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LEuropa aveva celebrato in anticipo lingresso nel nuovo
millennio lanciando da Helsinki la più ambiziosa, ma anche
la più temeraria delle sue sfide: lestensione del modello
di civiltà dellUnione a tredici Paesi candidati che
comprendevano anche la Turchia musulmana, in grandissima parte asiatica
e ancora profondamente diversa da noi nella concezione della democrazia.
Dopo la realizzazione del mercato unico, dopo il varo della moneta
comune, lEuropa delle conquiste fatte in casa ha preso atto
delle moderne realtà geopolitiche, volgendosi allesterno.
E ha aperto così una fase interamente nuova della sua storia,
nella quale al magnetismo economico sempre esercitato presso gli
aspiranti dovrà accompagnare, su scala sempre più
vasta, una capacità di aggregazione politica, culturale e
religiosa.
Sulle rovine di Yalta, Carlo Magno tende una mano a Maometto. Viene
smentito lo scontro fra civiltà annunciato da Huntington,
e il secolo breve, almeno in Europa, si conclude con
una dinamica unificante che Hobsbawm non aveva presagito.
Ma lUnione sa bene davere sottoscritto una scommessa
ad alto rischio: sarà essa ad europeizzare i prossimi compagni
di strada, oppure saranno piuttosto costoro a svuotare lidentità
europea, a renderla troppo diversificata e perciò inconsistente?
E questEuropa multiculturale, che i Quindici hanno disegnato,
fin dove arriverà, dove si darà un invalicabile confine
geografico? A che punto comincerà il deserto dei Tartari,
dal quale metaforicamente si aspetterà lattacco?
Nel mondo senza blocchi che ha resuscitato i nazionalismi e i conflitti
etnico-religiosi, lUe non poteva rimanere alla finestra e
chiudersi in se stessa. La fortezza si sarebbe scoperta assediata,
esposta al male supremo dellinstabilità, comè
accaduto, e tuttora accade, nei Balcani. Ma se la memoria storica
promette di rendere più agevole (e più concorrenziale)
il riassorbimento di quella che Milan Kundera chiamava «lEuropa
rapita», (la Polonia, lUngheria, lex Cecoslovacchia),
le adesioni che avranno luogo a partire dal 2003 (fin forse al 2015)
rappresenteranno ugualmente un collaudo formidabile per la volontà
di integrazione comunitaria.
Senza mettere in conto la Turchia, che dovrà nel frattempo
uniformarsi alle regole europee in tema di diritti umani, i dodici
futuri soci, (Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia,
Cipro, e poi anche Lettonia, Lituania, Slovacchia, Romania, Bulgaria
e Malta), rappresentano il 46 per cento della popolazione dellUnione,
ma soltanto il 7 per cento del suo Prodotto interno lordo. Il tasso
dinflazione si aggira su cifre mediamente molto elevate. Ma
i dati economici sono soltanto la punta delliceberg delle
diversità, nel costume e nelle culture nazionali, nelle confessioni
religiose, nei modelli democratici, nella tutela delle minoranze,
nella gestione dellambiente, nella libertà dinformazione,
in quel modello di civiltà, insomma, che lEuropa
deve riuscire ad esportare per non votarsi al suicidio.
Il destino dellEuropa, tuttavia, dipenderà anche, o
soprattutto, da altro: dalla sua capacità di penetrazione
culturale, dalla forza che la sua civiltà dimostrerà
di avere sul campo. Quando poi anche la Turchia sarà della
partita, questEuropa accoglierà con lIslàm
laicizzato dei discepoli di Ataturk e con un pezzo dAsia anche
la fierezza di un impero decaduto. La scommessa, allora, vivrà
il suo momento decisivo.
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