Il mercato
del lavoro del Mezzogiorno da tempo ormai si va aggiustando da sé
con il lavoro
irregolare,
che rappresenta un po la via italiana alla flessibilità.
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E questione di sintesi, non di eufonia, e meno ancora di
estetica. Si sa che quello delleconomia e della finanza è
spesso un linguaggio spigoloso, per certi versi criptico, per addetti
ai lavori. Non ci si meravigli, dunque, se usiamo il termine che
si sta facendo strada in questi ultimi tempi: glocalizzare,
nuovo verbo delleconomia dello sviluppo. E termine che
risulta dalla fusione tra globalizzazione e localismo.
Che cosa significa per il Mezzogiorno? Può servire a tracciare
una linea di azione semplice, ma al tempo stesso efficace, cioè
esattamente il contrario di quanto troppo spesso si dice e si fa
per il Sud? Lesperienza maturata anche in campo internazionale
e le lezioni che ne derivano dicono che nelle strategie di sviluppo
sono sempre in agguato due tentazioni intellettuali, che poi costituiscono
autentici rischi di fallimento: la tentazione di affidarsi a una
leva decisiva per sollevare Paesi e regioni a sviluppo ritardato;
e, allopposto, la tentazione olistica, e dunque totalizzante,
in nome della quale tutto dipende da tutto.
I fautori della leva da azionare per mettere (o rimettere) le cose
in movimento individuano questa leva una volta nei cosiddetti settori
nuovi, ad alta tecnologia, enfaticamente chiamati anche motori
dello sviluppo; unaltra volta, allopposto, nelle
attività tradizionali che poi nel Mezzogiorno sono, ancor
più che nel Centro-Nord, esercitate da microimprese ad alto
impiego di lavoro. Gli uni sono sostenitori di politiche industriali
attiviste e dimenticano che la programmazione per settori ha già
compiuto in Italia la sua parabola, lasciando nel Sud il terreno
cosparso di imprese fallite oppure agonizzanti.
Ciò si è verificato in diversi comparti: nella siderurgia,
nei cantieri navali, nella chimica, nella produzione di macchine
per ufficio, che erano quelli ritenuti nuovi o strategici
trenta o quarantanni fa. Gli altri guardano con simpatia alle
piccole imprese, ne vogliono promuovere altre, vogliono portare
alla luce quelle sommerse con interventi, si dice, mirati, diretti.
I paladini dellapproccio olistico per cui, appunto, o si fa
politica di sviluppo a tutto campo oppure non si fa nulla, a loro
volta tirano sulle regioni meridionali la coperta da ogni lato:
da quello delle infrastrutture, da potenziare ad ogni costo, anche
varando progetti di investimento di grande importo e di grande impatto,
pur se di dubbia o non verificata utilità; dal lato degli
investimenti esteri, che, chissà perché, saltano lItalia
e bypassano ancor di più il Sud; passando poi per la creazione
di grandi organismi pubblici tuttofare, possibilmente insediati
a Roma, dove si può avere un dialogo diretto tra queste nuove
tecnostrutture, formicolanti di burocrati, e il potere politico
disposto a trasferire loro ingenti risorse, altrettanto pubbliche.
Come si viene fuori da queste perverse tentazioni, che porterebbero
a ripercorrere sentieri già battuti, accumulando, come nel
passato anche recente, risultati insoddisfacenti e comunque inferiori
alle aspettative suscitate, o addirittura distorti, col capovolgimento
degli obiettivi, nel senso che si finanzia a parole il Sud per assistere
il Nord? Nellultimo Rapporto annuale della banca mondiale
leggiamo unindicazione di metodo: si dice che nelle politiche
di sviluppo contano non soltanto gli interventi, ma anche le procedure
con le quali questi si realizzano.
Approfondiamo questo suggerimento, innervandolo nel contesto del
Mezzogiorno. Qui è ormai evidente che, per rimettere in moto
lo sviluppo, è indispensabile scegliere la priorità
delle azioni ed è necessario al tempo stesso rendere tutte
le azioni intraprese tra loro coerenti.
La sequenza virtuosa parte, a nostro avviso, da una decisa (e decisiva)
deregolamentazione dei mercati del lavoro e della finanza. Il mercato
del lavoro del Mezzogior-no da tempo ormai si va aggiustando da
sé con il lavoro irregolare, che rappresenta un po
la via italiana alla flessibilità. I sindacati
chiudono gli occhi su questa tendenza e si illudono di poterla contrastare
contrattando una flessibilità a pelle di leopardo:
sconti salariali e normativi per le imprese che stipulano un contratto
darea o che aderiscono a un patto territoriale, accompagnati
dalla difesa ad ogni costo del contratto nazionale di categoria
per le imprese che ne stanno fuori.
Il mercato della finanza è, nellarea meridionale, dominato
più che altrove da monopoli localizzati che accrescono la
loro presa sugli imprenditori anche per effetto delle fusioni, concentrazioni,
intese, avvenute oppure in corso tra le grandi banche. La deregolamentazione
di questi due mercati decisivi compete naturalmente al governo e
al Parlamento, e non cè agenzia di sviluppo locale
o nazionale che ci possa far niente.
Nella sequenza virtuosa si collocano immediatamente dopo (in senso
logico, più che temporale) tutti gli interventi che valgano
a produrre beni pubblici e ad accrescere economie esterne diffuse,
generalizzate, alle imprese. La sicurezza dei cittadini e unamministrazione
più rapida e incisiva della giustizia (in particolar modo
della giustizia civile) sono i pre-requisiti per consolidare le
imprese esistenti, per favorirne lemersione (quanti piccoli
imprenditori si mimetizzano nelle regioni meridionali, nascondendosi
allocchiuta sorveglianza della criminalità? Quanti
sono i tentativi di violare i contratti con i fornitori e con le
banche, fidando sui dieci-dodici anni di compimento di una causa
civile?), per attrarre investimenti esterni di medi imprenditori
del Centro e del Nord.
Questo, di maggiori e migliori beni pubblici, è anchesso
un compito del governo e del Parlamento. E si ha voglia di creare
nuove matrioske, che incorporano a loro volta bambole sempre più
piccole. Non succederà molto di significativo se non si affrontano
questi antichi problemi.
Quanto alle economie esterne alle imprese (investimenti in formazione,
in reti di comunicazione, nellenergia, nelle acque), qui conta
la cooperazione tra governo centrale e regioni meridionali. Gli
strumenti già ci sono (tra questi, il dipartimento per le
Politiche di sviluppo e di coesione sociale del ministero del Tesoro),
il dialogo tra centro e periferia si è già aperto
con Agenda 2000 e procede abbastanza bene con i programmi per lutilizzo
dei fondi comunitari. Anche in questo caso, non servono nuovi organismi,
che potrebbero diventare amministrazioni pubbliche parallele, cioè
nuove burocrazie aggiunte, delle quali non si avverte proprio il
bisogno.
Cè infine (ma non per ordine di importanza) da compiere
azioni specifiche: qualche intervento esemplare per lemersione
di imprese già pronte a rispettare le regole, e di conseguenza
mature per operare legalmente sui mercati; interventi di accompagnamento
(non di sostituzione) degli enti locali nei tentativi di rendere
visibili a investitori esterni i vantaggi di questa o di quella
porzione del territorio meridionale; un sostegno agile alle piccole
imprese nei loro sforzi di affacciarsi sui mercati esteri e di cooperare
con altre imprese, in modo particolare nellarea europea ed
euro-mediterranea; un poco di consulenza finanziaria ancora alle
imprese (ma niente partecipazioni dirette al capitale di rischio,
altrimenti si finisce per ripetere lamara esperienza della
vecchia Gepi e dei suoi degni eredi); alcuni incentivi discrezionali
(ma con limiti rigorosi proprio a questa discrezionalità)
a imprese nascenti.
In questi campi occorre un organismo formato da poche persone con
elevate professionalità e con stipendi commisurati a quanto
rendono, dunque amministrato sobriamente e posto in grado di costruirsi
unimmagine e un prestigio, una reputazione altrettanto sobrie.
Che poi questorganismo sia ununica società pubblica
suddivisa in rami dazienda specializzati, oppure un organo
di coordinamento per più società indipendenti, è
problema di minore importanza. Ciò che interessa è,
da un lato, che non sia un puro erogatore di stipendi ai propri
amministratori, dirigenti e impiegati; dallaltro, che ottenga
i suoi ricavi da privati o da enti pubblici sulla base di risultati
tangibili, apprezzati dai clienti, e indirizzati ai fini per i quali
si lavora, senza elucubrate giustificazioni o imbrogli da sottobosco
politico, non più sopportabili da una società moderna,
da una politica corretta e da unopinione pubblica sempre più
smaliziata e sempre più disaffezionata alle istituzioni.
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