Al di là dei problemi economici,
ciò che può pesare
è la minaccia,
avvertita da intere
categorie sociali
o anagrafiche,
al senso
di appartenenza,
di classe, di lingua,
di geografia.
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Per almeno sei mesi non ne ha parlato quasi nessuno. Poi, improvvisamente,
la Lega è tornata nelle pagine politiche dei quotidiani,
grazie alla marcia su Roma, ma, soprattutto, in virtù
di accordi più o meno palesi con almeno una parte del Polo.
Di fatto, nonostante espulsioni, scissioni, anatemi e altri strappi
di varia natura e origine, non tutti i segnali vanno nella direzione
della prossima scomparsa della minaccia rappresentata da Bossi.
In tutta Europa, negli ultimi due anni, si sono affacciati con successo
leader tribunizi e anti-partiti, che hanno raccolto consenso facendo
leva sulle inquietudini suscitate dallimpennata dei flussi
migratori e dal relativo sentimento di insicurezza.
E una reazione che distingue lEuropa opulenta arroccata
attorno alle vette alpine, come dimostra il successo di Haider in
Austria e di Blocher in Svizzera. Qualcosa di simile, però,
si è verificato anche più a nord, grazie allavanzata
di Glistrup in Danimarca e di Hagen in Norvegia.
Neppure il cuore dellUnione europea è estraneo al fenomeno:
lo dimostrano i casi del Front Populaire di Jean Marie Le Pen (oggi,
così come la Lega, indebolito da scissioni e divisioni) in
Francia, di Dillen in Belgio, di Schinhuber in Germania, fino a
Janmaat in Olanda. Ovunque, le difficoltà dellEuropa
monetaria a far ripartire il volano delloccupazione hanno
favorito linsorgere di rancori cupi, di reazioni pre-politiche
che hanno spiazzato sia la sinistra sia la destra tradizionali.
«Non fatevi impressionare dai dati delle elezioni europee»,
ha dichiarato al proposito Bossi. «Anche Haider aveva dimezzato
i suoi voti. Poi, pochi mesi dopo, li ha raddoppiati». In
attesa della riscossa, il leader della Lega si è mosso e
continua a muoversi sul terreno a lui più congeniale: larroccamento
nelle aree tradizionali del movimento, la Pedemontana lombarda,
con le sue propaggini piemontesi e venete, con alcuni nuclei duri
di militanti più obbedienti che pensanti, pronti a punire
i dissidenti anche più noti, come lex numero
due, Formentini. Negli ultimi anni, del resto, è tramontata
la vague federalista (con gravi responsabilità del Carroccio);
il secessionismo con la sua simbologia misterico-buffa, o ritual-strapaesana,
appartiene al passato; ma il malessere della questione settentrionale
è ancora vivo. Anzi, ha ormai assunto tinte più congeniali
alla filosofia da Strapaese delle camicie verdi.
Nei primi anni Novanta, la rabbia del Nord combinava
il fastidio della piccola e media borghesia contro Roma alla richiesta
del tessuto imprenditoriale di un governo in grado di agganciare
lEuropa di Maastricht. Allimprovviso, il leader leghista
si trovò a rappresentare la spinta di un popolo dei
produttori, orfano della formidabile capacità di rappresentanza
dei cattolici (soprattutto nel Veneto e nella Lombardia del Nord,
oltre che nel Piemonte meridionale e nel Biellese) assieme alla
curiosità e alla benevolenza di parte della borghesia delle
metropoli, sconcertata da Mani Pulite.
A metà anni Novanta, lo stesso leader dovette scegliere tra
chi puntava sullintegrazione europea e chi invece rifiutava
la moneta unica. Con unopzione infelice ma forse inevitabile,
puntò sullisolazionismo, come del resto imponeva la
tradizione localistica dei nuclei duri del suo movimento. Lingresso
dellItalia nelleuro fu un colpo duro per la Lega, al
punto di spezzare lunità fittizia tra il popolo
dei produttori padani e quella borghesia che guardava allintegrazione
nellUnione europea come ad un obiettivo fondamentale. Di qui,
un lungo travaglio, accompagnato da una progressiva perdita di peso
elettorale e politico del movimento. Ora Bossi ne prepara una nuova
edizione, puntando sullincapacità della classe politica
di aggredire i nodi strutturali dellarretratezza italiana
e preparandosi a giocare in chiave distruttiva carte vecchie e carte
nuove. La xenofobia più becera, sicuramente. Ma non solo.
La Lega tende a riunire attorno a sé le vittime, vere o presunte,
della globalizzazione e del passaggio ad una società post-industriale.
Il Carroccio sa di poter contare sulla paura di classi e ceti sociali
sfibrati dalla lunga rincorsa allEuropa: pensionati, ma anche
agricoltori minacciati dallapertura dei mercati ai Paesi extra-Unione
europea; colletti bianchi impegnati nei servizi finanziari, bancari
e assicurativi, che pagano a caro prezzo la riorganizzazione del
settore. Al di là dei problemi economici, ciò che
può pesare è la minaccia, avvertita da intere categorie
sociali o anagrafiche, al senso di appartenenza, di classe, di lingua,
di geografia. Il senso di identità, insomma, che sarebbe
intaccato da macroprocessi che la politica stenta a governare.
In una cornice del genere, persino società ricche e fino
a ieri avvolte in un guscio di forte serenità e sicurezza
(si pensi a Bologna) rischiano di mandare messaggi di emergenza
e di cambiamento. Soprattutto se la domanda di identità è
alimentata da leader capaci di trasformare langoscia da spaesamento
in una risposta politica che punti sullostilità verso
lo straniero e lestablishment. Non a caso, i temi forti dellondata
populistica sono la sicurezza e limmigrazione. Leconomia,
per ora, resta sullo sfondo, anche se è viva la paura dellesproprio
da parte delle multinazionali; Internet è vissuta come un
nemico, al pari delle biotecnologie e di tutto ciò che può
sradicare le care, vecchie, sane abitudini.
Troppo facile, e sbagliato, tacciare questo fenomeno di fascismo,
anche perché il rifiuto verso il nuovo si ritrova in molte
posizioni di sinistra. Solo questo può spiegare
lassurda lotta delle Rappresentanze sindacali che si richiamano
a Rifondazione contro laccordo che prevede per i lavoratori
extra-Unione europea la possibilità di accorpare le ferie
per limitare le lunghe trasferte: o lintesa vale per tutti,
sia per chi abita a Belluno sia per chi risiede a Ouagadougou, o
per nessuno, ha dichiarato tra gli applausi il delegato di Bertinotti.
Difficile negare che si tratti di un qualunquismo di sinistra, dietro
cui si nascondono paure assai vicine allanima popolare
della Lega.
Il fenomeno non ha nulla a che vedere con la richiesta di autoritarismo
e con la nostalgia delluomo forte (sentimenti comunque vivi
nellItalia padana, più ricca e meno afflitta dalla
disoccupazione).
Risponde, in realtà, a disagi nuovi, tipici di una società
post-industriale. Alla prima difficoltà, un mondo fino a
ieri povero (il Veneto, ma anche la Baviera e buona parte delle
vallate austriache e svizzere) riattiva le sue insicurezze, avverte
il richiamo del suolo. Ed è questa missione
che Bossi sta riempendo con le sue innegabili capacità di
affabulatore: al tema classico della lotta contro Roma padrona (e
ladrona) si accompagna levocazione dellimperialismo
franco-tedesco e si innesta lodio contro lAmerica madre
di tutti i vizi moderni. Alla crociata per i popoli liberi, che
ha portato il leader leghista a fraternizzare con Zhirinovskji e
con Milosevic, si associa, infine, un alone mistico e religioso.
Il localismo, in questa visione, si richiama al Medioevo, con le
sue fortezze e castelli turriti, con le sue mura, con le orde vaganti,
ma anche con i suoi malumori fiscali verso il principe, con lorgoglio
di appartenere a una tribù, a un branco che si autodefinisce
in virtù di lingua, razza e riti. Una sindrome curiosa che
colpisce gente ricca ma incapace di dominare il proprio destino
e che si scarica, si sfoga con nuove manifestazioni
di protesta.
Quali spazi può avere nel Nord la Lega rivista e corretta?
Molto dipende dallabilità dei suoi concorrenti politici,
dallefficacia delle loro proposte per smontare la questione
sicurezza. Ma non sarà facile flirtare, magari sottobanco,
con i resti del movimento, sperando di raccogliere una cospicua
eredità elettorale, come si propongono in molti, e di tutte
le parti. Il rischio è di scherzare davvero col fuoco.
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