Settembre 2000

LA LUNGA MARCIA DELLA LIRA

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Tra 500 giorni
il tempo dell’Euro
Ludovico Marescalchi Premio Nobel per l’Economia - Vicepresidente del FMI
 
 

Il misero popolo della “lira sotto
il mattone”
si svegliò
una mattina senza neppure gli occhi per piangere.

 

L’ultima occasione per spendere qualche lira sarà la mezzanotte di giovedì 28 febbraio 2002. Poi, allo scoccare del primo minuto del 1° marzo, come per incantesimo, la lira cesserà di avere corso legale nei confini italiani e al suo posto varrà soltanto l’euro. I ministri europei dell’Economia e delle Finanze avevano già deciso di ridurre il periodo di doppia circolazione, quello durante il quale si potranno utilizzare sia le valute nazionali sia la moneta comune, dopo che questa verrà introdotta il 1° gennaio 2002: da sei mesi a un arco di tempo più corto, variabile a seconda del Paese da quattro settimane a due mesi. E’ stata proprio una nuova posizione dell’Italia a consentire che i Quindici trovassero un accordo su questo punto, sottoscrivendo una dichiarazione che non è vincolante, ma che esprime un orientamento comune.
Inizialmente, il nostro governo aveva chiesto più tempo (per l’esattezza dodici settimane) per poter mettere in circolazione biglietti e monete in euro. Poi, dopo avere esaminato a fondo la situazione, Roma si è convinta di potercela fare in due mesi. Il periodo di doppia circolazione, del resto, è considerato da molti esperti a rischio: la convivenza di valute nazionali ed euro può confondere i cittadini.
Il documento approvato dai ministri dei Quindici stabilisce una sorta di tabella di marcia per la diffusione fisica dell’euro.
Dopo l’introduzione delle monete e banconote in valuta comune, «gli Stati membri faranno di tutto per assicurare che l’essenziale delle operazioni in contanti possa essere realizzato in euro nel giro di quindici giorni». Poi, trascorso un periodo che al massimo (come nel caso dell’Italia) sarà di sessanta giorni, soltanto l’euro avrà corso legale. Ma questo non vuol dire che le lire o le altre valute della zona euro che si avranno in tasca il 1° marzo 2002 siano da buttare. Ogni Paese deciderà infatti per quanto tempo (anni o probabilmente anche decenni) dopo la fine della doppia circolazione si potranno cambiare agli sportelli delle banche o presso la Banca centrale i biglietti in valuta nazionale. E sebbene sarà impossibile usarlo prima dell’inizio del 2002, l’euro farà la sua comparsa anche con qualche anticipo. «Sarà utile che le società finanziarie e certi altri gruppi, specie le società di trasporto valori e i negozianti al dettaglio ricevano già biglietti e monete in euro un po’ prima del 1° gennaio 2002», hanno puntualizzato i ministri. Allo stesso modo, i Governi potranno fornire monete e banconote a «gruppi vulnerabili della popolazione», come i ciechi e gli anziani, in modo che abbiano qualche giorno di vantaggio per familiarizzare con la nuova valuta. Ma in ogni caso, la distribuzione degli “eurokit” non potrà avvenire prima del 15 dicembre 2001.
E allora: chi ci ridarà mai la lira? Come potremo dimenticarla? E quanto ci mancherà? Tanto, ci mancherà, tantissimo. Al punto, com’è stato scritto, da ispirare in ciascuno una sorta di elegia preventiva per la nostra “libra”, per l’oggetto di carta o di metallo, per i ricordi – stato dell’animo, sicurezze, complicazioni – che ha lasciato impressi, in attesa dell’inesorabile trapasso. E nonostante tutto: perché l’amore degli italiani per la loro moneta è di quelli che tipicamente si scoprono quando stanno per finire. Chi ha meno di quarant’anni non ha fatto in tempo a maneggiare la monetina da una lira e se la rimira, oggi, con incantato sbigottimento, per quel Paese ancora così arcaico, e agrario, e pagano persino, che vi aveva impresso la cornucopia. Sarebbe curioso verificare quanti sanno nel 2000 cosa è la cornucopia. E’ un corno rovesciato dal quale straborda un’abbondanza di messi e di frutti: segno di una prosperità evidentemente sognata.

Le monete da 1 a 1.000 lire che hanno accompagnato la nostra vita nel dopoguerra: un’iconografia semplice e tutta giocata tra i simboli della natura, del lavoro, della fortuna. La cornucopia dell’abbondanza sulla moneta da una lira, il ramo d’ulivo su quella da due lire, il fabbro che batte sull’incudine su quella da cinquanta, l’aratro, le spighe di grano, i vascelli di Cristoforo Colombo, la bilancia della giustizia, l’ape laboriosa, il delfino e i volti di Cerere.

La moneta da 5 lire, con il delfino augurale, quella sì: ci si acquistavano pacchetti di figurine (pre-Panini) avvolte in carta velina; e serviva a fare andar su alcuni ascensori, anche se qualche furbastro la bucava, legandola con lo spago, per ritirarla subito dopo il click. La dieci lire, con aratro, quindi anch’essa d’immagine agricola, si introduceva in certe macchinette con manopola per la gomma americana. A quel punto, però, le banconote da cinquecento, mille, cinque e diecimila lire non erano più vaste come lenzuola. Per anni gli adulti le avevano coscienziosamente ripiegate nei loro portafogli, consumate e odorose.

1991. Parte il Trattato di Maastricht: la strada verso l’unificazione economico-monetaria è tracciata. I singoli Stati membri dell’Unione europea approveranno il Trattato e stabiliranno le date di emissione della nuova moneta. Lunedì, 8 novembre 1999: è il giorno della decisione ufficiale dei ministeri del Tesoro e delle Finanze di anticipare al 1° marzo 2002 la sostituzione delle monete nazionali con l’Euro. Ma l’Euro era già entrato nell’immaginario degli italiani all’inizio dell’anno, quando partiva la scelta delle diverse effigi da imprimere sulle nuove monete e con il via al primo conio. Ecco allora immagini note agli italiani comparire nelle scelte varate anche con referendum. Il Colosso, l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, la statua di Marc’Aurelio, la Venere di Botticelli, la Mole Antonelliana, Castel del Monte, le “Forme di continuità nello spazio” tratte da un’opera di Boccioni.

Venne poi il tempo delle 500 lire d’argento (valore del metallo, si disse, superiore a quello legale), con la nave, ma anche con la bandierina alla rovescia. Alla Zecca, questa entità misteriosa, hanno sempre avuto una straordinaria abilità a sbagliare. Ancora qualche anno fa, proprio in vista dell’unione monetaria, sono riusciti a sbagliare la mappa dell’Europa! Forse però non dipende dalla Zecca l’altro fenomeno, così irresistibilmente italiano, di avere non una, non due, ma addirittura tre diversi tipi di cento lire, da anni in circolazione. Lo fece notare un presidente del Consiglio, con molto buonsenso, nel ‘95: un presidente che vinse, governò, poi lo spedirono in Europa; ma le tre differenti cento lire sono ancora in circolazione, comprese quelle minuscole, che gli italiani profondamente detestano. Insomma: sembra incredibile che si possa fare a meno della lira, con la sua risonanza simbolica. Con i suoi proverbi un po’ fuori registro: «Ogni lira guadagnata è una lira risparmiata». Con i suoi modi di dire antichi e liquidatori: «Gli mancano 19 soldi per fare una lira» (detto di chi non ha proprio nulla, essendo il soldo la ventesima parte della lira). Con i suoi gerghi, (ventidue espressioni dialettali annotate nel Dizionario del Ferrero).

In fondo, è stata (anche), la sua, un’epopea gloriosa, con tutto che nelle enciclopedie essa sia sistematicamente preceduta dallo strumento musicale, anch’esso in realtà in disuso, e da una costellazione boreale. Non per niente risale a Carlo Magno, e fu coniata nel secolo XV a Venezia e a Milano, prima di essere introdotta in Piemonte nel 1562.
E se proprio non vogliamo indagare in direzione di tempi così lontani: era il 1927 quando Mussolini ne restaurò la convertibilità in oro. Nelle sue memorie, Guido Carli lascia credere che il Duce, di passaggio a Pesaro, abbia più o meno improvvisato “Quota 90” (novanta lire, cioè, per una sterlina). Ma sicuramente gli anni Trenta furono quelli delle canzoni che tutti poi ricorderanno, e che allora sanzionarono la pacata modestia di un Paese, peraltro nient’affatto bellicoso, dove si cantava press’a poco che bastava avere mille lire al mese per trovare la felicità; mentre nei disegni di “Sto”, Sergio Tofano, sul Corrierino dei Piccoli, con un milione di lire terminava l’avventura del celeberrimo Signor Bonaventura.

Nel 1934 Marguerite Yourcenar ambienta in Italia Moneta del sogno, una storia che corre appunto lungo l’itinerario di una moneta d’argento passata di mano in mano. La moneta finisce anche nella fontana di Trevi, dove la raccoglie un operaio delle Condotte pubbliche che se la beve all’osteria.
Nel 1936 la lira venne svalutata (del 40,90), ma il peggio doveva venire tra il 1938 e il 1947 allorché, grazie alla seconda guerra mondiale, il suo potere d’acquisto diminuì di 53 volte. Il misero popolo della “lira sotto il mattone” si svegliò una mattina senza neppure gli occhi per piangere. Nel Sud liberato, nel frattempo, circolavano banconote made in Usa, che prima della parola “lira” recavano stampigliata la sigla “A.M.” (Allied Military). Le Am-lire furono la mortificante divisa della sconfitta, la currency impiegata nelle più selvagge compravendite del mercato nero, dalla Napoli de La pelle malapartiana al parco del Lambro, passando per le capitoline bancarelle di Tor di Nona. Poi (era l’Anno Santo del 1950) anche le Am-lire sparirono.
La lira tornò ad essere lira. I leader politici parlavano abitualmente nei loro comizi dei prezzi dei generi alimentari, si promettevano “pane e lavoro”, si andava in villeggiatura in campagna o si trascorrevano le sere d’estate discorrendo col vicinato, seduti a ronda appena fuori le soglie di casa. Pochi disponevano di banconote di gran taglio. Al benzinaio si chiedeva: cinquecento di normale e cinquecento di super. E si risparmiava a perdifiato. L’antico gruzzolo si fece pacco, tenuto dallo spago o dall’elastico, nelle tasche di astuti capicantieri e capiofficina. La busta paga era di una semplicità primordiale: spesso nemmeno chiusa.
Una dozzina di anni dopo, quegli stessi capicantiere (divenuti palazzinari) e capiofficina (divenuti imprenditori), in attesa di esser nominati cavalieri o commendatori, festeggiavano con i familiari ripuliti e ingioiellati il primo miliardo in banca. Il Signor Bonaventura fu costretto ad adeguarsi. La voluttà del numero andava crescendo.
La lira, in America, ebbe anche l’Oscar. Poi l’inflazione divampò di colpo, lasciandoci una slavina di pezzetti di carta benevolmente definiti “mini assegni”. Ogni tanto un presidente del Consiglio chiedeva l’introduzione della “lira pesante”. Poi però cascava il governo. Tangentopoli fu preceduta dal gesto della moglie di un tangentaro che una notte, come in un soggetto di Zavattini, buttò i soldi di una bustarella giù dalla finestra. Ai politici corrotti tirarono le monetine. Senza più cornucopia: quasi mai l’abbondanza corrisponde alla serenità.

Il valore delle mitiche mille lire
attraverso un secolo d’inflazione

Mille lire del 1900 corrispondono a 6 milioni 346 mila 505 lire della fine 1999. E così a diminuire:

1910
5.800.635
1920
1. 588.877
1930
1.299.655
1940
1.056.752
1950
26.556
1960
18.820
1970
12.861
1980
2.915
1990
1.377

I grandi crolli si verificano nel 1918 (la prima guerra mondiale fa perdere il 50 per cento del valore alla moneta), nel 1944-45 (dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta, le mille lire valgono poco più di 50 mila lire attuali)

   
   
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