamente desolante, si è alzata la voce di Fazio. Che si tratti di una “terza” o di una “quarta via”, come si è detto e scritto, ha poca importanza. Chiunque abbia consuetudine con Bankitalia e con lo stesso Governatore sa benissimo che si tratta di idee, interpretazioni, ricette che non sono nate nello spazio di un mattino, ma sono andate via via maturando negli anni, finendo col diventare progetto unitario da collocare in un disegno generale, diverso da tutti quelli presentati dalle diverse forze politiche e incentrato su alcuni fondamentali punti-cardine.
Il primo aspetto è teorico, ma di indispensabile spessore, e riguarda il mercato. Fazio ritiene che senza un’etica forte l’economia di mercato non sia efficiente dal punto di vista tecnico. Il secondo riguarda la globalizzazione: l’accelerazione è venuta dalla spinta di pochi gruppi mondiali. Il terzo riguarda l’Italia: le nuove tecnologie offrono al Paese la possibilità di fare uno straordinario balzo in avanti, analogo a quello compiuto nel dopoguerra. Ma, per farlo in concreto, occorre eliminare una serie di ostacoli.
Il ragionamento del Governatore parte dall’occupazione. Anzi, per la precisione, parte dal lavoro nero. Al Nord è causato dall’eccesso di pressione fiscale, al Sud dalla povertà. Distorsioni micidiali. Come porvi rimedio? Con tre mosse. La prima: rendere flessibile il salario, checché ne dica la Cgil, collegandolo allo stato di salute dell’azienda. Obiettivo: aiutare le imprese, senza mettere in discussione il posto del lavoro, come invece pensano i fautori della licenziabilità. La seconda: contenere le spese statali, e in particolare riformare il sistema pensionistico per garantire la sostenibilità, ma anche per creare lo spazio per la terza mossa: una forte ma graduale riduzione della pressione fiscale, necessaria per far decollare gli investimenti, ma anche per eliminare il lavoro nero e l’evasione al Nord. Come dire: efficienza e bene comune messi insieme, gradualità e fermezza, senso di responsabilità e lungimiranza, se si vuole superare l’orizzonte apocalittico che, in caso contrario, ci attende.

   
   
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