Il riformismo
napoletano
venne distrutto dalla sanguinosa guerra civile e dalle forche di
Piazza Mercato, alle quali vennero appese le più belle intelligenze
dellepoca.
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Andando al di là della barricata, e rivangando la storia
dei legittimisti che riconquistarono il Regno di Napoli, mettendo
fine allesperienza della Repubblica Partenopea, viene subito
in evidenza che fu calabrese la guida militare, politica e religiosa
della Armata Cristiana della Santa Fede, sotto il cardinal
Ruffo; furono calabresi i capi-massa che raccolsero
e guidarono le masse sanfediste; in massima parte calabresi gli
uomini in armi che, col distintivo della coccarda candida sui berretti,
riportarono sul trono Ferdinando IV. Uno degli storici coevi, il
Galante, chiama «calabresi» gli uomini che, raccolti
nella Locride ai primi del febbraio 99, dilagarono verso Nord,
espugnando città e villaggi, saccheggiando abitati e campagne,
già depredati dai repressori dellarmata francese.
La controrivoluzione fu veloce e inarrestabile. Il 7 marzo i reparti
sanfedisti erano a Catanzaro, il 15 a Cosenza, nelle settimane successive
si allargarono a macchia dolio nella Basilicata e nella Puglia,
dove fu messa a sacco la piazzaforte di Altamura, e dove i rivoltosi
si unirono con lesercito di tremila turchi e russi sbarcati
nel porto di Brindisi per restituire il trono al Borbone. Lavanzata
sanfedista fu propiziata anche da avvenimenti internazionali: i
francesi furono costretti a ripiegare a nord per controbattere linvasione
della Lombardia da parte dellesercito austriaco e quella dei
russi che, agli ordini del generale Suvorov, stavano approfittando
della spedizione del Bonaparte in Egitto.
E fu proprio la ritirata delle truppe francesi a lasciare solo il
governo giacobino di fronte alla reazione sanfedista, e a mettere
a nudo le fragili strutture del governo repubblicano, la frattura
tra le istituzioni del regime rivoluzionario e la popolazione, soprattutto
gli strati popolari, i contadini e i proletari metropolitani. La
Repubblica Partenopea, in realtà, non ebbe mai la possibilità
di contare sulla borghesia, agraria, manifatturiera o mercantile,
che non esisteva nel Sud ancora in gran parte feudale. La rivoluzione
fu realizzata da avvocati, uomini di lettere e di scienza, professionisti,
parte del clero, parte della nobiltà conquistata dalla cultura
rivoluzionaria transalpina e dallepopea della presa della
Bastiglia. E distinzione di classe ci fu, di conseguenza, ai vinti
condannati a morte: scure per i nobili, forca ai borghesi. La grande
mattanza alla quale Fabrizio Ruffo cercò di metter freno
con un armistizio stracciato da Ferdinando IV (ma prima ancora,
decisamente, dallammiraglio Nelson e dalla regina di Napoli,
sua amante) fece calare il sipario sulla Rivoluzione e sui suoi
nobili ideali. Era stata realizzata, la Repubblica, nel gennaio
99, con lingresso a Napoli delle truppe di Championnet;
si concluse nello spazio di un mattino, a metà giugno, con
la partenza dalla città delle stesse truppe. I grandi utopisti
napoletani rimasero in trappola, prigionieri di se stessi,
prima ancora che della livorosa contro-reazione borbonica.
In realtà, la drammatica esperienza dei rivoluzionari non
fu contrassegnata da alcuna presenza riformista: ogni iniziativa,
ogni tentativo di riforma delle istituzioni in direzione antifeudale
e anticentralistica furono vanificati dalla rapida successione degli
eventi e dalla ferocia delle armi e dallo scontro senza tregua fra
unutopia generosa quanto astratta e una reazione determinata
quanto in seguito delusa. Il riformismo napoletano, che pure aveva
segnato gran parte del secolo fra il regno di Carlo III e la guida
di Bernardo Tanucci, ispirata a criteri riformatori anticipatori
durante la reggenza nei primi anni del regno dello stesso Ferdinando
IV, venne distrutto dalla sanguinosa guerra civile e dalle forche
di Piazza Mercato, alle quali vennero appese le più belle
intelligenze dellepoca, e in virtù delle quali il Regno
rimase, per almeno una generazione, senza pensiero.
In breve tempo, fu oscurata la tradizione politica, civile e intellettuale
dei Giannone, dei Filangieri, dei Genovesi, dei Galiani. Sul Regno
scese il freddo glaciale della più tetra restaurazione.
Due altri fallimenti contraddistinsero lesperienza repubblicana
partenopea: quello di Ruffo, il quale, riconquistato il Regno, tentò
inutilmente di pacificarlo, salvandone le menti più elevate;
e quello dello stesso generale Championnet, il quale, entrato in
Napoli dopo aver piegato le folle legittimiste (che lasciarono sul
terreno diecimila morti), tentò altrettanto inutilmente di
colmare il baratro che si era aperto fra truppe francesi e repubblicani,
da una parte, e popolo minuto, plebe e contadini di città
e di campagna, dallaltra, avendo intuito che attraverso quel
varco poteva passare la reazione. Come, in effetti, accadde.
Unultima ipotesi vuole che la debolezza dottrinaria dei repubblicani
napoletani sia stata determinata dallispirazione esclusivamente
francese e giacobina della loro cultura, e più marcatamente
dalla mancata conoscenza della tradizione costituzionale inglese.
Ipotesi non peregrina, e comunque da avvalorare, semmai, attraverso
una ricognizione più puntuale della documentazione storica
del tempo. Più arduo, invece, ci sembra sostenere che il
mito giacobino abbia influenzato in seguito la successiva storia
della destra autoritaria e della sinistra anche eversiva, fino allattuale
versione giustizialista. La lezione di quegli anni (e della breve
età della Rivoluzione napoletana) è tutta ancora da
rileggere, sui versanti delle spinte ideali, delle attuazioni pragmatiche,
della realtà civile della società partenopea e meridionale
dellepoca.
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