Il problema vero
è come fare
per gestire il periodo di transizione, quando lo Stato
si ritrae,
ma non esiste una cultura privata
che si sostituisca
ad esso.
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Alleccessiva presenza dello Stato nelleconomia e nella
vita civile dei cittadini vengono attribuiti molti errori fatti
e vengono denunciati i molti mostri che sono stati concepiti, in
termini di istituzioni burocratiche, di regolamentazioni farraginose
e così via. Poco si pensa invece ai danni che sono derivati
da uneccessiva presenza dello Stato in termini di ciò
che non è potuto né nascere né crescere, proprio
a causa della pervasiva presenza dello Stato. Tra le cose che sono
state impedite di nascere, la più rilevante, anche perché
le ricomprende tutte, è sicuramente la cosiddetta società
civile.
Abituati ad avere tutto deciso dalla burocrazia pubblica e dalle
leggi e regolamenti, in una società statalizzata (ove tutto
è vietato tranne ciò che è espressamente permesso),
la società civile non si sviluppa e i soggetti più
avveduti, nel buon intento di poter comunque operare per il bene
della gente, cercano di infiltrarsi nei gangli dello Stato stesso:
con ciò la società civile, o meglio, le persone che
possono rappresentarla di più, diventano essi stessi soggetti
pubblici, in un groviglio di pulsioni ove il totalitarismo dellintervento
pubblico finisce per inglobare anche i germi della sua stessa contraddizione.
Spesso sono proprio questi germi a far cadere il totalitarismo dello
Stato, ma quello che resta è il deserto ove è sempre
più difficile orientarsi.
In simili situazioni, non è infrequente il caso di ritorni
al passato, ovvero di ritorno alla guida delle istituzioni di persone
e di partiti politici che avevano avuto forti responsabilità
nella gestione della cosa pubblica durante la fase di statalizzazione,
perché giudicati comunque più affidabili
rispetto ad altri, nuovi, e le cui basi di conoscenza sono incerte.
Questo è leffetto di una carenza della società
civile, ossia di quelle comunità di interessi che si sviluppano
in regimi di libertà e di democrazia in assenza di uno Stato
che prevarica i liberi cittadini. Tale società civile è
un argine allinvasione dello Stato, perché organizza
in via autonoma funzioni e compiti privati, ma che hanno indubbi
vantaggi generali.
Tale società civile è quella che organizza il mercato
delle imprese e del lavoro secondo regole condivise, la cui trasgressione
porta innanzitutto allesclusione dalla società stessa,
prima ancora che alle sanzioni di merito. E quella che autonomamente
contribuisce a provvedere ai problemi sociali che insorgono (immigrazioni,
rifugiati, disoccupazione, povertà da esclusione, inabilità,
e così via), perché riconosce subito che questi sono
problemi che minano alla base la stessa convivenza sociale su cui
sincentra il benessere generale. E quella che si occupa
dellistruzione e della cultura, perché sa che esse
sono la base essenziale da dove trarre la capacità di espansione,
di crescita e di difesa delle libertà fondamentali.
I lunghi anni di egemonia dello Stato e di sua invasione in tutti
i campi impediscono la nascita di una tale società civile,
sicché il primo riflesso dei cittadini di un regime che procede
alla destatalizzazione è quello di una fuga verso legoismo
più sfrenato e selvaggio: infatti, i cittadini degli Stati
totalitari sono educati a pensare soltanto a se stessi, di nascosto,
e approfittando delle strutture pubbliche, che non vengono considerate
come un bene pubblico, ma come una ricchezza da depredare e da usare
ai propri fini personali, come hanno visto fare per anni dai gerarchi
che li hanno dominati.
Questa lezione lavevamo appresa nel dopoguerra, con la caduta
del regime fascista, e labbiamo rivista negli anni più
recenti, osservando la scomposizione dei regimi comunisti che ha
portato al crollo non solo degli Stati nazionali concepiti da tali
regimi, ma anche e soprattutto della convivenza civile tra le persone,
con lemergere di faide, di criminalità organizzate,
di facili arricchimenti di fronte a diffuse povertà, fino
allo scoppiare di guerre civili e di odiosi fenomeni di razzismo
di massa, come quello cui abbiamo fin qui assistito nella ex Jugoslavia.
Questi fenomeni, lungi da essere imputati al lungo periodo di privazione
delle libertà che non hanno concesso la nascita di una società
civile, vengono attribuiti spesso allo sfrenato liberismo
e sono il pretesto per invocare un parziale ritorno al passato,
sia in termini di persone che in termini di modi di gestione, quindi
di riaffermazione della presenza dello Stato. Un tale processo è
evidente nei Paesi ex comunisti: basti pensare a quello che avviene
in Russia, o che è già avvenuto in Polonia o in altri
Stati, ove sono tornati al potere strutture e persone che avevano
avuto compiti gestionali durante il regime comunista. Il riflusso
è spesso giustificato dalla qualità delle persone:
più affidabili quelli che già avevano avuto dimestichezza
con la gestione del potere; improvvisatori, quando non affidabili
gli altri, la cui provenienza è incerta, se non del tutto
sconosciuta.
Qualche cosa di simile sta avvenendo anche nei Paesi dellEuropa
occidentale che, se non hanno conosciuto veri regimi comunisti,
hanno tuttavia sperimentato in questo dopoguerra lunghi periodi
di socialismo volti a introdurre una fortissima presenza dello Stato
nei sistemi economici e in molti atti della vita privata dei cittadini.
Ne è un segnale forte il ritorno al governo, in tredici Paesi
su quindici dellUnione europea, della sinistra e dei partiti
socialisti, molti dei quali hanno subito ribilanciato gli sforzi
fatti dai precedenti governi per la liberalizzazione dei sistemi
economici, reintroducendo processi di intervento pubblico e frenando
i percorsi delle privatizzazioni.
Nel nostro Paese, ove la presenza pubblica è stata veramente
massiccia e ove di per ciò stesso la società civile
è particolarmente assente, il processo di ritorno al passato
è evidente. Il rinnovo dei partiti non ha portato che a un
minimo rinnovo delle persone. I processi di liberalizzazione si
fanno con molta cautela e con tempi estenuanti: basti pensare alla
liberalizzazione del commercio, modesta nei suoi obiettivi e di
fatto arenatasi nelle procedure amministrative; la scuola non viene
liberalizzata per le paure ataviche di un sistema pubblico che concerne
più di un milione di lavoratori forti di sindacati e parlamentari
votati alla loro difesa; la sanità è stata riportata
saldamente dentro la sfera monopolista dello Stato, con uno spirito
da crociata che non si vedeva più dai tempi della guerra
al divorzio e allaborto; il mercato del lavoro viene reso
sempre più rigido, finendo per normare con contratti collettivi
persino le consulenze e le collaborazioni!
Quanto alle privatizzazioni, pur se esse sono state fatte in una
certa misura, i loro risultati vengono derisi da coloro stessi che
dovrebbero procedere ulteriormente: contro i signori dello 0,6 per
cento, contro coloro che fanno Opa ostili, contro coloro che pretendono
di guadagnare là dove lo Stato perdeva...
Sta prendendo piede nel nostro Paese il partito dei privatizzatori
industriali: ossia di quelli che pretendono di verificare
i piani industriali di chi acquista e di decidere che cosa è
bene che si faccia e cosa è invece meglio evitare. Questo
partito si ammanta di buone intenzioni: far progredire il Paese
nei settori moderni e avanzati; difendere la proprietà italiana
dallassalto dello straniero; salvaguardare il patrimonio di
professionalità e di ricerca presente nelle imprese pubbliche;
poter contare nelle strategie globali del futuro. E un partito
trasversale che tocca il sindacato, le autorità monetarie,
il governo, lagenzia per il Mezzogiorno e persino taluni privati.
Esso fonda le sue ragioni sulla presunta inaffidabilità della
società civile che non riesce a sostituirsi allo Stato quando
questo ha fatto un passo indietro per ritrarsi dalla gestione delleconomia.
E una ragione in parte vera, come abbiamo detto, ma la cura
proposta è sbagliata: la carenza della società civile
è effetto diretto delleccessiva presenza pubblica;
se questa si protrae non potrà che ritardare lemergere
di una società civile capace di autogovernarsi. E il
cane che si morde la coda. Il problema vero è come fare per
gestire il periodo di transizione, quando lo Stato si ritrae, ma
ancora non esiste una cultura privata che si sostituisca ad esso.
La soluzione non può che essere pragmatica, con lavvertenza
che la transizione dovrà essere breve e che il passaggio
al privato comporta sempre dei rischi di fallimento, che comunque
conviene correre: in un mercato libero un errore trova sempre la
sua compensazione nei vantaggi colti da qualcun altro, mentre in
una società a monopolio pubblico gli errori non si correggono
e divengono spesso delle tragedie nazionali. Ora si tratta di regolare
le privatizzazioni future ricordando una saggia legge economica,
quella di Say, che diceva che lofferta genera la sua domanda:
anche lofferta di mercato e di società civile implicita
nei processi di privatizzazione genera la sua domanda da parte della
società italiana, come è avvenuto in altri Paesi prima
di noi. Si tratta quindi di aver coraggio e di andare avanti il
più rapidamente possibile.
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