Marzo 2000

STIME MERCANTILI

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I segreti delle aste
Everardo Dalla Noce
 
 

 

 

 

La vendita pubblica è considerata
spettacolo perché
il danaro
è spettacolo
e i clamori dei top fanno il giro
del mondo con la stessa velocità
di un golpe politico.

 

La stima mercantile in arte non ha parametri precisi. Non è, per esempio, come l’oro, che si avvale di una duplice fissazione al giorno per stabilire il prezzo al grammo. Il fixing del metallo giallo in Europa avviene nella quotidianeità a Londra e a Zurigo. Determinato il prezzo valore quotidiano è facile quantificare quello del lingotto. In pratica, basta una moltiplicazione.
L’arte, o meglio il quadro, non può essere posto sul piatto di una bilancia per una lettura a peso per cui il collezionista, il mercante, l’appassionato hanno dovuto studiare qualcosa di diverso, ma possibilmente di buona precisione, per offrire un valore reale all’oggetto preso in considerazione.
E allora vediamo di analizzare il processo con una serie di esempi realistici che consentano un’identificazione di stima. Un ipotetico artista, di nome Marco Rossi, alla richiesta di acquisto di una sua opera da parte di un collezionista chiede un milione di lire. In questa cifra è evidente che l’autore ponga anche il suo filiale amore verso quella tela che ha pensato, studiato a lungo, realizzato e infine venduto.
Dunque, l’opera del signor Rossi costa e vale un milione di lire? Vediamo che cosa succede adesso. Incontriamo quella stessa opera in una Galleria d’arte gestita, ovviamente, da un mercante. Alla nostra domanda sul prezzo di quel lavoro, la risposta è: 700.000 lire. E’ indubitabile che questa seconda proposta sia di gran lunga più veritiera dal punto di vista del mercato rispetto alla prima. Si aggiunga che nelle 700.000 lire richieste è compreso il pacchetto delle spese che il gestore ha per l’esercizio della galleria, per cui indicativamente il quadro del signor Rossi presenta un surplus non-collezionistico quantificato fra il 30/35%. In questa percentuale sono evidentemente compresi gli esborsi del mercante chiamati: luce elettrica, tasse, stipendio per il personale, tipografia per gli inviti, corrispondenza e – se non fosse proprietario dello spazio – affitto, con quel che segue. Considerate a questo punto “A” la valutazione data all’opera di Rossi dallo stesso autore e considerate “B” la valutazione della stessa opera stimata dal mercante.
Ma per il mercato queste indicazioni non sono ancora sufficienti per fissare il prezzo di un elaborato. Ecco allora che un’altra testimonianza di transazione si affaccia: il prezzo del collezionista. Mi spiego. Io colleziono la produzione di Marco Rossi. Cerco quei quadri acquistandoli al prezzo che ritengo più giusto e più equo. Come collezionista non sono emotivamente influenzato da un’opera che non sia di diretta provenienza di un artista e nel contempo non acquisto per rivendere come nel caso del gallerista.
Quindi, in linea di massima, non ho l’impressione di essere d’accordo né con l’autore e tanto meno con il mercante, che per motivi che esulano dalla qualità del quadro aumenta di un 30/35% la tela.
La mia offerta di collezionista non supera allora il mezzo milione e quindi il valore attribuito al quadro è sicuramente più credibile dei precedenti. Il prezzo “C” (prezzo del collezionista) è comunque anomalo perché non ufficializzato, non sempre divulgato e suscettibile anche di divagazioni umorali.
Non c’è dubbio comunque che dei tre riferimenti di mercato quest’ultimo sia il più realistico, visto e considerato che non presenta rigonfiature di nessun ordine. Tutto questo, però, di nuovo non basta, non è sufficiente.
Ma l’asta cos’è? Intanto, è un’assemblea. Un’assemblea alla quale partecipano curiosi, operatori, mercanti, professionisti, artisti, studiosi, galleristi, critici e quant’altri si interessino in una maniera o nell’altra al variegato mondo dell’arte. Ecco allora che il quadro ipotetico di Marco Rossi viene posto all’incanto e la gara proporrà un prezzo finale che risulterà più attendibile rispetto al prezzo “A”, al prezzo “B” e al prezzo “C”.
L’esito d’asta è interessante perché avviene sotto gli occhi di tutti e in linea di massima può essere paragonato per alcuni versi alla fissazione di una moneta in corbeille. Nella formulazione di una stima è però fondamentale tener conto di elementi determinanti per un’indicazione di valore. Intanto, la qualità esecutiva, quindi le sue dimensioni, ma soprattutto fondamentale è il periodo in cui la stessa opera è stata prodotta.
Un artista, chiunque esso sia, mai dipinge nel contesto della sua ricerca con la stessa intensità e con la stessa forza. Ci sono momenti in cui è più spiritualmente dotato e momenti in cui appare meno vigoroso rispetto a magiche ispirazioni.
Il periodo, nella valutazione di un lavoro, è sostanziale anche se non sfugge a quell’iter mercantile di cui già si è detto. I cataloghi d’asta seguono anch’essi un rito non comune, un rito che va conosciuto e interpretato.
Le case d’asta vivono, ad ogni vigilia di vendita, con la speranza di recuperare da un collezionista un’importante opera storica. Spesso basta soltanto un quadro, di interesse certo, di sicuro impegno, per esercitare un’attrazione di grande effetto. E attorno a quel quadro si costruisce l’intero catalogo, il più possibile invitante, ricco di lotti di artisti conosciuti e di bellezza leggibile.
Ma recuperare opere d’arte, specie in un momento come questo in cui il danaro cerca un bene rifugio, il più possibile garantito, appare compito assai difficile. In linea di massima dovrebbero essere proprio i collezionisti ad alimentare le vendite pubbliche. Invece questo non avviene se non di rado.
Sono invece i mercanti, i galleristi, i courtiers ad offrire ai gestori degli istituti più accreditati gli “oggetti” che a loro volta recuperano con più facilità tra i privati. Un’asta senza una stella che brilli in catalogo è sempre considerata “vendita povera”, o comunque non ricca di suspence e di interesse oramai alla base di ogni appuntamento.
La vendita pubblica è considerata spettacolo perché il danaro è spettacolo e i clamori dei top fanno il giro del mondo con la stessa velocità di un golpe politico, di una vittoria di una squadra di calcio in campo internazionale, di uno sciopero dei ferrovieri la vigilia di Natale.
E’ bene dire subito che entrare in un catalogo d’asta che conti non è facile. Anzi, in linea di massima è estremamente difficile. Non c’è dubbio che un artista ha mercato reale soltanto se è passato sotto il martello di un banditore che conti. E per avere mercato reale non è sufficiente comparire in asta in un paio di occasioni perché la casualità potrebbe essere possibile, o perché si hanno rapporti con il proprietario dell’istituto, o perché lo stesso proprietario d’istituto accetta l’inserimento in quanto l’opera potrebbe far parte occasionalmente di un gruppo di tele di valore assicurato. In tal caso anche un personaggio sconosciuto, pur di accontentare il proponente, potrebbe avere via libera all’asta. Ma sono casi isolati. Ecco allora che un artista finisce per essere considerato autore con un mercato reale almeno dopo il 40° passaggio in asta. In effetti è possibile favorire un amico una volta, due, ma decine di volte, diventa di non facile attuazione specialmente se il pittore, o presunto tale, ha poca dimestichezza con l’arte vera. In ogni casa d’asta funziona un comitato giudicante. Comitato che decide soprattutto l’inserimento dei nomi nuovi, degli artisti poco noti o comunque non conosciuti alla platea più vasta del collezionismo ufficializzato. Certo: si può sostenere un artista in asta, ma un’operazione a tempi lunghi impegna capitali e non sempre la stessa operazione è redditizia. Ecco allora che si cercano sponsor impegnati non soltanto a pubblicizzare il nome dell’emergente, ma a sostenerlo durante le battute all’incanto allo scopo di dimostrare al mercato e al collezionismo che l’artista è valido, che è richiesto e quindi comprato.
Questa attività è riconosciuta internazionalmente e spesso è meritoria. Infatti, quando mai artisti destinati all’oblio prima ancora di nascere riuscirebbero a trovare un’identità nella storia dell’arte? Sono episodi che fioriscono tutti i giorni, che tuttavia esistono e continueranno ad esserci anche in futuro.
Le offerte a sostegno durante una battuta per chi è del mestiere sono abbastanza identificabili e leggibili. Spesso coloro i quali sono demandati a far lievitare il prezzo di un’opera finiscono per produrre strappi che diventano marginali a tempi lunghi.
Adesso che sempre di più si è propensi a denunciare la verità sugli esiti, un lotto invenduto può danneggiare un artista per lungo tempo, per cui coloro i quali hanno interesse a sostenerlo sono obbligati ad offrire e quindi riacquistare il lotto, pena il pericolo.
Considerato che i possessori di quadri storici non sono intenzionati a vendere, ma piuttosto a difendere le loro raccolte, i cataloghi delle vendite pubbliche rappresentano ogni volta un terno al lotto da azzeccare. D’altra parte, gli stessi responsabili d’asta debbono far fronte alla crescente esigenza dei proprietari che spesso, convinti di possedere inestimabili capolavori, firmano buste di riserva così elevate da precludere ogni possibile vendita reale. La busta di riserva è quell’impegno che la Casa d’asta sottoscrive e consegna al proprietario, nella quale è detto che il lotto non va esitato per una cifra inferiore a quella stabilita. E questo è uno dei motivi per cui nelle tornate centrali degli anni ‘90 si è venduto di meno.

   
   
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