Certo,
non tutte
le nazioni possono pretendere un inno come quello olandese,
il più antico canto
ufficiale europeo.
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Che cosa cè di più definitivo del provvisorio?
Poco o nulla, riteniamo. Fratelli dItalia, il
nostro inno nazionale, fu infatti definito provvisorio,
con scarsa lungimiranza. Esempio tuttaltro che unico, nella
storia della musica. Compositori di genio di varie epoche, ad esempio
John Dowland o Eduard Strauss, erano convinti di produrre musiche
da consumo, note effimere, e invece ad ogni ascolto ancora oggi
ne restiamo affascinati. Allo stesso modo, Funiculì
funiculà nacque per celebrare la funicolare partenopea:
chi avrebbe mai presagito che sarebbe stata nobilitata nientemeno
che da Gustav Mahler (Wo die schönen Trompeten blasen),
da Hugo Wolf (Variationen über Funiculì
funiculà) e Richard Strauss (Aus Italien)?
Vogliamo dire: leffimero cè, e si può
agevolmente riconoscere nelle composizioni dedicate
al contesto politico. E con leffimero, cè lorrendo,
il Brutto per eccellenza, il Brutto da discarica, generalmente intriso
di zelo, se non proprio di turpe servilismo, come abbiamo potuto
ascoltare nel corso di un recente Festival con un rap
abbaiato in favore dellabbattimento del debito dei popoli
in via di sviluppo.
Anche se non sempre è così. Perché a volte
la politica ha in sé lenergia del grande impulso, della
grande ispirazione, del grande progetto, persino della grande utopia.
E solo ed esclusivamente in questo caso laccostamento tra
versante politico e musica di qualità autentica può
reggere. Nel 1840 Berlioz compose la Grande symphonie funèbre
et triomphale per celebrare la Rivoluzione di Luglio di dieci
anni prima. Weber e Beethoven esaltarono le vittorie alleate contro
Napoleone, il primo con louverture Jubel, del
1818, in cui appare linno God save the King (ma
inteso come inno prussiano, non britannico, avendo le due nazioni
quella musica in comune), e il secondo con il Wellingtons
Sieg, del 1813, dove si confrontano due melodie patriottico-militari,
Marlborough se ne va alla guerra (i francesi) e Rule
Britannia (gli inglesi), tra divertenti scariche di fucileria
e tonanti colpi di cannone. Come è stato sottolineato, in
casi simili loccasionalità della composizione (spesso
si tratta di una committenza) non riesce a render brutta la musica,
che anzi sopravvive alloccasione storica: la rivoluzione
orleanista fu, politicamente parlando, cosa ben miserevole (si leggano
i romanzi-capolavoro di Eugène Sue), Wellington non fu migliore
di Napoleone come macellaio di soldati, mentre la Symphonie
funèbre di Berlioz e le marginali composizioni di Weber
e di Beethoven sono molto ben tagliate, e si ascoltano sempre con
piacere. In esse, con ogni probabilità, ci sono più
Patria e più senso politico che negli eventi celebrati.
Tutto questo ci accosta a un altro tema, che è quello degli
inni nazionali. Si tratta di arte applicata, e qualche
volta il prodotto è tuttaltro che malvagio. Tanto per
fare un esempio comparato, piccoli Stati hanno a volte inni più
decorosi che non grandi potenze. Federico Consolo (Ancona, 1841
Firenze, 1906) era un musicologo di modeste ambizioni locali
ma di onesta competenza, di formazione più che altro francese
(Vicuxtemps, Fétis, Liszt), e oltre a una Suite orientale,
di magistrale orchestrazione e a Melodie ebraiche, compose
la musica per linno della Repubblica di San Marino, Onore
a te, su testo di Giosuè Carducci. Ebbene, il risultato
è nobile: i versi del Carducci sono commossi (il poeta amò
moltissimo San Marino) e per nulla retorici, e la musica aderisce
con straordinaria classicità e con eccellente freschezza.
Altre nazioni celebrano se stesse su musiche di Arne, di Händel,
di Haydn, di Sibelius; noi, oltre tutto, avremmo avuto Vivaldi,
Corelli, Scarlatti, autori geniali e nobilissimi, coevi più
o meno di quelli che abbiamo citato. Quanto ai musicisti contemporanei
di Haydn, Paisiello e Cimarosa scrissero variamente inni patriottici
sia per il Regno delle Due Sicilie sia per la Repubblica partenopea.
Non proprio capolavori, ma comunque di buon livello. LItalia
repubblicana avrebbe potuto adottare quelle musiche, preferendone
il settecentismo che vi si coglie, al posto di Fratelli dItalia?
Alcuni lo sostengono, altri si oppongono a ipotesi come questa,
e il dibattito è ancora in corso.
Certo, non tutte le nazioni possono pretendere un inno come quello
olandese, il magnifico Wilhelmus van Nassouwe, il più
antico canto ufficiale europeo (testo attribuito a Philip Marnix
van St. Aldegonde, musica di autore ignoto), che tira in ballo Guglielmo
dOrange, il conte di Egmont, la leggenda di Thyl Ulenspiegel
e la lotta per la libertà contro il duca dAlba e Filippo
II. Piccola, lOlanda: ma la grandezza del Paese non è
necessariamente proporzionale alla qualità dellinno.
Quello degli Stati Uniti, poi, con testo di Francis Scott Key e
con musica di John Stafford Smith, entrambi vissuti tra Sette e
Ottocento, è fra i più belli, e continua ad emozionarci
quando lo ascoltiamo in Madama Butterfly di Puccini;
quello russo zarista, Dio salvi lo Zar, su musica di
Lvov, era di grande maestà (lo cita Ciajkovskij nellouverture
1812); quello sovietico (con testo di Lebedev-Kumach,
con musica di Aleksandrov, istituzionalizzato nel 1943 e noto come
Inno di Stalin) è musicalmente orrendo.
Come ha scritto Esteban Buch, non cè vera e propria
musica politica prima dellera moderna, vale a
dire prima del consolidarsi nella coscienza e nellimmagine
pubblica (oltre che nelle istituzioni e nei rapporti di forza) degli
Stati assoluti e centralizzati. La storia nasce non in Francia o
in Germania, e meno che mai in uno degli staterelli italiani ante-Unità;
nasce in Inghilterra. I contrassegni musicali che lasciano una traccia
profonda nella vita politica inglese vengono alla luce quasi simultaneamente:
nel 1740 Rule Britannia, di James Thomson e Thomas Augustin
Arne; nel 1742, lHallelujah dal Messia
di Händel, musica dinanzi alla quale il re si alzò in
piedi, fondando una tradizione; nel 1745, il God save the
King, melodia di autore sconosciuto, ma tanto vitale da diventare
linno svizzero, prussiano, eccetera, oltre che britannico.
La Nona sinfonia di Beethoven, ottantanni dopo,
non ebbe la stessa capacità di penetrazione politica,
ma dopo altri novantanni, al tempo della prima guerra mondiale,
divenne oggetto di contesa tra gli apostoli della Kultur
e quelli della Civilisation (la polemica che oppose
tra loro i fratelli Thomas e Heinrich Mann). Dopo il 1918, quando
nacque lUnione Paneuropea di Richard Coudenhove-Kalergi, si
cominciò a riflettere: E se fosse il Finale della
Nona linno nazionale di una futura Europa? .
In mezzo, vicende ricche di curiosità, compresa la passione
di Bismarck per la musica, da lui amata come «premessa della
guerra e dellalcova».
Riuscirà lode An die Freude ad essere linno
dellEuropa unita? E meglio ancora: riuscirà lEuropa
a meritare come inno quella musica? Se gli eurocrati non parleranno
soltanto di moneta unica, di commercio globale, di Pil nazionali...
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