Settembre 2000

LA CRISI DEL MODELLO FORDISTA E DEI POTERI FORTI CHE LO GOVERNANO

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Il vestito nuovo
del borghese conteso
Claudio Alemanno  
 
 

 

 

 

 

Sono classi sociali, oligarchie di potere, gerarchie
e ruoli di ieri messi in crisi dal lavoro post-industriale.

 

Non è facile cambiare casacca all’anima, aprire ai suoi pruriti e alle sue emozioni nuove corsie preferenziali. Neppure con le lusinghe e le suggestioni dei Signori e Signorini della Rete, sintetizzate nello slogan di Wall Street «trend is your friend». Tuttavia la manna offerta dalla “new economy” sta producendo grossi scossoni ai riti del Mercato e ai miti consolidati della Società civile.
Il modello fordista non è in discussione, ma il libretto delle istruzioni dovrà essere profondamente riscritto dal momento che emergono numerosi atteggiamenti di discontinuità rispetto al passato.
Cadute le utopie che con le armi della scomunica ideologica e dei veti incrociati hanno sostenuto i precari equilibri geopolitici del secolo appena concluso, sono evidenti i segnali del tramonto di molte oligarchie simboliche, ridotte spesso ad esercitare azione di lobby per garantirsi la sopravvivenza.
Avanza per contro in modo spedito una Società sempre più destrutturata, in parallelo al repentino e convulso passaggio dal vecchio capitalismo feudale e infeudante ad un capitalismo nuovo, spregiudicato, aggressivo e flessibile che anima i primi vagiti del mercato virtuale (si pensi agli sviluppi della fusione tra scienze biologiche e informatiche, alla proliferazione dei servizi offerti in rete dagli agenti ai clienti, all’unione tra Rete, TV e telefonia per facilitare lo scambio di beni, titoli in Borsa, informazioni).
Agli intellettuali e ai politici della vecchia guardia è accaduto ciò che accade agli scacchisti di talento: non riuscire a chiudere la partita per l’improvvisa comparsa del fattore I, l’Imponderabile (la forza d’urto delle nuove tecnologie). Così i giochi si riaprono a tutto campo di fronte ad una Società che pur continuando a registrare forti differenze di reddito appare sempre più livellata nelle aspettative, più orizzontale che verticale, fatta più di fratelli e sorelle che di padri e figli e dunque refrattaria alle emozioni e alle sudditanze del calore edipico e al fascino delle gerarchie.
Ad un capitalismo coinvolgente, votato al continuo “accrescimento di valore” è difficile opporre temi e argomenti “rivoluzionari”. Il nuovo eroe cibernetico (il business angel) veste i panni del finanziere-condottiero, a metà tra l’imprenditore e l’inventore, verso cui si avvertono d’istinto sentimenti di deferenza e gratitudine (ho sentito di recente un dirigente d’azienda dire del suo presidente: ci ha fatti tutti ricchi!). E’ la nuova figura idealtipica i cui percorsi di vita diventano leggende metropolitane e modelli di richiamo sociale.
Quindi il marxismo, il femminismo e i movimenti a forte contenuto ideologico risultano perdenti di fronte ad una logica di mercato che in modo suadente rende tutti adolescenti, partecipi e conniventi (il disoccupato americano è spesso titolare di “stocks and bonds” e le imprese devono offrire incentivi consistenti per raschiare il fondo del barile della disoccupazione strutturale).
La netclass non prevede l’invecchiamento, ma solo giovani lupi e agguerriti guerrieri. Dalla netclass si passa alla nietclass (la classe dei disconnected, degli esclusi). Eclissando con un tocco di mouse aristocrazia, borghesia e proletariato che per secoli hanno eletto l’establishment, filtrato aspettative, espresso valori e “carriere”, priorità esistenziali, costumi di vita.
Romanticismo d’altri tempi, si dirà. Invece sono solo classi sociali, oligarchie di potere, gerarchie e ruoli di ieri e ieri l’altro, messi improvvisamente in crisi dal lavoro post-industriale.
Questo nuovo magma sociale non può non avere riflessi di valenza istituzionale. E’ in atto un’evoluzione straordinaria ma anche spietata (il clima è quello della corsa all’oro, con l’avvertenza che i veri vincitori allora non furono i cercatori ma gli intermediari, quelli che offrirono pale e picconi) imposta da una cyber generation caratterizzata da una forte dose di soggettività individuale e da un’insaziabile domanda di rendimento, mentre il momento istituzionale, chiuso nella sua cultura lobbistico-burocratica, fatica molto a tessere la trama di un nuovo ordine civile.
Senza mediazione politica all’idolatria tecnologica si oppongono crisi di rigetto che fanno crescere in autorevolezza e voce il movimento internazionale antiglobalizzazione, scavando solchi sempre più profondi tra la “new economy” e la “new society”, tra una visione globalizzata e una localistica.

Tim Berners-Lee, l’inglese inventore della Rete, sostiene che il sistema Web è stato concepito per essere universale. «Sarebbe assurdo – dice – proporre che uno spazio sia aperto a tutti e al tempo stesso volerlo controllare». L’osservazione è seria. Va chiarito tuttavia che l’esigenza di regole non attiene al Sistema-Rete ma al momento decisionale che lo precede, non riguarda l’Accesso ma i presupposti dell’Accesso, onde evitare l’anarchia, la concorrenza economica sempre più invasiva e sleale, il rischio che Qualcuno, avendo il dominio di una tecnologia, si senta legittimato ad utilizzarla con poteri assoluti e illimitati (il caso Echelon è emblematico).
«Chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini», ammoniva von Hayek. Le nuove frontiere dell’economia virtuale hanno reso più evidente la crisi del modello fordista nell’Europa continentale e in Italia, dove i ruoli delle parti sociali risultano più cristallizzati e i protagonisti dell’accumulazione della ricchezza sono stati tradizionalmente espressi da un azionariato blindato, di tipo pubblico o familiare (qualche economista ha anche teorizzato l’esistenza di un capitalismo senza mercato). In questo clima le imprese e i consigli di amministrazione sono risultati eterodiretti, teleguidati dai referenti politici (imprese pubbliche) e dai patti di sindacato (imprese private) in cui la componente bancaria di mano pubblica era largamente presente.
Le concentrazioni e i monopoli sono stati perciò considerati fisiologici dalla cultura europea che ha sempre manifestato scetticismo di fronte all’adozione di regole e sanzioni serie in tema di concorrenza, tutela dei consumatori, tutela del risparmio impiegato in Borsa (aggiotaggio e insider trading sono reati difficili da perseguire con i meccanismi d’indagine degli attuali organi inquirenti). La Consob e l’Antitrust italiani si muovono come organi inseriti nella costellazione dell’apparato amministrativo e sono privi di legittimazione processuale (negli Usa la Sec e l’Antitrust, istituzioni equivalenti, danno impulso all’azione giudiziaria avendo autonomi poteri d’indagine e capacità di costituirsi in giudizio).
Più in generale è l’idea dominante nel-l’Europa continentale di una governabilità garantita da un consenso collegiale, centrale e preventivo, che appare fortemente azzoppata. Le tradizionali oligarchie di comando esercitano un ruolo leaderista non più supportato da una convinta partecipazione diffusa. L’impegno nel lavoro è diventato più autonomo e meno subordinato, dando contenuti nuovi alla responsabilità individuale e collettiva. E’ in atto una crisi di rappresentanza, che investe soggetti politici e istituzioni impegnate nel sociale (sindacati delle imprese e del mondo del lavoro, espressioni organizzate del consenso politico, vecchi potentati economico-finanziari). Il loro deficit di legittimità porta allo scoperto uno dei conflitti provocati dalla globalizzazione e suggerisce la ricerca del consenso attorno a politiche proposte dal basso, dalla spinta propulsiva della Società civile che resta ancora confinata nel regno della metafisica, passivamente adagiata sul culto della contemplazione e della forma (nella realtà quotidiana molti web-imprenditori sono trentenni e fuori dai ghetti dell’irresponsabilità e dell’underground le nuove generazioni sono autorevolmente presenti in tutti i campi, dalla scienza alla letteratura, alla cinematografia, all’arte, manifestando un senso di maturità che va oltre le contrapposizioni generazionali).
Il vento nuovo del “glocalismo” (redistribuzione delle competenze amministrative e legislative tra autorità locali e sovranazionali, con conseguente contrazione dei poteri statali), il salto di qualità nella gerarchia degli interessi tra la generazione dei salariati e quella delle stock options, l’accresciuto potere dei lavoratori indipendenti, l’impatto con i problemi nuovi della forte immigrazione, stanno alimentando un dibattito riformatore tuttora sospeso tra esigenze pragmatiche e pregiudizi ideologico-culturali (arnesi con cui l’Europa ha lunga dimestichezza).
Da questi fermenti epocali resta ancora esclusa una seria e pacata riflessione su “se” e “perché” occorrono guidelines per l’Accesso alla Rete, al fine di assicurare sufficienti garanzie agli attori del mercato virtuale e ai destinatari dell’informazione. Sotto questo profilo l’Europa sta vivendo un clima di silenzio armato, un conflitto strisciante tra chi interpreta il mondo nuovo della Rete in termini di soggettività senza copione (un omaggio assoluto e incondizionato alle tecnologie), e chi invece un copione garantista intende adottarlo (un omaggio relativo verso le tecnologie, da subordinare agli interessi generali delle comunità servite).
Al di là delle dispute di principio, la realtà degli interessi in gioco è meno nobile, le resistenze maggiori vengono dalle nicchie dei nuovi potentati economici che temono il risucchio nella subalternità.
Il tentativo di porre una rete alla Rete gli Stati Uniti già da tempo lo portano avanti con determinazione, mentre in Europa prevalgono esitazioni e incertezze. Ciò accade per la regolamentazione e il commercio dei copyright nella Società dell’informazione, per la tutela della concorrenza, per la disciplina fiscale degli scambi elettronici, per l’adozione di normative a tutela dei consumatori, dei prodotti e marchi commercializzati (su Internet la vendita di prodotti contraffatti è in forte espansione e nello shopping digitale incominciano già a spuntare i primi casi di cyber-fallimento).
Il Commissario Monti lamenta spesso la lentezza nell’elaborazione e attuazione delle direttive comunitarie, procedimenti complessi che non riescono a seguire il dinamismo del mercato elettronico. Ma gli sforzi in questa direzione non sono sufficienti. Permane una forte discrasia tra le normative nazionali, comunitarie, federali e lo sviluppo del commercio in Rete che per sua natura ha dimensioni mondiali e pone problemi di “governo” mondiale. C’è dunque l’esigenza di definire un centro di sovranità internazionale, un foro specifico utilizzabile per l’attuazione di normative condivise che possano operare una tutela paritaria per tutti i fruitori della Rete, al di fuori della nazionalità di appartenenza. Qualcosa sta facendo la Camera di Commercio Internazionale. Ma è dagli Stati, dagli esecutivi che dirigono aree economiche omogenee, dalle istituzioni internazionali che si attende sensibilità e interesse.
Una traversata nel deserto evidenzia la necessità di una leadership collettiva per la formulazione di convenzioni che possano rendere “neutrale” il Sistema-Rete nella selvaggia competizione in atto (assicurando garanzie sociali ai più deboli, sicurezza e trasparenza negli scambi, lotta alle frodi e al crimine informatico, definizione delle biotecnologie praticabili e altre ipotesi di stabilità globale come il controllo delle fluttuazioni dei cambi e l’adozione di alcuni princìpi universali per la tutela dei diritti umani).
ONU e G8 avrebbero pieno titolo per assumere iniziative adeguate. Una normativa internazionale non costituisce novità se si ha la ferma volontà di uscire dal terreno paludoso delle esplorazioni diplomatiche. Si pensi alle norme che regolano da tempo l’attività dell’aviazione civile, a quelle contro gli atti di pirateria aerea o navale, a quelle recenti che hanno attivato il Tribunale dell’Aja sotto l’egida delle Nazioni Unite. C’è sicuramente un’attenzione maggiore dell’opinione pubblica per norme e procedure di diritto internazionale che, in ragione della ribalta transnazionale guadagnata da istanze e interessi sempre più numerosi, danno credito e spessore alle linee di sviluppo dell’odierna civiltà giuridica e ricevono ora dal processo di globalizzazione una forte spinta propositiva.
Comunque, è riduttivo pensare che la partita in gioco sia solo di natura economica e commerciale (già si parla diffusamente di R-tecnologie, tecnologie della relazione più che dell’informazione).
Lo spirito di solidarietà dell’economia curtense è un pallido ricordo del passato. La “nouvelle economie” esaspera gli opposti e spiazza brutalmente ogni forma di schematismo progressista. La mediazione politica ha dunque il “dovere” di arricchirsi di nuovi contenuti, per attribuire razionalità e prospettiva storica al processo di modernizzazione. Lavorando alla ricerca dei necessari equilibri tra l’uniformità globale e il particolare consolidato (l’individualità dei popoli), tra le concentrazioni economiche e finanziarie e le esigenze di democrazia dell’azionariato di massa, tra l’esasperata concorrenza nella produzione e il livellamento asfissiante nei consumi, tra i valori della persona e la crescente mercificazione di ogni espressione umana imposta con forza dall’era dell’accesso.
Tra i maîtres à penser della politica questi conflitti non sembrano riscuotere molto interesse. Il panorama resta confuso e il valore delle proposte scarsamente incisivo, intriso sovente di furore ideologico. Così nella giungla delle idee il nuovo contesto appare ingessato, sostanzialmente incasellato nelle vecchie logiche marxiste e liberiste. E ciò accade in un tempo in cui anche gli “eretici” sono formalmente decaduti. Ma se è vero che l’autorità e l’originalità dell’intellettuale vengono esaltate dalle tirannie che combatte, adesso ci sono spazi e motivi per impegnarsi senza supponenza etica e senza nostalgia di fede in una battaglia forte e durevole. Riguarda le devianze e i pericoli che una moderna tirannia tecnologica può produrre sulla persona e sugli assetti economici e organizzativi della Società civile (viene dal fondamentalismo economico la nuova minaccia alle società aperte!).
Essere contemporanei, cavalcare le mode, inseguire il consenso può anche andar bene, ma resta compito centrale della cultura politica depotenziare l’area delle conflittualità e costruire il “nuovo domani”, la sofisticata architettura di una Società molecolare e multiculturale e ad un tempo modernamente civile e solidale (qualunque progetto attuativo presuppone l’abbattimento delle barriere tra “popolare” e “intellettuale” e un circuito integrato tra cultura, economia e tecnologia).

La globalizzazione senza regole – ha dichiarato recentemente Lester Thurow, economista vicino a molti presidenti democratici americani – crea solo un altro Wild Wild West e lascia irrisolto il rapporto tra crescita e diritti umani.
Non è accettabile un’adesione acritica alle logiche pervasive e massificanti della comunicazione telematica. Né una lettura del nuovo capitalismo con le lenti appannate delle categorie politiche tradizionali, avulsa dalle strategie di un ordine internazionale socialmente condiviso. Comunque, una visione dinamica dei problemi deve avere forti connotati sperimentali, secondo processi logici di costante perfezionamento che rivalutano i percorsi dell’evoluzionismo darwiniano. «Non sono i più forti della specie che sopravvivono, né i più intelligenti, ma i più reattivi al cambiamento», sosteneva Charles Darwin.
L’electronic village esige la ricerca di forme nuove di coesione sociale, di nuove identità collettive, di nuova democrazia politica ed economica (se non per migliorare, almeno per evitare alle istituzioni pericolose regressioni); pone domande non compatibili con le rendite corporative, con la conservazione degli equilibri fissati dalle regole di dominio di una borghesia scettica e materialista.
Nelle praterie governate dalla flessibilità, “acqua cheta, vermini mena”. E resta tutto in salita il cammino dal tramonto ad una nuova aurora.

Nota bibliografica

Segnaliamo alcuni testi che offrono una lettura dei problemi fuori dal coro.

- Jeremy Rifkin, L’Era dell’Accesso. La rivoluzione della New Economy, Mondadori, Milano, 2000.
- Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano, 2000.
- Lucio Picci, La sfera telematica. Come le reti trasformano la società, Backerville, Bologna, 1999.
- Kevin Bales, I nuovi schiavi, Feltrinelli, Milano, 2000.
- Michael Lewis, The New New Thing. A Silicon Valley Story, Norton, New York, 2000.

   
   
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