Settembre 2000

PROBLEMI DELL’IMMIGRAZIONE

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Agire nel contesto
I. C.  
 
 

 

 

 

Occorre accettare come valore umano inalienabile
la libertà
di movimento delle persone su tutta
la terra.

 

Generalmente, in occasione di qualche evento, un fenomeno socio-politico assume dimensione particolare nella comunicazione e poi cade nell’oblio, sostituito da un successivo fenomeno. Oggi è il turno dell’immigrazione, (grazie al convegno su “Migrazione, scenari per il XXI secolo”, organizzato dall’Agenzia romana per il Giubileo). Ieri era stata la volta della lotta all’Aids, per il convegno internazionale di Durban, problema oramai già archiviato nelle coscienze dei lettori, dopo aver riempito le prime pagine di tutti i giornali del mondo. Ma il problema resta anche dopo i convegni e merita di rimanere anche nella memoria della gente, affinché si produca quel comune sentire che è base necessaria per una buona trattazione giuridica e regolamentativa dei vari problemi sollevati.
Con riferimento all’immigrazione, (argomento odierno), è sbagliato – a mio avviso – trattare tale problema per argomenti specifici e parziali, come sta avvenendo attualmente. In modo particolare, è sbagliato affrontare il problema dell’immigrazione soltanto affermando che l’Italia e l’Europa hanno bisogno di lavoratori per specifiche funzioni o perché la nostra natalità è bassa.
Altrettanto errato è affrontare il problema dal lato delle case per gli immigrati oppure della criminalità o ancora dei servizi sociali e dei costi inerenti da affrontare.
E’ sbagliato non perché tali problemi non esistano, ma perché così facendo si sollecitano singole soluzioni “riservate agli immigrati”, ciò che aggraverebbe i problemi della convivenza proprio con gli immigrati. Se gli immigrati vengono da noi perché gli italiani non fanno più certi lavori, dovremmo poi impedire agli immigrati di fare i lavori che gli italiani invece vogliono fare? Se costruiremo case riservate per gli immigrati, poi avremo i ghetti impenetrabili, al di fuori della società civile. Se definiamo numeri e professioni da “importare”, dovremo poi essere in grado di programmare le nostre economie, quando invece abbiamo constatato il fallimento di ogni dirigismo programmatorio. Se adotteremo leggi speciali per reprimere la criminalità degli immigrati, distruggeremo la possibilità e la speranza che gli immigrati si inseriscano nella nostra società.
Non di leggi speciali abbiamo bisogno, ma di una revisione del nostro ordinamento giuridico per correggere ed eliminare tutto ciò che isola gli immigrati, costringendoli alla clandestinità o al lavoro nero. Penso alle leggi sulle professioni e i mestieri, che con le loro licenze e titoli di studio rendono ardua o impossibile l’attività degli immigrati. Penso alle regole del mercato del lavoro e ai costi contributivi che sono stati concepiti quando i lavoratori erano soltanto italiani. Penso alle leggi sugli affitti che, anche dopo la fine dell’equo canone, sono una barriera all’offerta delle abitazioni. Penso alle scuole con i loro programmi e anche alle istituzioni che riservano il diritto di voto e di rappresentanza esclusivamente ai cittadini italiani, persino in zone dove gli italiani sono o saranno una minoranza.

Occorre rivedere queste normative per tutti e non soltanto per gli immigrati, in modo che tutti siano sullo stesso piano e che tutti siano nella possibilità di rispettare regole e leggi. A quel punto, la tolleranza verso le trasgressioni dovrà essere zero. Come è stato correttamente detto, è necessario coniugare una riduzione delle regole con una repressione forte delle trasgressioni.
E poi occorre accettare come valore umano inalienabile la libertà di movimento delle persone su tutta la terra. I singoli Paesi possono anche ricorrere a misure regolatorie dei movimenti delle persone per evitare l’affollarsi di problemi immediati cui dare una risposta. Ma tali regolazioni vanno viste come una necessità transitoria (pur se lunga), e non come un valore per difendere culture o etnie che, nella storia dell’umanità, si sono sempre modificate radicalmente, dando luogo alla grande avventura dell’uomo.

   
   
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