Giugno 2000

PROBLEMA FLESSIBILITA’

Indietro
Stalattite Italia
Riccardo Perni  
 
 

 

 

 

Si sta formando nella nostra cultura una corsa ad essere “americani”
negli slogan
e nelle illusioni,
restando “europei continentali” nelle strutture arcaiche
e nelle chiusure
corporative.

 

Non occorre una vista d’aquila per accorgersi che un vero e proprio paradosso ha scatenato la tempesta sulle Borse di mezzo mondo, cioè del mondo che conta. Il problema, infatti, è che l’economia americana cresce molto e da parecchio tempo (oltre il 3% da ormai quasi nove anni consecutivi). Continua a sfornare milioni di nuovi posti di lavoro. La disoccupazione è al minimo storico del 4%. I prezzi si mantengono stabili, con un’inflazione di poco al di sopra del 2%. Così, la finanza e la Borsa non potevano che correre anch’esse. Ed è proprio questo rincorrersi e sostenersi a vicenda tra economia reale ed economia finanziaria il vero “punto di leva”, sono qui i due lati del triangolo virtuoso che in grandissima parte spiega questo “miracolo americano”.

Infatti, quando produzione e occupazione aumentano, la Borsa sale, e, in un’economia americana dove più di cento milioni di cittadini lavoratori sono anche azionisti delle imprese attraverso fondi di investimento e fondi pensione, quegli stessi lavoratori-cittadini “si sentono” più ricchi, e di conseguenza consumano di più.
Simultaneamente, le imprese vedono crescere i consumi, quindi investono aumentando capacità produttiva e occupazione, trovando d’altra parte grandi possibilità di finanziarsi in Borsa. E questi due lati del triangolo si sostengono reciprocamente perché il terzo lato, la base, è dato da un’enorme flessibilità del mercato del lavoro e da una dilagante diffusione delle nuove tecnologie, che insieme fanno aumentare la produttività e tengono a bada sia i costi che l’inflazione.
Ma allora, se il triangolo-volano continua a girare così bene, da dove nascono i timori, le paure? E qui sta il contro-paradosso: quel miracolo americano può durare ancora a lungo soltanto se... si dà una calmata. Infatti, la vera differenza tra economia reale-produttiva ed economia della finanza e della Borsa, è che la prima poggia su dati concreti di consuntivo, mentre la seconda si basa su aspettative “future” di profitto. Da qui, l’importanza del rapporto tra prezzo delle azioni (che esprime le attese dei profitti futuri) e profitti veri e attuali delle imprese, il celebre price-earning ratio.
La “storia economica” dice che quando tutto va bene questo rapporto può stare attorno a 20-25. Sulla Borsa americana è abbondantemente al di sopra di 30. Questo significa che occorrono più di trenta anni di profitti attuali per coprire il prezzo di acquisto di ogni singola azione comprata oggi. Nei titoli tecnologici questo rapporto sfiora spesso e volentieri quota 100, in alcuni casi è addirittura infinito, visto che qualche impresa di questi nuovi settori per ora realizza perdite e non profitti.
Non è allora difficile capire che quell’ingranaggio miracoloso può anche funzionare “a rovescio”. Infatti, se si formano aspettative inflazionistiche, aumentano i tassi di interesse e frena l’economia. Le aspettative di profitto futuro si riducono e i prezzi di Borsa scendono.
Tutti gli operatori cercano di portare a casa i guadagni, e perciò vendono. E in questo modo i prezzi crollano, e quell’ingranaggio miracoloso rischia di dimostrarsi una sorta di catena di Sant’Antonio.
Ma per fortuna, su questo alto rischio di tracollo abbiamo oggi adeguati strumenti di politica economica. Si tratta, infatti, di regolare la liquidità, frenandola quando il motore corre troppo a lungo e troppo velocemente, e allentandola quando la frenata dovesse apparire troppo brusca e violenta. Questo è esattamente ciò che fino ad oggi ha fatto il presidente della Riserva Federale americana, Alan Greenspan. Per questo è ormai evidente che l’aumento di un quarto di punto dei tassi americani è stato necessario per dare un segnale di freno, senza per questo inchiodare l’automobile in corsa.
A ben vedere, però, più che dalla Banca centrale, gli andamenti futuri dipenderanno prevalentemente dai mercati finanziari. Infatti, i fondamentali dell’economia reale sono tuttora buoni negli Stati Uniti, in positiva e netta inversione di tendenza in Asia, e in ripresa anche in Europa. Non ci sono, al momento, dunque, le condizioni per un drammatico tracollo. Dall’altra parte, però, se i mercati dovessero riprendere subito una pazza corsa al rialzo, comprando tutto e di tutto, e a prezzi sempre crescenti, quasi come nell’antica legge dantesca del contrappasso, creerebbero essi stessi, e con le proprie mani, le condizioni per una sempre più probabile esplosione della bolla speculativa.
Ma su tutto questo com’è messa l’Europa? Per tutti gli anni ‘90 ci siamo fatti trascinare dalla locomotiva americana e non abbiamo saputo crescere più dell’1% all’anno.
Abbiamo continuato a demonizzare molti aspetti degli Stati Uniti vantando le grandi conquiste sociali del continente europeo, spesso contrabbandando per giustizia sociale ingiuste, inique e ipocrite protezioni corporative garantite ad una maggioranza di media e alta borghesia, dimenticando i poveri veri e lasciando a terra i giovani. Non abbiamo voluto capire invece che la vera anomalia dell’Europa continentale è l’ingiustizia sociale dilagante quando la crescita è bassa e la disoccupazione è alta.
In queste condizioni, anche i nostri mercati finanziari sono al rimorchio della Borsa di New York. Poi ci siamo messi a scimmiottare gli americani nella rincorsa ai titoli “tecnologici”. Ecco perché sarebbe bene per tutti se, da un lato, gli Stati Uniti si dessero una calmata, ma, dall’altro lato, se l’Eu-ropa si desse una svegliata. Certo, il «contr’ordine, compagni!» dato dal cancelliere Schröeder prima di Natale con l’annuncio di un forte abbattimento della pressione fiscale può essere stato anche una sonora sveglia. Siamo però ancora in attesa di sapere con quali contenimenti di spesa pubblica egli intenda trovare le risorse per le riduzioni fiscali.
E da noi, in Italia, si sta aggiungendo un altro paradosso. Infatti, si sta formando nella nostra cultura una corsa ad essere “americani” negli slogan e nelle illusioni, restando “europei continentali” nelle strutture arcaiche e nelle chiusure corporative. Si privatizza cedendo aziende di Stato ad altre aziende di Stato che invadono settori non di Stato. Si pretende di far decollare i fondi pensione facendo finta di non sapere che finché il peso del sistema pensionistico pubblico è pari al 42% della retribuzione, i lavoratori non potranno che dedicare qualche spicciolo ai fondi stessi. Facendo cioè finta di non capire che i fondi non debbono essere “integrativi”, ma in gran parte “sostitutivi”, e che i fondi pensione possono crescere sul serio soltanto in parallelo alla riduzione delle aliquote Inps di contributi sociali. Facendo finta di non capire che per fare questa transizione occorre cominciare eliminando l’ingiustizia delle pensioni di anzianità. Facendo finta di non capire che la flessibilità contrattuale e salariale “aumenta” le opportunità di lavoro per tutti.
Ecco perché serve poco dire a parole di essere “americani”, mentre sostanzialmente si resta “europei continentali”. Meglio allora tornare alle nostre vere radici, al sen-so della civitas, al significato profondo della polis. E comunque ricordarsi sem-pre che «errare è umano, ma perseverare nell’errore è diabolico».

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000