Giugno 2000

EURO CONTRO DOLLARO

Indietro
Il complesso del simbolo
Alfredo Recanatesi  
 
 

 

 

L’euro è stato
caricato di valori simbolici,
non ultimo quello del complesso
di superiorità
che la cultura
europea avverte nei confronti di tutto
il resto del mondo.

 

L’euro vale meno di un dollaro, e allora? Allora ci siamo tolti l’impiccio di una barriera psicologica eretta esclusivamente dalla improvvida circostanza di aver creato una moneta con un valore unitario prossimo a quello della moneta antagonista: il dollaro, appunto, il cui dominio mondiale l’euro avrebbe dovuto insidiare. L’euro, infatti, è stato caricato di valori simbolici tra i quali, non ultimo, quello del complesso di superiorità che la cultura europea avverte nei confronti di tutto il resto del mondo. Ed è nato, dunque, con lo spirito dell’ingaggio, di una regata che fin dall’inizio avrebbe dovuto condurre in testa sul dollaro con un margine che avrebbe dovuto significare il primato dell’Europa. Ma, se prescindiamo da tutti questi simbolismi impropri o, comunque, mal posti e male interpretati; e se consideriamo il valore delle monete come espressione delle vicende economiche; e ancora se consideriamo le vicende economiche non solo e non tanto come valori puntuali, ma come fluida transizione tra la storia passata e il futuro che si vuole costruire, allora tutto trova una spiegazione pacata e per nulla drammatica.
L’euro è nato e ha mosso i primi passi in circostanze sfavorevoli. E’ nato nel tempo in cui una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche stava trovando la massima e più rapida ricettività nel Paese che, per avere alle spalle la storia più breve, è il più pragmatico, il più concreto, il più flessibile, e che, proprio in virtù di queste qualità, ne ha tratto e ne va traendo il massimo vantaggio. E’ un vantaggio che si misura in termini di prodotto e di profitti: tutto il resto conta poco. Ma tanto basta per attrarre capitali, spingendo la domanda di dollari sempre più in alto. Per contro, l’euro è nato in un’Europa debilitata dal travaglio, reso complesso dalla mancanza di istituzioni politiche comuni e che, di conseguenza, ha comportato manovre monetarie e fiscali di segno fortemente restrittivo. Queste hanno determinato aggiustamenti sociali anche profondi, i quali a loro volta si sono risolti in incertezze di ordine politico. A motivo della sua ben più lunga storia, peraltro, l’Europa ha qualità e valori diversi da quelli che sono necessari affinché le reazioni degli assetti economici e delle strutture sociali al ritmo tumultuoso delle innovazioni tecnologiche possano essere altrettanto rapide. Per l’insieme di questi motivi, la ricchezza finanziaria vi trova scarse opportunità di proficuo investimento e tende a cercarne altrove, alimentando l’offerta di euro.

Che il dollaro salga e l’euro scenda è, dunque, conseguenza dell’iniziale sopravvalutazione e, soprattutto, del divario che, nell’attuale fase storica, la vigoria dell’economia americana può vantare su quella dell’economia europea. Ed è corretto che la Banca centrale europea si astenga da ogni intervento difensivo, dal momento che, a parte l’impatto diretto dei prezzi di quanto deve essere pagato in dollari, l’inflazione non presenta alcun sintomo di propagazione, e dal momento che un deprezzamento dell’euro opera come fisiologico fattore di compensazione della debolezza che l’economia europea presenta rispetto a quella americana. Anche se l’euro è debole e la ripresa è lenta, peraltro, per l’Europa il tempo non sta scorrendo invano. L’esito dell’integrazione monetaria va visto per ben altri aspetti che quelli del match-race col dollaro. Lo si può vedere, ad esempio, nella capacità di sterilizzare ogni iniziativa speculativa che, in altri tempi, avrebbe sconvolto l’Europa. Lo si può vedere nell’accelerazione dell’integrazione tra le diverse economie europee, con imprese che, malgrado persistenti resistenze nazionalistiche, si vanno concentrando e ristrutturando ad un ritmo senza precedenti persino in settori fino a ieri tabù, come la difesa. E lo si può vedere nella crescente consapevolezza che si va diffondendo sulla necessità di forme più avanzate di integrazione politica, o almeno di livelli di concertazione e di decisione sempre più alti, significativi e determinati.
Se le cose procedessero con la maggiore sveltezza che tutti vanno auspicando, sarebbe meglio, questo va da sé. Ma questa è l’Europa: i suoi obiettivi sono molteplici e complessi, e così le sue procedure, e il suo modo di pensare che, per essersi formato in oltre due millenni, tanto elastico non può essere, ma forse non per questo è da buttare. Se ci si dovesse occupare soltanto di prodotto e di profitti, e di null’altro, probabilmente l’euro varrebbe più del dollaro, e misurandosi con le altre monete vincerebbe più regate di “Luna Rossa”. Ma l’Europa non sarebbe più l’Europa.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000