Limmagine
che ne emerge
è quella di unAfrica che sta combattendo
la sua prima guerra mondiale.
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E stato scritto che il nazionalismo è lo spettro del
XX secolo, che minaccia di sorgere e turbare i programmi e le fedi
del XXI secolo, che sembra destinato allegemonia non tanto
della Superpotenza reale, quanto della sua proiezione virtuale.
Un maledetto Novecento si pone come un transito arduo,
una barricata fra le Età degli Imperi e quella del Potere
illimitato della Morale in armi. La parola alle statistiche: nel
corso del XX secolo il numero degli Stati si è quadruplicato
sulla Terra. Il dato rispecchia il dissolvimento degli imperi coloniali
e di conseguenza la rinascita di diverse nazioni in Asia e la nascita,
per la prima volta nella storia, di dozzine di Stati in Africa e
di mini-Stati nei Caraibi e nelle remote distese del Pacifico. Se
poi prendiamo una carta geografica dellEuropa, continente
nel quale lo Stato nazionale è nato e dove, secondo alcuni,
è destinato a morire, e la confrontiamo con quella di cento
anni fa, scopriamo che nel corso del Novecento degli Imperi
il numero degli Stati europei è più che raddoppiato.
Proteso comè nel cuore del Mediterraneo, il Sud dItalia
è al centro di due sistemi-situazioni decisamente diversi
tra loro. Alle spalle ha un sistema sostanzialmente stabile, unarea
che non è azzardato definire mediamente ricca: lEuropa
occidentale e in misura minore centrale, che attrae il resto del
Vecchio Continente finora penalizzato da decenni di governi totalitari.
Di fronte, invece, ha unAfrica drammaticamente instabile (e
un Vicino Oriente in continuo fermento), con aree a rischio e con
zone rese off limits da stati di guerra e di guerriglia che escludono
possibilità di rapporti di qualsiasi tipo, soprattutto commerciali.
Da una parte, dunque, per esportare i propri prodotti il Sud deve
affrontare le accanite concorrenze interne allEuropa (con
i Paesi dellEst che possono produrre a costi inferiori e possono
contare su contiguità geografiche favorevoli); dallaltra,
la situazione esplosiva di numerose aree del Continente Nero e del
Vicino Oriente rendono estremamente difficoltose le intese e interdicono
ogni tentativo di stabilire ponti di interscambio. In questo senso,
la storia, non soltanto economica, del Mezzogiorno è storia
traumatica, emergente, difficile da rimettere in corso, perché
dipende da fattori esterni, imponderabili. E pertanto fuori controllo.
Vediamo qual è la situazione europea, quale ci è
stata consegnata dalla storia del XX secolo. La prima nazione del
Nove-cento è stata la Norvegia, che nel 1905 conquistò
la piena indipendenza, tagliando lultimo cordone ombelicale
con la Svezia, quello dellunità dinastica. Tre anni
dopo, il 5 ottobre 1908, nacque la Bulgaria, che nei fatti esisteva
da qualche decennio, ma che era nominalmente ancora sotto la sovranità
ottomana. Sempre dalla disgregazione dei dominii della Sublime Porta
di Istanbul nacque, il 26 novembre 1912, lAlbania, destinata
a riperdere lindipendenza quando venne inglobata dallItalia,
e a ritrovarla alla fine del secondo conflitto mondiale.
Queste tre nazioni, così diverse fra loro, furono le sole
a nascere in anticipo sul primo grande scossone, quello innescato
dai colpi di revolver di Sarajevo. Nel corso della Grande Guerra,
poi, la politica americana proclamò la dottrina Wilson,
che almeno nelle intenzioni proclamava il principio dellautodeterminazione
dei popoli. Di questa dottrina fruirono immediatamente quattro
Paesi: la Finlandia, nata il 6 dicembre 1917 dal crollo dellImpero
dello Zar e strappando il cordone ombelicale dellunione dinastica
con la Russia; e, alla fine del 1918, la Polonia, resuscitata dopo
più di un secolo dalla spartizione di fine Sette-cento che
ne aveva lasciato la più gran parte sotto il dominio russo;
lUngheria, che il 16 novembre dello stesso anno diede laddio
allaquila bicipite degli Absburgo abdicanti e allAustria;
la Cecoslovacchia, che si formò in massima parte da pezzi
liberatisi dal potere di Vienna. Identica sorte venne proclamata
per gli slavi del Sud, in Jugoslavia, che in seguito, fino ai nostri
giorni, dovevano conoscere continui, infiniti tormenti.
Le scosse di assestamento post-belliche portarono, il 25 ottobre
del 1922, alla proclamazione dellindipendenza dellIrlanda,
unico caso di territorio perduto da un Paese vincitore della prima
guerra mondiale, lInghilterra, e non da uno vinto. Così
come la seconda guerra mondiale registrò la rottura del legame
tra la Danimarca e lIslanda: lisola, passata agli inglesi,
poi affidata agli americani, proclamò la propria sovranità
completa il 17 giugno 1944. Ne seguirono lesempio altre due
isole, luna e laltra uscite dallImpero britannico
sullonda lunga della decolonizzazione: il 6 agosto 1960 Cipro,
geograficamente terra asiatica, ma considerata europea per la sua
precaria indipendenza e per ladesione allUe; e il 21
settembre 1964 Malta, geograficamente terra africana, ma europeizzata
in modo analogo.
E ci saremmo potuti fermare qui, se non fosse sopraggiunto lultimo
terremoto, che ha visto il crollo del superstite Impero geografico,
quello sovietico. E cronaca recente: Gorbaciov tentava di
tenere unita lUrss con il collante delle riforme, quando lEstonia
bruciò le tappe e si dichiarò indipendente l8
marzo 1990, seguita l11 marzo dalla Lituania e il 4 maggio
dalla Lettonia. Poi, allaltro capo, si mosse il Caucaso: il
9 aprile 1991 fu il giorno della Georgia, il 30 agosto quello dellAzerbaigian,
il 23 dicembre quello dellArmenia. Nel frattempo, era esplosa
la grande mina al centro del vecchio Impero: il 24 agosto 1991 proclamò
lindipendenza lUcraina, il 27 agosto la Moldova. Negli
stessi giorni, a dir la verità, aveva proclamato la propria
indipendenza anche la Russia, che comunque non può entrare
nel novero dei Paesi nati nel XX secolo. Con quel suo gesto si limitò
a cancellare lUnione Sovietica, costringendo allindipendenza
le Repubbliche asiatiche e, ultima, la Bielorussia, il 25 ottobre
1991.
Restava nel limbo langolo sud dEuropa, quello della
Jugoslavia nata nel 1918, defunta pro tempore nel 1941 con lindipendenza
della Croazia e del Montenegro, risorta nel 1945 sotto il tallone
di Tito, ma destinata a sopravvivergli per poco. Il 25 giugno 1991
la Croazia tornò a proclamarsi indipendente, e la Slovenia
lo fece per la prima volta. Poco dopo, mentre gli slovacchi secedevano
pacificamente dai cechi, dichiararono la propria sovranità
la Macedonia (15 settembre 1991) e la Bosnia-Erzegovina (3 marzo
1992): separazioni che originarono una catena di guerre oggi soffocate,
ma non del tutto spente. Serbia e Montenegro, rimaste sole, almeno
formalmente resuscitavano una piccola Jugoslavia il 27 aprile 1992.
Ma al loro interno ribolliva la tragedia etnica aggiuntiva del Kosovo.
Nellarea balcanica, a quasi cento anni di distanza, nulla
è più riconoscibile. Vi è stato solo un passaggio
di influenze: allImpero ottomano si è sostituita lAmerica.
Woodrow Wilson non riuscì a far passare del tutto la sua
formula sullautodeterminazione dei popoli. Lostacolò
il suo stesso segretario di Stato, Robert Lansing, che definì
lespressione «carica di dinamite»: «Susciterà
speranze che non si realizzeranno mai e costerà migliaia
di vite».
Lultima notizia giunta dallAfrica in sommovimento è
che gli hutu, francofoni, non tollerano lappoggio del Regno
Unito e degli Usa alletnia tutsi: perciò è riesplosa
la guerriglia etnica. A gennaio, dopo la stagione delle piogge,
è ripresa la guerra dei sassi, ma combattuta
con artiglierie e armi automatiche, fra Addis Abeba e Asmara, che
si contendono un centinaio di chilometri quadrati di deserto al
confine tra Etiopia ed Eritrea: costo di un caricatore di mitra
Ak-47, circa 100 dollari; costo di due proiettili per mortaio, da
100 a 150 dollari; costo della guerra per ciascuno dei due belligeranti,
un milione di dollari al giorno. Gli etiopi hanno un reddito medio
annuo pro capite di 110 dollari, gli eritrei di 165 dollari. Dal
raffronto delle cifre emerge lassurdità della guerra
dei sassi. LEritrea, che dal 1952 era parte integrante
dellEtiopia, era diventata indipendente nel maggio 1993, dopo
trentanni di guerriglia.
Paesi e regimi che fino agli inizi degli anni 90 erano tutelati
da grandi e medie potenze, oggi sono abbandonati a se stessi. Gli
aiuti allo sviluppo sono crollati. Anche se gli investimenti occidentali
sono cresciuti, beneficiari sono stati soprattutto sei Paesi (Sudafrica,
Uganda, Ghana, Costa dAvo-rio, Togo e Lesotho). Gli altri
47 Paesi, dei 53 che conta attualmente lAfrica, sono stati
lasciati al palo. E la loro situazione economica si è degradata:
una quarantina hanno visto crollare il Pil; miseria e malattie fanno
il resto. Nel continente, solo una decina di Paesi supera la barriera
di un reddito pro capite di un dollaro al giorno, una trentina sfiora
i 250 dollari, la Repubblica democratica del Congo, ex Zaire, stenta
a raggiungerne 38, anche se i suoi giacimenti di rame sono tra i
più ricchi al mondo, anche se possiede miniere di zinco,
manganese, cobalto, e giacimenti di petrolio, e anche se estrae
16 mila carati di diamanti allanno, venduti al mercato nero
per 500 milioni di dollari.
E sono i diamanti e gli altri giacimenti minerari a far gola allUganda,
al Ruanda e al Burundi, contrastati bellicosamente dal-lAngola,
dallo Zimbabwe, dalla Namibia, dal Sudan, dal Ciad e persino dalla
Libia. Limmagine che ne emerge è quella di unAfrica
che sta combattendo la sua prima guerra mondiale.
Intanto, lAngola non viene a capo della rivolta del movimento
Unita, che dal momento dellindipendenza, nel 1975,
contesta il potere di Luanda. Il Sudan si batte da quarantanni
contro le popolazioni cristiane e animiste del Sud, e da tre lustri
ha adottato nei loro confronti una politica di sterminio. Identico
comportamento quello del Ciad, sempre contro il suo Sud e sempre
contro le popolazioni cristiane, mentre lo Zimbabwe è alle
prese con le rivolte per fame, e Uganda, Ruanda e Burundi sono insanguinate
dalla guerriglia degli hutu.
Conflitti di frontiera, guerre civili interetniche, guerre religiose
scatenate dagli integralisti islamici, guerre di conquista: lAfrica
non sta correndo verso il baratro. Vi è precipitata. La Nigeria
e il Camerun si contendono in armi la piccola penisola di Bakassi,
al largo della quale sono stati scoperti giacimenti di petrolio.
In Sierra Leone si combatte ferocemente: i ribelli amputano le mani
ai soldati e ai civili rimasti fedeli al governo. In Congo Brazzaville
è guerra civile tra le popolazioni del nord di etnia mbochi
e quelle del sud di etnia laris. La miserrima Guinea Bissau deve
far fronte alla ribellione di una parte dellesercito. Il Senegal
combatte i tentativi di secessione della sua regione del sud, la
Casamance. Il Marocco contrasta la guerriglia del Fronte Polisario
che vuole lautodeterminazione del Sahara ex spagnolo. La Somalia
non è più uno Stato, non ha un governo da otto anni,
non ha rappresentanze diplomatiche, non occupa più neanche
il seggio allOnu. In Algeria le vittime causate dagli estremisti
islamici ha causato negli ultimi cinque anni oltre 40 mila morti.
Fame e carestie. Esodo delle popolazioni (almeno 7 milioni di profughi).
A sud del Sahara, laids. Ovunque, tifo, colera, poliomielite,
tubercolosi, lebbra. E la maledizione dellAfrica, il
continente che, almeno in buona parte, sembra voglia suicidarsi
giorno dopo giorno.
Il Sud Italia è tra il futuro (lEuropa, sia pure con
tutte le sue contraddizioni) e il passato (lAfrica, con i
terribili riflessi della colonizzazione e della catechizzazione
forzata dei musulmani). A latere, un Vicino Oriente che sembra cercare,
sia pure faticosamente e non senza strappi cardiaci, una stabilità
e una pace meno precaria. Le recenti aperture attuate dallItalia
(con la Libia, col Marocco, con alcuni Paesi mediorientali) sono
di buon auspicio, per il nostro Paese e per le prospettive di relazioni
commerciali con le aree produttive del Mezzogiorno. Ma il cammino
sembra essere ancora lungo e irto di ostacoli. Grandi interessi
(energetici, strategici, ecc.) complicano quadri generali e settoriali
in scacchieri che potrebbero rappresentare per il nostro Sud una
grande frontiera, in nome e in virtù di quella pacifica politica
mediterranea che è vocazione naturale, e per tanti
aspetti storica, dei popoli rivieraschi. Ai quali il Mediterraneo
appartenne fino allXI secolo, quando diventò bizantino,
prima di essere europeo-occidentale col XIII secolo, e lago di tutti
e di nessuno dal XVI secolo ai nostri giorni. Una koiné (storia,
cultura, scienza, tradizioni, riti, urbanistica e architettura persino)
che viene da molto lontano potrebbe essere alla base di una rinascita
comune, tra uguali, saldando tre continenti. Forse è utopia.
Ma chi può sapere quali strade percorrerà la storia
del nuovo millennio?
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