Giugno 2000

ATLANTICO PIU’ LARGO?

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Bolla Wall Street
e rigidità europee
Milton Friedman Premio Nobel per l’Economia
 
 

 

 

 

 

L’Europa
non sta passando
un periodo
di prosperità,
ha chiaramente
bisogno di un euro
debole e mi sembra giusto accettare un suo deprezzamento.

 

In America abbiamo una ripresa che avanza da molti anni. Ma abbiamo anche una ripresa trainata dal mercato azionario. Abbiamo un buon tasso di crescita, ma all’inizio di questa ripresa gli incrementi del Prodotto interno lordo sono stati molto piccoli. Stiamo vivendo un normale ciclo congiunturale, che ad un certo punto finirà. Dunque, non siamo entrati in un “nuovo paradigma dell’economia”. Non vedo nulla di speciale in questa ripresa. E’ solo più lunga di altre riprese. Ma altre riprese hanno avuto tassi di crescita molto più forti all’inizio e sono durate di meno. Le dinamiche di fondo che regolano l’economia restano, la legge della domanda e dell’offerta resta, il mercato resta, il concetto di inflazione resta. Abbiamo un toro molto forte in Borsa che contribuisce a tenere elevata la domanda. Ma, come è sempre successo in passato, arriveremo ad una svolta.
L’economista che farà un pronostico sui tempi di questa svolta non sarà un buon economista. Nessuno è in grado di stabilire i tempi del mercato, di misurare in anticipo i cambiamenti di umore dei consumatori. E frequentemente è accaduto che, quando questi sono avvenuti, si sono verificati per ragioni diverse da quelle indicate in cima alla lista delle preoccupazioni. Possiamo individuare le tendenze di medio periodo, non fissare le svolte.
Personalmente, ritengo che in America siamo nel mezzo di una enorme bolla speculativa che presto o tardi finirà per esplodere. Ci sarà un collasso molto brusco dei prezzi. E’ vero che molti analisti trovano interessanti spiegazioni per giustificare multipli che arrivano fino a 40 oppure a 50 volte gli utili, come accade oggi per moltissimi titoli anche fra i blue chips. Ma io non credo che tali multipli abbiano una giustificazione. Lo ripeto, è difficile dire quando si arriverà al limite. Ma una cosa è certa: ci sarà un brusco ribasso. Ragioniamoci su e stabiliamo una cosa: il disavanzo commerciale degli Stati Uniti è un problema.

Questo disavanzo è il risultato della crisi del Sud-Est asiatico e poi di quella brasiliana. Ma quando si tratta di investire i surplus commerciali, dove si guarda? Prendiamo il Canada oppure il Messico, nostri vicini, vantano un forte surplus commerciale, e che cosa ne fanno? Lo devono reinvestire. E dove lo reinvestono? Negli Stati Uniti. Siamo il più importante polo di attrazione del capitale internazionale, e questo è il risultato delle nostre buone condizioni economiche, difficili in altre regioni del mondo. Ma non potrà durare, presto i capitali troveranno altre destinazioni.
Si dice che prenderanno le vie dell’Europa, di un’Europa che non riesce a riprendersi. In che cosa sbaglia? Si sa benissimo e credo che lo ripetano tutti: l’Europa ha una regolamentazione vecchia e molto rigida; e, in modo particolare, ha una struttura salariale troppo rigida, contratti troppo costosi e troppo inefficienti nell’utilizzo delle risorse. Tuttavia, non capisco chi parla di delusione dell’euro. E questo lo dice uno che è sempre stato contrario all’euro. Ma davvero si può volere un euro forte? L’Europa non sta passando un periodo di prosperità, ha chiaramente bisogno di un euro debole e mi sembra giusto accettare un suo deprezzamento. Vorrei che qualcuno mi elencasse i benefici che deriverebbero oggi per l’Europa da una moneta comune forte.
Io ho sempre creduto e continuo a credere tuttora che l’euro sia un errore, ma ormai lo prendo come un fattore acquisito. Vediamo il problema: nel tempo ci saranno differenze politiche fra i Paesi membri, sono inevitabili. Per questo c’è un pericolo, quello di devastanti shock asimmetrici. Oppure ci sarà la possibilità di usare l’euro per deregolamentare salari e stipendi e per “liberalizzare” licenziamenti e assunzioni. E’ questa la sua più autentica funzione. Io spero che siate fortunati, spero che non ci saranno shock asimmetrici. Per gli Stati Uniti, infatti, è essenziale avere un’Europa prospera.

Fra l’altro, non mi sembra il caso di affiancare alla Banca centrale europea un ministero del Tesoro. Complicherebbe soltanto le cose. Negli Stati Uniti un ministero unico funziona perché i cinquanta States sono molto omogenei. Ma questo non vale in Europa. Per gli europei è molto meglio avere una decentralizzazione piuttosto che una centralizzazione, perché sono già troppo centralizzati.
Le differenze di fondo tra modello americano e modello europeo non riflettono la percezione dei valori. Io sono convinto che i valori siano gli stessi al di qua e al di là dell’Atlantico. Il problema europeo piuttosto sta in una complicazione di natura politica, in una lunga storia di uno Stato molto centralizzato. Noi americani veniamo dall’Europa. Apparteniamo allo stesso ceppo, condividiamo gli stessi valori di fondo, specialmente sul piano individuale e su quello etico generale. Ma la differenza vera sta nella struttura sistemica e di governo. La nostra è flessibile e decentralizzata. La sua l’Europa l’ha ereditata, e non riesce a cambiarla.
L’Europa è prigioniera della tirannia dello status quo. Il potere non è delle masse, è nelle mani di piccoli gruppi che lo difendono a scapito dell’interesse nazionale. L’Europa è ancora gestita dalle élites.

   
   
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