Giugno 2000

FINANZIAMENTI UE 2000-2006

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Se le nostre Regioni
si danno una mossa
Flavio Albini  
 
 

 

 

 

La classe dirigente italiana dovrebbe riflettere a lungo
su quel che
ha reso possibile
la trasformazione dell’Irlanda da isola depressa
a “tigre celtica” dell’Europa.

 

L’obiettivo delle politiche strutturali e di coesione dell’Ue è di ridurre le disparità economiche e sociali all’interno dell’Eu-ropa. Uno degli elementi più importanti, utilizzato per misurare la “ricchezza” dei cittadini, è il Pil. L’analisi del Pil pro-capite calcolato per ogni regione ci offre l’immagine della ricchezza dei cittadini. In Europa abbiamo 208 regioni. Di queste, 50 hanno un Pil pro-capite che è inferiore al 75 per cento della media comunitaria. Sono le aree verso le quali si rivolgono con maggiore attenzione gli aiuti economici previsti dai fondi strutturali. Vengono chiamate le regioni ad Obiettivo Uno, per significare che sono quelle che maggiormente stanno a cuore dell’Europa. Tutti gli sforzi, compiuti con spirito di solidarietà da parte dei cittadini europei, mirano a creare le condizioni perché queste regioni, progressivamente, migliorino la loro posizione nella scala della povertà e aumentino il benessere della loro popolazione. L’esperienza e le analisi che si possono effettuare nelle varie regioni ci dimostrano che esiste uno stretto rapporto tra Pil e opportunità offerte ai vari strati della popolazione. Una regione, con un Pil doppio rispetto ad un’altra, presenta la stessa proporzione nella possibilità di ottenere un lavoro, disporre di servizi sanitari, offrire opportunità di scuola e di cultura, organizzare servizi sociali, e via di seguito.
Purtroppo, la differenza di ricchezza è anche cinque volte superiore in alcune regioni rispetto ad altre. Per questo la politica comunitaria ritiene, attraverso la coesione, di spostare ricchezze da zone più ricche verso quelle più povere, per favorire, con risorse e con idee, lo sviluppo di nuove e opportune occasioni di crescita. Parlare quindi dei fondi strutturali significa affrontare il tema della solidarietà tra i popoli.

La riforma. Da quando la politica di coesione ha assunto forte valenza nell’Unione, i fondi strutturali, destinati a creare le strutture e i presupposti per uno sviluppo più rapido e più marcato, hanno subìto modifiche tese a prolungare la durata e a potenziarne gli effetti. La prima organica impostazione è avvenuta per il periodo 1988/93, seguita dalla programmazione 1994/99. I regolamenti, che fissano i presupposti giuridici dei fondi e degli obiettivi, partono dal 1988 e sono stati aggiornati nel 1993. L’Agenda 2000 ha rappresentato una notevole evoluzione negli obiettivi, nei contenuti e nell’organizzazione dei fondi, anche se non ha modificato i fondi propriamente detti, che sono rimasti immutati, e cioè:
– il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr);
– il Fondo sociale europeo (Fse);
– il Fondo europeo di orientamento e di garanzia dell’Agricoltura (Feoga);
– lo Strumento finanziario di orientamento della pesca (Sfop).

Dopo un ampio dibattito sviluppatosi negli organismi europei, (Parlamento, Commis-sione, Comitato economico e sociale, Comitato delle Regioni), il Consiglio europeo di Berlino, nel marzo ‘99, ha definitivamente approvato le linee tracciate dalla Commissione per l’impostazione dei fondi nel periodo 2000-2006. Queste, le principali modifiche:

a) il prolungamento dell’utilizzo dei mezzi, che passa da sei a sette anni;
b) la riduzione degli obiettivi, da sette a tre, e quindi una maggiore concentrazione dei fondi;
c) una maggiore autonomia nell’utilizzo dei mezzi finanziari;
d) la semplificazione delle procedure;
e) la riduzione a quattro (Interreg, Leader, Equal e Urban) dei Piani di iniziative comunitarie, direttamente gestiti dalla Commissione;
f) un premio per le aree più capaci e sollecite nell’utilizzazione dei fondi.

Migliorare l’efficacia dei fondi e realizzare l’obiettivo della coesione economica e sociale costituisce il punto centrale dell’Agenda 2000. Per ottenere lo scopo di rendere più forte la concentrazione di aiuti nelle zone che hanno maggiori bisogni, gli obiettivi sono stati ridotti a tre. I fondi dovranno anche contribuire allo sviluppo equilibrato delle attività economiche, dell’occupazione e delle risorse umane, alla protezione e al miglioramento dell’ambiente, all’eliminazione delle disuguaglianze e alla promozione della parità tra uomini e donne.
I Fondi strutturali, per miliardi di euro, sono stati così suddivisi: 29.430 nel 2000; 28.840 nel 2001; 28.250 nel 2002; 27.670 nel 2003; 27.080 nel 2004; 27.080 nel 2005; 26.660 nel 2006. Il totale è pari a 195 miliardi di euro (circa 800 mila miliardi di lire) per i quindici Stati membri.
In particolare: il 69,7% dei Fondi (135,9 miliardi di euro) viene assegnato all’Obiettivo Uno, compreso il 4,3% (8,38 miliardi di euro) previsto per il sostegno transitorio; l’11,5% (22,5 miliardi di euro) è assegnato all’Obiettivo Due, compreso l’1,4% (2,7 miliardi di euro) per il sostegno transitorio; il 12,3% (24,05 miliardi di euro) viene assegnato all’Obiettivo Tre.

Obiettivo Uno. Promuove lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni che presentano ritardi nello sviluppo. Vi rientrano: le zone in cui il Pil pro-capite è inferiore al 75% della media comunitaria; le regioni ultraperiferiche (Dipartimenti francesi d’Oltremare, Azzorre, Madera, Isole Canarie), tutte al di sotto del 75%; le zone dell’Obiettivo 6 del 1995-99. In Italia, le regioni dell’Obiettivo Uno sono la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.

Obiettivo Due. E’ destinato a sostenere la riconversione economica e sociale delle zone che devono affrontare problemi strutturali, tra le quali figurano le aree che subiscono mutamenti socio-economici nei settori industriali e dei servizi, le zone rurali in declino, le aree urbane in difficoltà e le zone depresse che dipendono dalla pesca, definite in base a criteri obiettivi.
Gli Stati membri proporranno alla Commissione un elenco di aree che soddisfino criteri oggettivi, fatto salvo un massimale di popolazione applicabile a ciascuno Stato membro. L’assegnazione di risorse sarà basata sui seguenti parametri:
– popolazione ammissibile;
– prosperità regionale;
– prosperità nazionale e gravità dei problemi strutturali;
– livello di occupazione.

Obiettivo Tre. Offre un sostegno all’adeguamento e all’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione e occupazione. Si applica al di fuori dell’Obiettivo Uno. Ciascuno Stato mem-bro riceverà delle risorse totali disponibili in base alla propria quota della popolazione complessiva dell’Unione, risultante da ciascun indicatore selezionato con i seguenti parametri:

– sulla popolazione ammissibile;
– sulla situazione dell’occupazione;
– sulla gravità dei problemi: esclusione sociale, livello di istruzione e di formazione, partecipazione delle donne al mercato del lavoro, secondo una ponderazione relativa che sarà indicata dalla Commissione.

Tenendo conto del valore aggiunto che le iniziative comunitarie possono offrire rispetto agli obiettivi principali, il numero delle iniziative sarà ridotto alle seguenti quattro:
1) Interreg Cooperazione Transfrontaliera, transnazionale e interregionale. A questa iniziativa sarà assegnato il 50% degli stanziamenti, in modo da favorire le attività transfrontaliere, soprattutto nella prospettiva dell’allargamento e per quanto riguarda gli Stati membri che hanno frontiere estere con i Paesi candidati ad entrare nell’Ue. La dotazione finanziaria è di 4.875 milioni di euro.

2) Leader, mirato allo sviluppo rurale. La dotazione finanziaria è di 2.020 milioni di euro.

3) Equal Cooperazione Transnazionale, per lottare contro tutte le forme di discriminazione e le ineguaglianze nel mercato del lavoro. Si terrà conto adeguatamente dell’inserimento sociale e professionale dei richiedenti asilo. La dotazione finanziaria è di 2.847 milioni di euro.

4) Urban, finalizzato alla ricerca di soluzioni al grave problema sociale del degrado urbano. La dotazione finanziaria è pari a 700 milioni di euro.

Molteplici sono le ragioni per le quali l’Italia non riesce ad usufruire dei Fondi comunitari che le sono destinati. Prima di tutto, a differenza di altri Paesi, ha decentrato a livello regionale la progettazione e la gestione delle risorse strutturali. Purtroppo, l’inefficienza burocratica e i troppi livelli decisionali impediscono di utilizzare le somme destinate a noi; a ciò si aggiunge la pressoché totale mancanza di informazione.
Nel periodo 1994-99 al nostro Paese sono stati assegnati 44 mila miliardi. Fino al ‘97 a Bruxelles risultava ne fossero stati utilizzati il 20%. Nei due anni successivi la percentuale è più che raddoppiata (45% circa), ma è ancora esigua, ove si pensi che gli altri Stati membri ne usufruiscono mediamente di oltre il 70%, con in testa l’Irlanda che riesce a utilizzarne la quasi totalità. Anche la Spagna e il Portogallo hanno saputo sfruttare efficacemente i Fondi comunitari, con l’aiuto dei quali sono riusciti in pochi anni a rilanciare le loro economie, a dotarsi di valide infrastrutture e a far calare la disoccupazione.
La classe dirigente italiana dovrebbe riflettere a lungo su quel che ha reso possibile la trasformazione dell’Irlanda da isola depressa a “tigre celtica” dell’Europa. Molti dei problemi che ci affliggono, e che affliggono soprattutto il Mezzogiorno, sono aggravati dall’incapacità di organizzare progetti, di sviluppare le potenzialità di piccole e medie imprese, quelle artigianali comprese, di trasformare in ricchezza il clima, i patrimoni artistico, culturale e ambientale, di valorizzare l’intelligenza creativa degli italiani. E’ auspicabile, pertanto, che non si aggiungano occasioni perdute ad occasioni perdute. La progettualità sta in mano alle regioni, in massima parte meridionali. Vedremo, da qui al 2006, se dovremo ancora lamentarci per quel che si poteva fare, e colpevolmente non sarà stato fatto.

   
   
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