Giugno 2000

L’EURO E LA SFIDA AMERICANA

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New Economy
ma con giudizio
Alfred H. McStephen  
 
 

 

 

 

Un atteggiamento
di cautela
nei confronti delle
facili promesse
dei profeti della “nuova economia” sembra d’obbligo.

 

La “nuova economia” si allarga dagli Stati Uniti all’Europa? E che cosa devono fare le Banche centrali di fronte al boom delle tecnologie informatiche e a quello conseguente dei mercati borsistici? Le domande di fondo sui fattori che hanno determinato l’espansione dell’economia americana negli ultimi anni sembrano diventare attuali anche nel Vecchio Continente. Con conseguenze per la politica monetaria, che, secondo quanto alcuni cominciano a suggerire, dovrebbe diventare più flessibile per aiutare, o per lo meno per non ostacolare, la nascita di una nuova era che promette facili aumenti produttivi e di occupazione senza inflazione, sulle ali delle tecnologie informatiche.
I convertiti alla cyber-economia indicano tre vie attraverso cui la diffusione dell’informatica nei processi produttivi muta i legami fra crescita, occupazione, produttività e inflazione, che costituiscono anche la “bussola” che guida le Banche centrali.

Primo: la riduzione dei prezzi dei computer incide direttamente sul tasso d’inflazione. L’economista americano Robert Gordon ha calcolato che negli Stati Uniti, tenendo conto del peso dei computer nel prodotto lordo (circa 1%) e assumendo una riduzione dei loro prezzi uguale a quella osservata negli ultimi anni (circa il 40% all’anno), l’effetto annuo negativo sull’inflazione è attorno al mezzo punto percentuale. Poiché nell’Europa degli Undici il peso dei computer nell’Indice armonizzato dei prezzi al consumo è circa la metà, l’effetto è minore, ma non trascurabile.
Secondo: l’informatica accresce l’efficienza dei processi produttivi, estendendo i guadagni di produttività dai settori che producono computer a quelli che li usano. E’ di qualche mese fa soltanto la notizia che Ford e la General Motors si apprestano a trasferire le loro catene di acquisizione e di distribuzione su Internet. E’ impensabile che trasformazioni simili avvengano senza attese fondate di forti guadagni di efficienza.
Ma quanto vale questo effetto nel complesso dell’economia? Questione controversa: Gordon lo ritiene fino a questo momento trascurabile, poiché tutto l’aumento di produttività nell’economia americana negli ultimi quattro anni è spiegato da altre cause. «Vediamo i computer dappertutto, tranne che nelle statistiche della produttività», ha sostenuto il Premio Nobel Robert Solow. Ma le statistiche, dicono i “convertiti”, possono essere ingannevoli e gli effetti di grandi innovazioni tecnologiche sono registrati solo con ritardo: esperienze storiche forniscono qualche sostegno a questa tesi.

Terzo: il “mercato globale” che viaggia su Internet aumenta la concorrenza e abbassa i prezzi, contribuendo anch’esso, almeno temporaneamente, al calo del tasso d’inflazione.
In America, la Federal Reserve ha tenuto in questi anni un atteggiamento molto cauto, del tutto coerente con la difficoltà nel definire contorni e implicazioni di questo fenomeno. Nel 1994, alla vigilia di un’accelerazione produttiva che avrebbe abbassato il tasso di disoccupazione fino al 4%, ha alzato i tassi d’interesse. La politica monetaria statunitense è divenuta negli ultimi tempi più restrittiva, mentre l’espansione tecnologica ed economica prendeva impeto in un contesto di prezzi stabili. Recentemente, la Federal Reserve ha mostrato di condividere alcuni degli argomenti a favore della “nuova economia”, ma il corso della sua politica non è mutato: ha aumentato recentemente i propri tassi di interesse e i mercati scontano altri aumenti quest’anno.
Quali lezioni per l’Europa? L’esempio americano è utile, ma bisogna tener presenti le diverse condizioni che esistono soprattutto nell’Europa continentale. La diffusione dei mezzi informatici e la loro presenza nei processi produttivi sono meno avanzate: i guadagni di efficienza promessi dalla “nuova economia”, se esistono, sono di là da venire. Negli ultimi anni la produttività negli Stati Uniti ha mostrato una netta accelerazione, mentre l’Europa non ha saputo o potuto tenere il passo.
Ma al di là di questi movimenti recenti, che potrebbero benissimo essere ciclici e temporanei, la differenza fondamentale è che in Europa i guadagni di produttività degli ultimi dieci anni hanno coinciso non con un calo, ma con ulteriori aumenti della disoccupazione. Analisi ed esperienze dimostrano la potenzialità che, in questo campo, hanno le riforme di struttura nel mercato del lavoro, (mobilità; flessibilità contrattuale; informazione; formazione professionale), riforme che le innovazioni informatiche possono favorire ma non determinare, e senza le quali la ripresa in corso e la stessa “nuova economia” non possono tradursi in crescita stabile della produttività e dell’occupazione.
In Europa, la politica monetaria è stata negli ultimi anni più espansiva di quella americana. Ma l’elemento che probabilmente più conta, anche qui, è l’introduzione della nuova moneta. L’euro non è Internet, ma da certi punti di vista svolge la stessa funzione: rende più chiari i prezzi, stimola la concorrenza, sollecita riforme strutturali. Per le imprese, come per le istituzioni finanziarie, il metro monetario unico accresce l’efficacia del mercato, creando condizioni per accrescere e per migliorare l’offerta di beni e servizi.
In conclusione, un atteggiamento di cautela nei confronti delle facili promesse dei profeti della “nuova economia” sembra d’obbligo. I rischi che una politica monetaria orientata a mantenere stabilità nei prezzi possa frenare l’innovazione tecnologica e la sua diffusione nei processi produttivi sembrano decisamente trascurabili.
Reali appaiono, invece, i rischi in senso opposto: che una politica monetaria che sconti futuri e incerti incrementi di produttività possa portare, soprattutto in un continente che non ha ancora completato i processi di aggiustamento strutturale e fiscale, a tensioni difficili poi da riassorbire. Il messaggio che perviene dagli Stati Uniti d’America è proprio questo: la “nuova economia”, se esiste, nasce e vive bene all’ombra di una Banca centrale anti-inflazionistica. Ed è questo l’input più rilevante e di maggiore spessore che gli Undici devono accogliere.

   
   
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