Giugno 2000

EURO E FUTURO

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Rischio naufragio
Mario Monti Membro Commissione Europea - Docente Bocconi
 
 

C’è bisogno di dosi massicce di flessibilità, di apertura dei mercati alla concorrenza, di
liberalizzazioni, senza le quali il confronto con gli Stati Uniti non regge.

 

Ritengo che sempre di più i mercati guardino ai fatti strutturali ora che, grazie a Maastricht, si sono molto ridimensionati i fatti drammatici dei disavanzi pubblici. La competitività dell’Europa è tuttavia insufficiente: per recuperarla, i Paesi dell’Unione devono aumentare efficienza e flessibilità. Sono convinto che i mercati non mancherebbero di premiare l’impegno profuso nelle riforme strutturali. Il nodo politico della riforma delle istituzioni comunitarie, poi, conta, eccome! Se il meccanismo di decisioni dell’Unione europea sarà meno paludato, l’Europa riuscirà ad avere un governo più efficace e non dubito che i mercati ne prenderanno atto immediatamente. L’Europa è ancora padrona del proprio destino e non può che imputare a se stessa le deludenti performances dell’euro e dell’inflazione. I Paesi europei hanno fatto molti progressi rispetto al passato, sono riusciti, anche in questo caso grazie a Maastricht, a fare ordine nelle quantità macroeconomiche, ma hanno ancora molto da fare nel contesto microeconomico per reggere. C’è bisogno di dosi massicce di flessibilità, di apertura dei mercati alla concorrenza, di liberalizzazioni, senza le quali il confronto con gli Stati Uniti non regge. Faccio un solo esempio: grazie al persistere dei monopoli le imprese europee che utilizzano energia pagano il 60 per cento in più di quelle americane. Dunque, c’è ancora molto da fare nel campo dell’energia elettrica, del gas, delle poste. La liberalizzazione reale di questi settori è essenziale per l’ammodernamento delle strutture atteso dai mercati per ridare fiducia all’Europa e all’euro. E mi auguro che i singoli Paesi non si limitino a fare il minimo indispensabile, ma sfruttino gli obblighi imposti dalle direttive europee per andare oltre a mettere in moto tutto il sistema. Questo vale soprattutto per Paesi come l’Italia, ancora ricchi di incrostazioni anti-competitive. Più in generale, quando si cerca di capire perché nel nostro Paese – pur essendoci scordati i tassi a due cifre del passato – permanga costantemente uno zoccolo di inflazione che non si riesce ad aggredire e che ci differenzia dagli altri, è sempre più diffusa la convinzione che ciò dipenda dalle maggiori rigidità: liberalizzare significa abbattere molte di quelle rigidità.
Per altri versi, l’Italia si è mossa bene. Ho apprezzato chi ha scritto che liberalizzando i servizi, aprendoli al capitale privato e trasformandone radicalmente la gestione, il governo ha voluto restituire centralità a una figura sconosciuta alla politica italiana: i consumatori. Attendo decreti alla prova del Parlamento: mi auguro che non ci siano passi indietro e che i politici comprendano che liberalizzare vuol dire ridurre le tariffe per i clienti. In questo modo le famiglie ottengono migliori servizi e per di più risparmiano, e le imprese, acquistando energia a minor prezzo, diventano più competitive.
Comprendo anche che non sempre e non tutte le liberalizzazioni si traducono in una riduzione reale e importante delle tariffe, le quali sono spesso pronte ad allinearsi, come nel caso di quelle telefoniche. La Commis-sione europea ne è consapevole, tanto da avere attivato tutti gli strumenti della politica della concorrenza per evitare le politiche di cartello, per impedire all’ex monopolista di sfruttare la posizione dominante, per scongiurare che con le concentrazioni si ricostruiscano situazioni simili al monopolio, per vietare che i profitti fatti nelle aree di monopolio vengano impiegati in dumping nei business liberalizzati. Ad esempio, nel settore dell’elettricità la Germania ha fatto una liberalizzazione molto spinta, ma la Commissione europea ha ritenuto di dover eccepire sull’accordo in materia di tariffe di trasmissione dell’energia, avvertendo le autorità tedesche di considerarlo non rispondente ai princìpi della concorrenza. E poi la Commissione tiene sotto osservazione tutte le fusioni e tutti gli accordi in corso. Bruxelles sta molto attenta nel valutare tutti i movimenti.
Non è questione di essere sospettosi nei confronti di tutte le concentrazioni. E’ logico che, creato il mercato unico europeo, le imprese dell’Unione si diano una dimensione conseguente. Anzi, le concentrazioni negli ultimi tempi sono cresciute secondo una curva esponenziale, tanto che ne esaminiamo ormai circa trecento all’anno.
Mi spiace, semmai, che l’Italia latiti in questo campo: nel 1999 l’unica operazione di concentrazione italiana è stata l’Opa Generali su Ina. Le concentrazioni richiedono molta attenzione da parte della Commissione, che nel valutarle non tende soltanto ad escludere l’abuso di posizione dominante, ma anche ad evitare che abbiano lo scopo di eliminare i concorrenti potenziali, o che diano luogo ad oligopoli. Quanto a impegno, comunque, non sono da meno gli esami degli accordi di cartello tra imprese, e degli aiuti di Stato. Che ci sono ancora, altro che! E in proposito la Commissione europea ha competenze esclusive, immediatamente operative, sia nei confronti delle imprese che nei confronti degli Stati.
La nuova frontiera, o meglio, una delle nuove frontiere del mio intervento è quella dei paradisi fiscali, sebbene non mi occupi più di fiscalità; ma quei paradisi, con certi aiuti fiscali, coinvolgono la concorrenza. Sarà una bella battaglia. Sapete qual è stata la lobby più potente, a giudizio di tutti gli analisti? Quella che si è mossa in difesa dei duty free, e che aveva dalla sua parte anche premier del calibro di Blair, Jospin e Schröder. Eppure i duty free sono stati chiusi, senza traumi per l’occupazione né per i prezzi delle merci. Ne hanno sofferto solo gli abnormi profitti dei gestori. L’Unione europea può vincere. Anche contro lobbies potenti.

   
   
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