Settembre 2000

PER IL MODELLO DI CRESCITA

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A scuola dall’Europa
Stanley Fisher Premio Nobel per l’Economia - Vicepresidente del FMI
 
 

 

 

 

 

 

Siamo stati
severamente
criticati per il ruolo avuto in Russia,
a fronte
degli scandali
di corruzione
e della probabile
distrazione di fondi.

 

Il Fondo monetario internazionale ha lanciato diversi richiami all’Europa sulla necessità di riforme strutturali. Il Rapporto di una nostra missione in Germania ha sottolineato che in qualche caso le misure adottate «vanno nella direzione sbagliata». E tre economisti tedeschi in visita di studio al Fondo hanno messo in rilievo la necessità di maggior flessibilità nei mercati del lavoro europei, per sfruttare i benefici dell’Unione monetaria. La questione è estremamente importante. In particolare, il Rapporto sulla missione in Germania, nell’ambito dei compiti di sorveglianza del Fondo, è stato reso pubblico per la prima volta, nella speranza che possa contribuire al dibattito. La conclusione principale è stata che, anche nel rispetto della tradizione tedesca di un’economia di mercato sociale, c’era la possibilità di fare molto meglio sul fronte dell’occupazione, affrontando le debolezze strutturali e gli incentivi a non creare posti di lavoro. L’importanza è enorme, perché il Paese è il più grande d’Europa ed è in ritardo. Bisogna capire perché, e trarne le conseguenze per il resto d’Europa. L’Italia ha problemi molto simili. Per la Francia si tratta di vedere con quanta flessibilità verrà applicata la legge sulle 35 ore. Ma certamente c’è un elemento di preoccupazione, perché i Paesi in ritardo in Europa in termini di crescita, soprattutto Germania e Italia, sono anche quelli con i problemi strutturali più significativi. E non è vero che l’alternativa al modello europeo sia solo quello americano. Ci sono riforme fatte dall’Olanda, dalla Danimarca, dalla Spagna, oltre che dalla Gran Bretagna. Ci sono lezioni europee da imparare, e vengono da Paesi in cui le preoccupazioni per la salvaguardia del Welfare sono comprese appieno.

Altra fonte di preoccupazione, anche i problemi di più lungo termine dei sistemi pensionistici, che a loro volta potrebbero rendere insostenibile la situazione dei conti pubblici di alcuni Paesi. Si deve tener conto di un dato di fatto: alcuni Stati europei sono un po’ come un maratoneta che, dopo lo sforzo degli ultimi anni per entrare nell’Unione monetaria, hanno tirato il fiato prima di affrontare lo stadio successivo delle riforme. Essi sono in una situazione ciclica diversa fra loro; ma quel che è più importante sono le differenze nella situazione strutturale, e sicuramente l’Unione monetaria, nel medio-lungo periodo, metterà sempre di più l’accento sugli aspetti strutturali. Quando la politica monetaria è decisa per l’area nel suo complesso e non si ha più a disposizione lo strumento del cambio, per risolvere il problema della disoccupazione diventa ancora più essenziale affrontare i problemi strutturali. Nel breve periodo, questa impossibilità di fine-tuning dell’economia può essere uno svantaggio, ma (più che nel medio) nel lungo periodo la crescita e l’occupazione emergono grazie alle riforme di struttura.
Per quel che riguarda la situazione internazionale, passata la fase in cui i timori di una crisi globale sembrava potesse originarsi nei Paesi emergenti, ora l’attenzione è puntata sulla sostenibilità del disavanzo esterno americano, sul dollaro, sulla old e sulla new economy di Wall Street. Non c’è dubbio che il deficit corrente degli Stati Uniti sia abbastanza ampio e che molti indicatori tecnici ci dicano che le valutazioni del mercato azionario sono troppo, e in alcuni casi eccessivamente, alte.
Ma quali possono essere le conseguenze di un caduta di Wall Street? Può portare a un aumento del risparmio interno negli Stati Uniti e a una riduzione del deficit delle partite correnti. Se poi la caduta fosse più grave, ci sono misure forti che possono essere adottate: i tassi d’interesse americani sono più alti rispetto all’Europa continentale e al Giappone, e potrebbero essere tagliati; il bilancio pubblico è in attivo e potrebbe benissimo essere usato per stimolare l’economia. Ci sono, insomma, gli strumenti per evitare che l’economia degli Stati Uniti, che comunque resta forte, debba precipitare bruscamente in una recessione e avere ripercussioni globali.

Sul fronte del Fondo monetario internazionale, poi, siamo stati severamente criticati per il ruolo avuto in Russia, a fronte degli scandali di corruzione e della probabile distrazione di fondi Fmi, con la messa in guardia anche in vista di prestiti futuri. Non c’è dubbio che i problemi in Russia siano stati e restino molto seri.
Obiettivamente, non è emersa alcuna prova che tutti i soldi del Fondo monetario internazionale siano stati usati impropriamente, salvo alcuni casi, come quello del 1996, in cui il governo russo ci ha mentito e che è inescusabile.
La questione, però, è più ampia: il Fondo monetario deve avere a che fare con Paesi nei quali è noto che dilagano corruzione e fughe di capitali? La risposta non è univoca. Intanto, tutte le nostre azioni sono dirette esattamente a invertire le fughe di capitali. Inoltre, c’è chi dice: non si può fare nulla, tutto è corrotto. Personalmente, non sono d’accordo: molto è stato fatto anche sotto il profilo della governance, della trasparenza delle istituzioni governative. Certamente, resta ancora molto da fare, sia sul fronte della corruzione che su quello della stessa governance. Ma l’argomentazione che senza una crisi gravissima non sarà fatto nulla, è un argomento puramente teorico. Nella pratica, per esempio, l’inflazione è stata eliminata o ridotta sensibilmente. C’è poi la volontà di normalizzare le relazioni con la comunità internazionale, e credo che sia nostro compito aiutare la Russia in questo.

Si dice: il Fondo monetario è sotto accusa anche per la mancanza di attenzione alle esigenze dei poveri nei Paesi che devono applicare i suoi programmi. Dall’altra parte, opinioni autorevoli come quella della task force del Council on Foreign Relations ritengono che debba attenersi al proprio mandato e alle proprie specifiche competenze. Ebbene: il Fondo non può e non deve occuparsi di sviluppare un’expertise in materia di povertà. I suoi campi sono la politica monetaria, quella fiscale, i cambi, i sistemi finanziari. Ma abbiamo il dovere di comprendere il problema della povertà e di tenerne conto nell’attività di sorveglianza e nei programmi macroeconomici. Le politiche specificamente dirette alla riduzione della povertà e l’attività di prestito in questo campo spettano alla Banca mondiale.
Altra area in cui il Fondo è coinvolto è quella latino-americana. In Argentina abbiamo ridiscusso gli obiettivi fiscali, in Brasile abbiamo rivisto l’obiettivo per le riserve, eccetera. Ma non c’è alcun pericolo di un passo indietro. Buenos Aires ha fatto molte cose giuste in materia di politica economica. In Brasile, dove ci sono state complicazioni di ordine politico, ma anche di conflitto col potere giudiziario, che aveva invalidato alcune misure fiscali, le autorità hanno saputo presentare nel giro di pochissimo tempo provvedimenti che hanno rimesso in carreggiata il risanamento. L’aggiustamento dell’obiettivo delle riserve è servito solo e semplicemente a dare maggiore spazio di manovra. Del resto, è giusto adeguarci a circostanze mutate. Non si può accusare il Fondo monetario internazionale di inflessibilità e di eccesso di flessibilità allo stesso tempo.

   
   
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