Cè bisogno di dosi massicce di flessibilità,
di apertura dei mercati alla concorrenza, di
liberalizzazioni, senza le quali il confronto con gli Stati Uniti
non regge.
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Ritengo che sempre di più i mercati guardino ai fatti strutturali
ora che, grazie a Maastricht, si sono molto ridimensionati i fatti
drammatici dei disavanzi pubblici. La competitività dellEuropa
è tuttavia insufficiente: per recuperarla, i Paesi dellUnione
devono aumentare efficienza e flessibilità. Sono convinto
che i mercati non mancherebbero di premiare limpegno profuso
nelle riforme strutturali. Il nodo politico della riforma delle
istituzioni comunitarie, poi, conta, eccome! Se il meccanismo di
decisioni dellUnione europea sarà meno paludato, lEuropa
riuscirà ad avere un governo più efficace e non dubito
che i mercati ne prenderanno atto immediatamente. LEuropa
è ancora padrona del proprio destino e non può che
imputare a se stessa le deludenti performances delleuro e
dellinflazione. I Paesi europei hanno fatto molti progressi
rispetto al passato, sono riusciti, anche in questo caso grazie
a Maastricht, a fare ordine nelle quantità macroeconomiche,
ma hanno ancora molto da fare nel contesto microeconomico per reggere.
Cè bisogno di dosi massicce di flessibilità,
di apertura dei mercati alla concorrenza, di liberalizzazioni, senza
le quali il confronto con gli Stati Uniti non regge. Faccio un solo
esempio: grazie al persistere dei monopoli le imprese europee che
utilizzano energia pagano il 60 per cento in più di quelle
americane. Dunque, cè ancora molto da fare nel campo
dellenergia elettrica, del gas, delle poste. La liberalizzazione
reale di questi settori è essenziale per lammodernamento
delle strutture atteso dai mercati per ridare fiducia allEuropa
e alleuro. E mi auguro che i singoli Paesi non si limitino
a fare il minimo indispensabile, ma sfruttino gli obblighi imposti
dalle direttive europee per andare oltre a mettere in moto tutto
il sistema. Questo vale soprattutto per Paesi come lItalia,
ancora ricchi di incrostazioni anti-competitive. Più in generale,
quando si cerca di capire perché nel nostro Paese
pur essendoci scordati i tassi a due cifre del passato permanga
costantemente uno zoccolo di inflazione che non si riesce ad aggredire
e che ci differenzia dagli altri, è sempre più diffusa
la convinzione che ciò dipenda dalle maggiori rigidità:
liberalizzare significa abbattere molte di quelle rigidità.
Per altri versi, lItalia si è mossa bene. Ho apprezzato
chi ha scritto che liberalizzando i servizi, aprendoli al capitale
privato e trasformandone radicalmente la gestione, il governo ha
voluto restituire centralità a una figura sconosciuta alla
politica italiana: i consumatori. Attendo decreti alla prova del
Parlamento: mi auguro che non ci siano passi indietro e che i politici
comprendano che liberalizzare vuol dire ridurre le tariffe per i
clienti. In questo modo le famiglie ottengono migliori servizi e
per di più risparmiano, e le imprese, acquistando energia
a minor prezzo, diventano più competitive.
Comprendo anche che non sempre e non tutte le liberalizzazioni si
traducono in una riduzione reale e importante delle tariffe, le
quali sono spesso pronte ad allinearsi, come nel caso di quelle
telefoniche. La Commis-sione europea ne è consapevole, tanto
da avere attivato tutti gli strumenti della politica della concorrenza
per evitare le politiche di cartello, per impedire allex monopolista
di sfruttare la posizione dominante, per scongiurare che con le
concentrazioni si ricostruiscano situazioni simili al monopolio,
per vietare che i profitti fatti nelle aree di monopolio vengano
impiegati in dumping nei business liberalizzati. Ad esempio, nel
settore dellelettricità la Germania ha fatto una liberalizzazione
molto spinta, ma la Commissione europea ha ritenuto di dover eccepire
sullaccordo in materia di tariffe di trasmissione dellenergia,
avvertendo le autorità tedesche di considerarlo non rispondente
ai princìpi della concorrenza. E poi la Commissione tiene
sotto osservazione tutte le fusioni e tutti gli accordi in corso.
Bruxelles sta molto attenta nel valutare tutti i movimenti.
Non è questione di essere sospettosi nei confronti di tutte
le concentrazioni. E logico che, creato il mercato unico europeo,
le imprese dellUnione si diano una dimensione conseguente.
Anzi, le concentrazioni negli ultimi tempi sono cresciute secondo
una curva esponenziale, tanto che ne esaminiamo ormai circa trecento
allanno.
Mi spiace, semmai, che lItalia latiti in questo campo: nel
1999 lunica operazione di concentrazione italiana è
stata lOpa Generali su Ina. Le concentrazioni richiedono molta
attenzione da parte della Commissione, che nel valutarle non tende
soltanto ad escludere labuso di posizione dominante, ma anche
ad evitare che abbiano lo scopo di eliminare i concorrenti potenziali,
o che diano luogo ad oligopoli. Quanto a impegno, comunque, non
sono da meno gli esami degli accordi di cartello tra imprese, e
degli aiuti di Stato. Che ci sono ancora, altro che! E in proposito
la Commissione europea ha competenze esclusive, immediatamente operative,
sia nei confronti delle imprese che nei confronti degli Stati.
La nuova frontiera, o meglio, una delle nuove frontiere del mio
intervento è quella dei paradisi fiscali, sebbene non mi
occupi più di fiscalità; ma quei paradisi, con certi
aiuti fiscali, coinvolgono la concorrenza. Sarà una bella
battaglia. Sapete qual è stata la lobby più potente,
a giudizio di tutti gli analisti? Quella che si è mossa in
difesa dei duty free, e che aveva dalla sua parte anche premier
del calibro di Blair, Jospin e Schröder. Eppure i duty free
sono stati chiusi, senza traumi per loccupazione né
per i prezzi delle merci. Ne hanno sofferto solo gli abnormi profitti
dei gestori. LUnione europea può vincere. Anche contro
lobbies potenti.
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